CALA IL SIPARIO SUL PASTICCIACCIO DI REITHERA – LA SOCIETÀ DEL “VACCINO ITALIANO”, SU CUI L’INVITALIA DI ARCURI HA BUTTATO 15 MILIONI DI EURO, È IN VENDUTA A UN FONDO: È STATA L’ULTIMA DECISIONE DELL’EX COMMISSARIO COVID PRIMA DI LASCIARE LA PARTECIPATA – A QUANTO SARÀ CEDUTA LA QUOTA DEL 27%? NON SI SA, MA SARÀ DIFFICILE CHE L’INVESTIMENTO PUBBLICO RIENTRI. MORALE DELLA FAVA: NON SOLO NON ABBIAMO AVUTO IL VACCINO ITALIANO, MA…
-Camilla Conti per “La Verità”
Proviamo a raggiungere una qualche indipendenza anche nella dotazione dei vaccini. Il governo ha destinato risorse sufficienti a finanziare lo sviluppo successivo della sperimentazione e tramite una società pubblica entrerà in Reithera anche con una operazione di equity, i contratti di sviluppo serviranno a finanziare la ricerca e una stabilizzazione incrementale della produzione».
Così parlò il 5 gennaio 2021 Domenico Arcuri, al tempo commissario straordinario per l'emergenza Covid nella conferenza stampa di presentazione dei risultati della Fase 1 della sperimentazione del vaccino Reithera. La società pubblica era Invitalia, guidata dallo stesso Arcuri, che sottoscrivendo l'aumento di capitale riservato a terzi è diventata azionista con il 27%.
Una scommessa da circa 15 milioni di euro sul «vaccino italiano», come venne chiamato in quel periodo dallo stesso commissario, da alcuni rappresentanti del governo e dai media mainstream. La storia ha poi preso una piega del tutto diversa e assai lontana da quel moto d'orgoglio tricolore.
Ed eccoci all'epilogo: Arcuri è stato da poco sostituito con Bernardo Mattarella al vertice di Invitalia ma prima di lasciare ha messo in vendita quel 27% di Reithera: il 20 dicembre 2021, si legge infatti nel bilancio dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti, Invitalia «ha ricevuto una manifestazione di interesse da una importante fondo che opera nel settore farmaceutico per l'acquisto fino al 100% della partecipazione di Reithera. Le attività di due diligence sono ancora in corso alla data di rilevazione del documento». Chi sia il fondo non si sa, né il prezzo su cui si sta trattando.
Ma cosa era successo in quei mesi di «passione» per Reithera? Riavvolgiamo un attimo il nastro degli eventi: a metà marzo 2020 l'istituto Spallanzani chiude un accordo con Reithera e avvia il primo mini finanziamento. Il 23 marzo il Consiglio nazionale delle ricerche approva il protocollo d'intesa con l'istituto romano che riceve così 8 milioni: 5 dalla Regione Lazio e 3 dal Cnr.
Tra aprile e maggio Arcuri convoca i vertici di Reithera suggerendo di non ascoltare le sirene di fondi esteri. Il vaccino sarebbe dovuto rimanere italiano, anche a costo di brandire l'arma del golden power. A febbraio del 2021 Invitalia finalizza la promessa di finanziare il vaccino con 49 milioni: 41,2 milioni a fondo perduto e 7,8 milioni di finanziamento agevolato.
I restanti 32 milioni erano invece fondi stanziati da Reithera con finanziamenti propri. Invitalia, quando diventa socio, ne versa soltanto 15. Con l'arrivo di Mario Draghi, Arcuri decade da commissario. L'11 maggio la Corte dei conti boccia il contratto di Reithera con Invitalia perché l'investimento per il progetto non può comprendere l'acquisto della sede operativa.
Attenzione: i ricercatori dello Spallanzani avrebbero dovuto coordinare la sperimentazione con Reithera ma il via libera al reclutamento dei volontari non è mai arrivato dai vertici dell'istituto che hanno preferito scommettere sul vaccino russo Sputnik, per altro mai autorizzato dall'Ema, proponendone anche la produzione nelle aziende del territorio.
Eppure Reithera aveva fatto proprio con l'istituto la prima fase della sperimentazione ed era quasi scontato che il rapporto continuasse. Invece il percorso si è interrotto attorno a metà marzo del 2021, dunque ben prima dello stop della Corte dei conti al finanziamento per lo sviluppo di Reithera avvenuto a maggio, ma nelle stesse settimane in cui è iniziata la collaborazione tra lo Spallanzani con i russi di Gamaleya.
A settembre dell'anno scorso La Verità ha raccolto il commento amaro del management di Reithera: «Ad un impegno che era stato preso anche pubblicamente dalle istituzioni sulla sperimentazione del vaccino di Reithera e sulla necessità di produrre vaccini in Italia, non c'è stato, di fatto, alcun seguito. E questo nonostante Reithera avesse pubblicamente messo a disposizione il know-how e la propria capacità produttiva per rispondere anche con la produzione di tipo mRna, coerentemente con alcune indicazioni della Ue, sia nel sito di Castel Romano sia attraverso collaborazioni esterne, così come già fa da tempo per altri vaccini».
Ora il cerchio si chiude. Sarà difficile per Invitalia, dopo aver versato circa 15 milioni per la quota di Reithera, rivenderla a un fondo incassando la stessa cifra. Quindi, non solo non abbiamo avuto il «vaccino italiano», non solo abbiamo dato la precedenza alla collaborazione con i russi su Sputnik con tutte le polemiche sullo scambio di informazioni che sono scoppiate nel marzo scorso, non solo abbiamo perso la Catalent che ha lasciato Anagni per fare rotta sull'Inghilterra dopo il pantano burocratico che ha bloccato gli investimenti, ma ora Invitalia, controllata dallo Stato, ci rimette altri soldi.
Nel frattempo, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ieri ha autorizzato un accordo di programma presentato dall'azienda chimico-farmaceutica Biomedica Foscama che punta ad ampliare la capacità produttiva di vaccini anti Covid nel sito di Ferentino (Frosinone). Per finanziare l'intervento le risorse sul piatto sono complessivamente 22,6 milioni, di cui il Mise mette a disposizione agevolazioni pari a 17,9 milioni che consentiranno di aumentare l'occupazione, con 80 nuovi posti di lavoro. Ma lo sviluppo industriale riguarda solo l'infialamento delle dosi. Altro che vaccino italiano.