CALENDE ROMANE – L’EX MINISTRO DI RENZI SI CANDIDA PER IL CAMPIDOGLIO E CHIEDE L’APPOGGIO DI ZINGARETTI – MA TRA I DEM C’E’ CHI LO IMPALLINA: “CALENDA SAREBBE IL PEGGIOR CANDIDATO POSSIBILE PER IL SECONDO TURNO PERCHE’ I GRILLINI NON LO VOTEREBBERO MAI” – IL VERO OSTACOLO A QUALSIASI ACCORDO PD-M5S RESTA LA RAGGI. DI MAIO AVRA' LA FORZA DI STOPPARE LA SINDACA USCENTE? - INTANTO ZINGA INSISTE PER LE PRIMARIE
-Mario Aiello e Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”
Tutto il resto è ancora in alto mare. Solo due punti sono ormai acquisiti nella partita elettorale di Roma: in campo per ora ci sono soltanto Virginia Raggi e Carlo Calenda. La prima è sostenuta un po' sì ma anche un po' no da Di Maio che tiene aperto il dialogo con il Pd (e nell' entourage della sindaca il ministro stellato non va per la maggiore con sfoghi del tipo: a che gioco sta giocando? Al doppio gioco?).
Il secondo ha capito che con il Pd non può andare («Mi chiedono abiure, ma questa è una cultura che non mi appartiene», «Mi dicono che devo smettere di criticare il governo rossogiallo ma io continuo») perché sono troppo distanti su tutto e in queste ore ha deciso che correrà per il Campidoglio in maniera autonoma. Il leader di Azione ancora non ha dato l' annuncio ufficiale, lo darà dopo aver visto domani i sondaggi che ha commissionato - uno su lui in solitudine e uno su lui in alleanza con il Pd - ma intanto non fa che dire a chi gli parla che è pronto, prontissimo, e insomma ci siamo.
Fonti di Azione confermano che il dado è tratto: «Ci prepariamo ad andare avanti anche senza il Pd. Riteniamo che il Pd prenda tempo, anche attraverso le primarie, per provare fino alla fine a fare un' alleanza con i 5 stelle. Ed è inaccettabile tenere la questione Roma ostaggio dei giochini dei dem e dei grillini». Dunque, con una candidatura che spariglia e che cade come una bomba nei tatticismi del Nazareno, l' ex ministro dello Sviluppo economico diventa la variabile con cui fare i conti.
Ed è quella temuta al massimo grado da Zingaretti, perché rovina il percorso che il segretario del Pd aveva di fatto già deciso: il nostro candidato arriverà al ballottaggio e poi i voti della Raggi al primo turno giungeranno a noi, grazie al fatto che faremo scattare l' unità anti-fascista contro il pericolo della destra. Ora e sempre Resistenza, praticamente.
E invece, no. Calenda non solo toglierà voti a sinistra, ma anche a destra - questo il disegno su cui ragiona l' ex ministro - e pescando un po' ovunque, anche in quel mare magnum che l' altra volta mandò la Raggi al Campidoglio, può puntare al ballottaggio.
A quel punto, gli elettori del Pd sosterranno lui o il candidato della destra? Dalle parti della Raggi sono convinti che Calenda in campo gli elettori di sinistra si spaventano e in prima battuta scelgono lei.
Mandandola al secondo turno.
Il profilo che Calenda si vuole dare in questa gara è quello che gli appartiene: dell' uomo del fare, di uno che ha lavorato nelle aziende (la Ferrari per esempio) e che allo stesso tempo ha esperienza politica e di governo e Roma con un mix di questo tipo, che poi è quello che cerca anche il centrodestra (modello Bucci a Genova, o Brugnaro a Venezia), potrebbe darsi un futuro. Ieri gli è arrivato l' appoggio del radicale Riccardo Magi (ma in chiave Pd: «I dem non devono farsi scappare l' occasione Calenda»), dopo quelli di Italia Viva, di vari pezzi di sinistra ma anche di cittadini senza etichette, e l' obiettivo del leader di Azione è far saltare schemi, rompere abitudini elettorali, dare scosse e fare sviluppo. Velleità? Comunque tutti le temono, e assai. E c' è qualcuno, Renzi, che da più di un anno va dicendo: «Calenda sarebbe il miglior sindaco di Roma». Si attende l' endorsement di Matteo.
Raggi intanto cerca di tenere unite quantomeno le truppe stellate. In Campidoglio, 5 consiglieri della sua maggioranza si sono ormai sfilati e non escludono l' accordo col Pd (senza Virginia, ovviamente).
A patto che «si ragioni sui temi». I dissidenti soprattutto spingono per le comunarie, le primarie online, per rimettere in gioco la corsa bis della sindaca. La quale vorrebbe evitare la conta tra i militanti: «Si sono già espressi su Rousseau ad agosto», dicono i fedelissimi di Virginia.
