BRUXELLES, FUORI I SOLDI - DRAGHI E MACRON D’ACCORDO NEL PROPORRE AL CONSIGLIO EUROPEO DI OGGI UN RECOVERY FUND DI GUERRA, CON L’EMISSIONE DI DEBITO COMUNE - L'OBIETTIVO E’ AFFRONTARE LE SPESE CHE I SINGOLI BILANCI NAZIONALI NON SONO IN GRADO DI SOSTENERE, RIMEDIARE ALLA CRISI ECONOMICA ED ENERGETICA INNESCATA DALLA GUERRA, RACCOGLIERE I FONDI DEDICATI ALLA RICOSTRUZIONE DELL'UCRAINA E RISORSE ADEGUATE CON CUI FAR DECOLLARE IL PROGETTO DELLA DIFESA COMUNE…
-Alberto Gentili per “il Messaggero”
Cauta soddisfazione per il primo passo verso il tetto «temporaneo» al prezzo del gas. Un mezzo evviva per essere riuscito, con la sponda di Emmanuel Macron e Olaf Scholz, a rendere di «dimensione europea» la questione del blocco del grano ucraino.
E soprattutto l'intenzione di andare a Bruxelles per chiedere, assieme al presidente francese, un Recovery Fund di guerra. Con questo spirito e questi obiettivi Mario Draghi oggi si presenterà al Consiglio europeo straordinario di Bruxelles.
Nella bozza di conclusioni del vertice non se ne fa cenno. Ma da quanto filtra, Draghi chiederà ai partner europei - al pari di Macron - di costruire un nuovo Recovery Fund.
Con l'emissione di titoli di debito comune, com' è accaduto nella lotta alla pandemia.
L'obiettivo: affrontare le spese - che «i singoli bilanci nazionali non sono in grado di sostenere» - per rimediare alla crisi economica ed energetica innescata dalla guerra, per raccogliere i fondi dedicati alla ricostruzione dell'Ucraina, per riempire gli arsenali militari che si stanno svuotando a causa delle armi date a Kiev per resistere all'aggressione russa.
E per raccogliere risorse adeguate con cui far decollare il progetto della Difesa comune europea. Un primo affondo che, sa bene il premier italiano, non otterrà un risultato immediato. Ma che potrebbe essere portato a casa da Macron nel Consiglio Ue di fine giugno, quando la Francia concluderà la presidenza di turno dell'Unione.
C'è poi la questione del price cap.
E' da quando è esplosa la guerra e il prezzo del gas si è impennato, che Draghi invoca un tetto al costo del metano. E al vertice Ue, se supererà le ultime resistenze di Germania e Olanda che rastrellano guadagni extra grazie all'impennata delle quotazioni del metano, il premier italiano potrebbe andare all'incasso. Condizionale d'obbligo: «L'accordo è ancora da costruire, la Germania e i Nordici restano contrari. Siamo in mare aperto», spiega una fonte diplomatica.
Traduzione: il tetto «temporaneo» deve essere ancora definito nei suoi aspetti politici e tecnici. E soprattutto sarà da capire se scatterà solo in presenza di un accordo dei Paesi del G7, inclusi Usa, Regno Unito, Canada e Giappone.
Di certo, c'è che nell'ultima bozza delle conclusioni del vertice Ue è entrata, grazie al lavoro dell'ambasciatore Pietro Benassi, la possibilità di introdurre appunto il price cap. Ipotesi assente nelle precedenti versioni.
Come era assente la richiesta italiana di slegare il prezzo dell'elettricità da quello del metano: l'ormai famoso decoupling. «Ma su questa soluzione ora è schierata anche la Francia», dicono fonti di governo. Si vedrà.
E' stato fatto qualche passo avanti anche sul nodo, ritenuto cruciale da Draghi, della crisi alimentare. Il Consiglio Ue inviterà «la Russia a revocare il blocco dei porti ucraini del Mar Nero per esportare il grano». In più, la Ue annuncia «misure attive», come i corridoi di solidarietà, «per facilitare esportazioni agricole dell'Ucraina».
Ne parlerà presidente del Consiglio Ue Charles Michel con il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres. Ciò non impedirà a Draghi di provare a portare avanti, assieme a Macron e al tedesco Scholz, il tentativo di scongiurare la crisi alimentare innescata dal blocco dei cereali nei silos ucraini. Per evitare che «milioni e milioni di persone», come ha detto giovedì Draghi dopo il colloquio con Vladimir Putin, muoiano di fame. E per sventare una nuova ondata migratoria dall'Africa all'Europa.
IL PRESSING SU PUTIN
Da qui l'intenzione di Italia, Francia e Germania di rilanciare il pressing diplomatico su Putin. Pressing che punta a spingere Mosca ad avviare il negoziato almeno su un settore «specifico» come la crisi alimentare. Una diplomazia dei piccoli passi che, partendo dalla questione del grano, potrebbe permettere di riaprire un canale di dialogo tra Mosca e Kiev.
E, soprattutto, potrebbe arginare l'emergenza-fame. Il primo step, la precondizione, sarà spingere Volodymyr Zelensky e Putin a imbandire un tavolo (a livello di ministri degli Esteri o più semplicemente di sherpa) sulle garanzie reciproche. Dove dovrebbero essere definite le condizioni in base alle quali sminare i porti ucraini. E, soprattutto, l'impegno di Putin a non attaccare Odessa una volta che la città diventerà vulnerabile perché non più protetta dalle mine.
Fallisce invece il tentativo dell'Italia si inserire nelle conclusioni del Consiglio Ue l'impegno negoziale. Nella bozza finale non compaiono parole come «tregua», «pace», «cessate il fuoco», a causa del muro alzato da Polonia e dai Paesi Baltici determinati a indebolire quanto più possibile Putin. Ma viene ribadito che la Ue «rimane impegnata a rafforzare la capacità dell'Ucraina nella difesa dell'integrità territoriale», aumentando «il sostegno militare» a Kiev. Cosa che per il momento Draghi ha messo in stand-by: «Del quarto decreto-armi se ne parlerà, eventualmente, solo dopo il vertice Nato del 29 e 30 giugno», dice un'alta fonte di governo.