BERSANI ADDIO! - SUL PASTICCIACCIO MARINI S’È SFALDATO IL “TORTELLO MAGICO”


Federico Geremicca per "la Stampa"

ALFANO E BERSANI

Una foto: l'abbraccio in Transatlantico con Angelino Alfano. Un grido fuori da Montecitorio: «Rodotà è il cambiamento, Marini il fallimento». E un affondo, quello di Michele Emiliano, sindaco di Bari.

«Non c'è altra possibilità che chiedere le dimissioni della segreteria del Pd». Ed eccolo, allora, in tre immagini, il giovedì nero di Pier Luigi Bersani: una sorta di Via Crucis che, cominciata il pomeriggio del 25 febbraio, sembra non dover finire mai... Ma anche le vie Crucis hanno passaggi più difficili di altri: e le ultime 24 ore del leader Pd sono state aspre e dure. Dure come forse prima mai.

Il peggio, naturalmente, si è manifestato ieri poco dopo ora di pranzo, quando i risultati della prima votazione per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica hanno certificato quella Caporetto che Bersani temeva solo, e della quale tutti gli altri - invece - erano già sicuri: soltanto 521 voti per Franco Marini, candidato concordato tra Bersani e Berlusconi.

Stefano Rodota

521 voti, una miseria rispetto ai 672 del quorum necessario per l'elezione ed ai 799 su cui poteva godere in partenza. Peggio di una sconfitta: una sorta di vero e proprio rigetto rispetto al nome proposto, all'ipotesi politica che aveva alle spalle (una intesa con Berlusconi anche per il governo) ed al metodo spiccio e solitario utilizzato da Bersani per tentare di venire a capo della complicatissima situazione determinatasi.

FRANCO MARINI E PIERLUIGI BERSANI

Appena appreso il risultato della votazione, il leader Pd ha lasciato Montecitorio per riunirsi - in un ristorante dietro Campo de' Fiori - col solito gruppetto di fedelissimi (Migliavacca, Errani e Letta) da tempo e sprezzantemente definito il «tortello magico». Lì, il leader Pd ha cercato di fare il punto della situazione per decidere come ripartire: ma in un clima e in un contesto che si andava facendo pesante ogni ora di più.

MICHELE EMILIANO

Franco Marini rifiutava di sottoscrivere qualunque dichiarazione di ritiro; i grandi elettori Pd alternavano ironie e contestazioni rispetto alla gestione di un passaggio così delicato; il centrodestra rigirava il coltello nella piaga dicendo «andiamo avanti con Marini, che alla quarta votazione ce la fa» e dalla periferia - ma perfino dal Pd di Parigi - si moltiplicavano accuse e appelli a cambiare strada ed a lasciar perdere ogni intesa con Berlusconi.

Maurizio Migliavacca

A metà pomeriggio uno sconsolatissimo Bruno Tabacci sintetizzava il disastro più o meno così: «Due giorni fa ho mandato un sms a Bersani: Pier, facciamo un solo nome - Amato - perché se andiamo da Berlusconi con una rosa ci indeboliamo e finiamo per far scegliere a lui il Presidente... Non mi ha risposto. In cambio, però, ha spaccato la coalizione e ha ottenuto che dei cinque partecipanti alle primarie solo lui voterà Marini: Vendola, Renzi, la Puppato e io, infatti, votiamo altro. Anzi, visto che sta per iniziare la seconda votazione, io comincio a scrivere il nome di Prodi fin da ora... E un'ultima cosa: ho chiamato Renzi per dargli atto della battaglia condotta a viso aperto e del coraggio dimostrato...».

PIERLUIGI BERSANI E VASCO ERRANI

Intorno a Bersani, insomma, tutto andava lentamente decomponendosi. Il segretario dava indicazione di scheda bianca per la seconda votazione così da aver ancora un po' di tempo a disposizione per decidere il che fare. Alla fine, però, decideva di non fare: di fronte al ribollire del partito, abdicava a ogni ruolo di direzione, convocando (pare su proposta di D'Alema) i Grandi elettori per stamane, così che decidano loro - attraverso primarie lampo - il nome del nuovo candidato Pd per il Quirinale... La confusione giungeva dunque al massimo. E così, mentre Enrico Letta proponeva a Berlusconi un cambio di cavallo - Sergio Mattarella invece che Marini - ricevendo un no, Beppe Fioroni si precipitava a palazzo Giustiniani per chiedere all'ex Presidente del Senato un passo indietro, ricevendone un altro no...

ie11 bersani letta

Alla fine, mentre Matteo Renzi si metteva in treno per venire a Roma e festeggiare con i suoi parlamentari la sconfitta del tandem Bersani-Marini, il leader dei democratici cercava di recuperare il recuperabile. Le richieste di dimissioni si moltiplicavano, le critiche grandinavano e trovare la rotta risultava sempre più difficile.

Difficile perché il segretario sentiva l'ostilità e l'isolamento crescere intorno a lui. E intanto ancora pensava a com'era stato possibile che perfino la prima delle sue fedelissime, Alessandra Moretti, avesse bocciato la scelta di puntare su Marini, decidendo di votare scheda bianca. La più dolorosa, forse, delle schede bianche...