BERGOGLIO, PENSACI TU! - IL VATICANO HA INTRECCIATO TRATTATIVE SEGRETE CON LA CHIESA ORTODOSSA DI MOSCA PER FERMARE LA GUERRA - A MARZO ERA PREVISTA UNA EVACUAZIONE A MARIUPOL IN NOME DI PAPA FRANCESCO E DEL PATRIARCA KIRILL MA L'OPERAZIONE FALLÌ PER IL RIFIUTO DEI RUSSI - IN ALTRE OCCASIONI È STATO IL VATICANO, SU MANDATO DI KIEV, A CONVINCERE IL CREMLINO AD APRIRE CORRIDOI UMANITARI - MA BERGOGLIO HA COME INTERLOCUTORE L’INAFFIDABILE PATRIARCA KIRILL E LA PROPAGANDA UCRAINA NON HA MANCATO DI ATTACCARE IL VATICANO…
-Carlo Tecce per https://espresso.repubblica.it
«È frustrante, troppo frustrante. Nient’altro», si sfoga l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, agente diplomatico vaticano, da settembre nunzio apostolico a Kiev, nato sul mar Baltico a Klaipeda in Lituania nel ’74. C’è un episodio fin qui inedito che spiega il ruolo di papa Francesco nella guerra in Ucraina, i rapporti altalenanti con la Chiesa ortodossa di Mosca, l’ostentata convergenza del patriarca Kirill I col regime di Vladimir Putin. Un episodio che l’Espresso ha ricostruito con testimoni diretti e che riguarda lo strazio di Mariupol e migliaia di vite.
Il 22 marzo, a quasi un mese dall’aggressione militare dei russi, l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha comunicato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva ricevuto una «promettente» telefonata da papa Francesco, ne seguiranno altre, più sintetiche, non rivelate. Per il Vaticano era l’occasione per approvare davanti al mondo la fiera resistenza ucraina che, però, si preferisce chiamare «legittima difesa».
Il governo di Kiev non può ottenere armi, droni o cannoni da Jorge Mario Bergoglio e neppure molto denaro, anche se già un paio di anni fa per la regione del Donbass ci fu una donazione di 16 milioni di euro di cui 5 prelevati dai fondi papali e da marzo decine di migliaia di euro ogni giorno affluiscono sui conti delle sette diocesi e delle organizzazioni religiose.
In Ucraina i cattolici sono circa 3,2 milioni su 43 milioni di residenti, una minoranza ben ramificata, ma il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, sfruttando le relazioni già avviate da Joseph Ratzinger, s’è prodigato parecchio per l’unità dei cristiani e ha intensificato i contatti con gli ortodossi.
Proprio il nunzio Kulbokas, che ha servito da consigliere anche nella sede di Mosca, fu l’interprete durante lo storico incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill che si tenne a Cuba il 16 febbraio 2016 in una laica saletta all’aeroporto internazionale dell’Avana. In quella circostanza i due capi cristiani, con spirito ecumenico, si assegnarono un compito preciso: «Gli esiti della conversazione mi permettono di assicurare che attualmente le due Chiese possono cooperare - riassunse Kirill - per la difesa dei cristiani e lavorare affinché non ci sia guerra e la vita umana venga rispettata ovunque». Cristiani sono i russi. Cristiani sono gli ucraini.
Il patriarca e il pontefice firmarono anche una dichiarazione congiunta che al paragrafo 26 conteneva un appello per risolvere il conflitto nell’area orientale del Donbass: «Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica e umanitaria. Invitiamo tutte le parti alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per raggiungere la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale». Questo auspicio verrà subito disatteso perché la Chiesa di Kiev si staccherà dalla Chiesa di Mosca per assumere una sua indipendenza gerarchica.
Per il governo di Kiev, comunque, papa Francesco è una lunga campata che conduce a Mosca. Ne è una prova inconfutabile la doppia evacuazione degli orfanotrofi di Vorzel e Kherson avvenuta fra il 9 e il 10 marzo per curare decine di neonati. Su richiesta delle autorità ucraine fu il Vaticano a intercedere con i generali russi per una tregua.
Il 22 marzo Zelensky e Bergoglio hanno parlato di pace e di come salvare i profughi che non hanno più tempo per aspettare che arrivi. Allora il 23 marzo, su mandato di papa Francesco, la segreteria di Stato col cardinale Pietro Parolin ha ordinato alla nunziatura di Kiev, fra le poche ambasciate che non hanno abbandonato mai la capitale, di allestire al più presto un piano per entrare in sicurezza con un convoglio di almeno 50 autobus a Mariupol e aprire un corridoio umanitario per estrarre dalla mattanza russa 2.500 civili alla volta finché consentito. Finché possibile.
Il cardinale Parolin ha discusso con Andriy Yermak, il capo di gabinetto di Zelensky. Il nunzio Kulbokas ha informato i suoi referenti al ministero degli Esteri di Kiev e ha affrontato i dettagli con la vicepresidente (cattolica) Irina Vereshchuk. La prima bozza prevedeva una missione a Mariupol di un vescovo cattolico e di un vescovo ortodosso. Per la Chiesa di Roma era pronto monsignor Pavlo Honcaruk, vescovo della diocesi di Zaporizhia. E sempre lì a Zaporizhia, il governo locale avrebbe fornito pacchi di viveri, l’assistenza dei medici e rifugi per la notte. «Poi ci siamo accorti che il livello era insufficiente per convincere i militari russi».