La replica: «Ma nel quesito non c' era il nome di Raggi, il tema era generale. E hanno votato gli attivisti di tutta Italia, mica solo di Roma». Se comunarie saranno, Raggi sa che avrà bisogno di tutti i clic della base per strappare la riconferma. Anche perché i dissidenti di sicuro presenteranno un candidato alternativo che potrebbe insidiarla. I 5 ribelli, nel 2016, avevano aggregato migliaia di preferenze. Ecco perché ieri Raggi ha convocato gli attivisti via Zoom.
Pochi si sono connessi: 542 su migliaia di iscritti. «Dobbiamo restare uniti - ha detto Raggi - niente polemiche. Facciamo ragionamenti, poi però serve sintesi. Dobbiamo ascoltare di più i territori e valorizzare gli attivisti, forse si sono sentiti scollati», ha ammesso la sindaca. Sulle difficoltà del M5S nazionale, Raggi sceglie una posizione mediana: «Non possiamo perdere i nostri principi, ma il mondo cambia». Alla riunione sono stati invitati alcuni big stellati come Paola Taverna e Di Battista. Che ha confermato l' endorsement per Virginia: «La sostengo, la sua candidatura non è negoziabile. Può rivincere. Il futuro del Movimento deve essere autonomo da destra e sinistra».
IL MESSAGGIO DI CALENDA AL PD
MARIA TERESA MELI per il Corriere della Sera
Carlo Calenda invia un messaggio a Nicola Zingaretti al quale fa intendere che non scenderà in campo contro il Partito democratico, come molti dem temono. È questo il senso del suo tweet di ieri: «Se decidessi di candidarmi chiederei certamente l'appoggio del Pd».
Però il messaggio all'indirizzo del Nazareno è duplice perché subito dopo l'ex ministro aggiunge: «Ma non potrei fare abiura sul governo». Tradotto: i dem non mi possono chiedere, come pure informalmente stanno già facendo, di ammorbidire i toni nei confronti di Giuseppe Conte né tantomeno dei grillini. Insomma, Calenda non vuole cambiare linea politica, ma, a meno che non lo si costringa, non vuole andare alla guerra con i dem . Del resto l'ex ministro in questi giorni sta sentendo spesso Nicola Zingaretti. Che con lui ha insistito sull'importanza di fare le primarie.
Ai piani alti del Partito democratico, benché la posizione ufficiale sia «nessuna pregiudiziale», si registra ancora una certa freddezza nei confronti della candidatura Calenda. Lo si arguisce dalle dichiarazioni del ministro Enzo Amendola: «I candidati sindaci si scelgono nelle città, ascoltando le esigenze dei dirigenti locali perché la decisione spetta a loro».
Dunque, non proprio un «Benvenuto Calenda». E poco dopo ecco arrivare il plauso di Zingaretti a quelle affermazioni: «Voglio ringraziare Amendola che, con la saggezza che gli è riconosciuta, ha detto l'unica cosa sensata in questo delirio di chiacchiericcio e retroscena inesistenti. Il candidato sindaco di Roma lo decideranno i dirigenti e i cittadini romani». Quei dirigenti romani che in questi giorni vanno dicendo: «Calenda è il miglior candidato per il primo turno, ma non per il secondo perché i grillini non lo voterebbero mai».
Uno spettatore esterno - e interessato - come il senatore di Forza Italia Francesco Giro traduce così le dichiarazioni dei vertici del Pd: «È chiaro che non candideranno Calenda». E l'ex ministro dello Sviluppo economico continua a coltivare un sospetto che non cerca di nascondere: «Mi pare che la questione non siano più le primarie ma la necessità di trovare una candidatura comune con i 5 Stelle». Ma dal Nazareno negano con forza che siano in ballo intese con i grillini. E fanno sapere che il segretario è «contrarissimo a qualsiasi accordo su Roma con il Movimento 5 stelle».
Altro discorso per quel che riguarda Bologna e Napoli, che parteciperanno alla stessa tornata elettorale e dove sono in corso delle trattative. Trattative che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ansioso di riprendersi la guida del Movimento, vorrebbe estendere anche a Torino e Milano. Ma in quelle due città la situazione appare assai più complicata. Soprattutto nel capoluogo piemontese, dove i dirigenti locali del Partito democratico non vogliono sentir parlare di accordi con grillini.
Un po' come a Roma, dove l'esperienza della giunta Raggi ha scavato un fosso tra i dem capitolini e i 5 Stelle. Tutto fermo, dunque? All'apparenza sì. La situazione appare infatti incartata e sicuramente la riunione di tutte le forze del centrosinistra romano (è invitata anche Azione, la formazione di Calenda) promossa dal Pd per domani non servirà a sciogliere i nodi. Però il potente segretario dei dem del Lazio, il franceschiniano Bruno Astorre, lascia aperto ancora uno spiraglio: «Da mesi diciamo che l'alleanza con i 5 Stelle va calata nei territori. Ma a Roma c'è un ostacolo insormontabile che va rimosso». Ovverosia Virginia Raggi. Di Maio avrà mai la forza di «rimuovere» la sindaca uscente?