Così il Vaticano ha coinvolto la Chiesa di Mosca. Il patriarca Kirill I è in una posizione scomoda e perciò equivoca e confusa. Un giorno ha definito la «guerra giusta», un altro, il 16 marzo in videoconferenza con papa Francesco, l’ha ridefinita «ingiusta» e ha garantito l’impegno degli ortodossi per le «questioni umanitarie». In sostanziale coerenza con le ultime dichiarazioni, Kirill I ha accettato di partecipare al convoglio per Mariupol. Vuol dire che la missione era svolta in nome del patriarca di Mosca e del pontefice di Roma.
Un messaggio potente che accorciava le distanze fra i popoli e imponeva domande (e pressioni) ai governi. Il 27 marzo era la data scelta per la partenza. La delegazione l’avrebbe guidata il nunzio Kulbokas. Più titoli per i negoziatori e i cittadini del pianeta. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa fanno tacere le armi.
L’artiglieria di Mosca non spara più su Mariupol. Invece no. I generali russi hanno ignorato il pontefice e il patriarca. Non hanno fermato i cannoni. Hanno proibito alla carovana cattolica e ortodossa l’ingresso a Mariupol. «Un fallimento, un dolore. Un costo enorme. Un costo che non possiamo misurare – racconta monsignor Kulbokas – perché in mezzo ci sono vite che non abbiamo potuto sottrarre alla furia degli spari. È frustrante non riuscire a soddisfare le richieste di chi sta per morire. È molto complicato da accettare».
Da quel 27 marzo la diplomazia ha sentito la pace più lontana. E molte speranze sono appassite. Adesso le ragioni si capiscono. Almeno si percepiscono. Bergoglio ha cancellato l’appuntamento con Kirill I fissato a giugno a Gerusalemme su «indicazione della diplomazia vaticana». Duplice lettura: non inchinarsi a Mosca, non imbarazzare Kirill. Altra annotazione: il patriarca di Mosca, nonostante Mariupol, le tragedie, le sofferenze, le atrocità della guerra scatenata dall’Armata rossa, ha accolto alla veglia di Pasqua il fedele Putin con annessa candela e dunque ha confermato la sua totale sintonia col Cremlino. (Queste sono le immagini trasmesse, alcuni sospettano fossero di repertorio).
Però il Vaticano insiste puntando gli stessi varchi che Putin ha sbarrato. In questo modo va decifrata l’ultima lettera che papa Francesco ha indirizzato ancora a Kirill. «C’è stato un secondo piano per Mariupol», precisa il nunzio Kulbokas. Alla vigilia di Pasqua, per due operazioni, una pubblica, l’altra riservata, papa Francesco ha inviato per la terza volta in Ucraina il cardinale polacco Konrad Krajewski, l’elemosiniere apostolico. Krajewski ha consegnato un’ambulanza a Kiev e poi è andato a pregare fra le rovine apocalittiche di Borodjanka, Irpin, Vorzel, Bucha.
Il cardinale ha esitato a rientrare a Roma perché ha tentato invano di ricevere il nullaosta dai russi per accedere alla zona dell’acciaieria Azovstal di Mariupol e riportare alla luce e alla vita migliaia di civili intrappolati. «Ora sono qui in Vaticano e non ho programmi per domani. Papa Francesco mi ha suggerito di lasciare il motore acceso perché potrei tornare in Ucraina in qualsiasi momento. Siamo in uno stato di allerta permanente», puntualizza col suo tono perentorio il cardinale Krajewski.
Si sono registrate incomprensioni (o meglio, tensioni) anche fra il governo di Kiev e la Chiesa di Roma. Come per la preghiera pasquale di una donna ucraina e una russa. Il Papa ha ricevuto copiose critiche per la sua ritrosia nel citare Putin. In Ucraina la propaganda non ha risparmiato il Vaticano. La nunziatura apostolica ha smontato le menzogne più pericolose. Per esempio che l’Istituto per le opere religiose, meglio noto con l’acronimo Ior, custodisse i soldi di Putin.
Oppure che il Vaticano fosse contrario alle spedizioni di armi in Ucraina: «Ciascuno è libero di diventare martire e sacrificare sé stesso, ma la teologia cattolica - rammenta il nunzio Kulbokas - riconosce la legittima difesa. Noi non offriamo soluzioni politiche o militari. Questo è un principio chiaro. Noi non incoraggiamo un maggior armamento e non individuiamo le clausole di un accordo.
Per questo motivo, come esplicitato dal Papa, non ci rivolgiamo ai presidenti e non menzioniamo né il governo di Kiev né quello di Mosca, però lavoriamo sempre per la pace sapendo distinguere fra chi offende e chi reagisce. Sotto la croce non esistono distinzioni, ci sono gli ucraini e anche i russi. Non mandiamo via nessuno». A breve sarà in visita a Kiev monsignor Paul Richard Gallagher, il ministro degli Esteri. La diplomazia vaticana è concentrata sui civili e su un unico uomo che porta a Putin. Kirill I che fu Vladimir Michajlovic Gundjaev. Il sedicesimo patriarca di Mosca e di tutte le Russie.