LA CAMPAGNA DI ROMA ALL’INSEGNA DEL “NON FACCIAMOCI DEL MALE”: TUTTI HANNO QUALCHE SCHELETRO NELL’ARMADIO
Fabio Martini per "La Stampa"
In queste ore percorrendo lo stradone simbolo della periferia romana, l'interminabile viale Palmiro Togliatti, si può godere un piano-sequenza eloquente: un fiorire di manifesti con facce di candidati al Consiglio comunale che si limitano a consigliare l'elettore («Vota per...»), evitando però di esporsi con i fantasiosi slogan di una volta. In questa striscia di facce anonime spunta ma molto raramente - anche il viso del principale sfidante del sindaco Alemanno, il chirurgo del Pd Ignazio Marino.
Un manifesto che sembra un fumetto. Lui sorride e tiene un cartello scritto a mano: «Quello che fa un sindaco». Una campagna elettorale così civile, quella del «marziano» Marino, da rischiare l'invisibilità? Sostiene la romanissima Flavia Perina, già direttrice del «Secolo d'Italia», oggi lontana da tutte le fazioni: «È la campagna elettorale più triste del mondo, Roma ha paura di prendere posizione, si barcamena».
Curioso: se le campagne elettorali sono l'occasione per sviscerare problemi e futuro di una città, in queste settimane l'opposizione ha quasi rimosso l'eredità più ingombrante del sindaco uscente: la caterva di assunzioni clientelari, roba mai vista prima, che un anno fa sembravano condannare Alemanno ad una sicura sconfitta.
Sostiene Corrado Bernardo, sanguigno ex assessore democristiano delle giunte di pentapartito, uno dei massimi conoscitori della Roma politica degli ultimi 40 anni: «Il Pd è reticente sulla gestione Alemanno perché non può permettersi crociate moraliste e teme rappresaglie: le precedenti giunte di sinistra non erano state da meno, quantomeno nei metodi. La verità è che Roma è l'unica città dove i partiti contano ancora tantissimo, sono loro i veri poteri forti!».
Roma, ultima roccaforte della partitocrazia è una chiave di lettura confermata da dati incontrovertibili: nella capitale sono talmente tanti i santuari pubblici e parapubblici che la spintarella politica per centinaia di migliaia di persone è stata - e in parte resta - decisiva per avere un posto al sole, in retrovia, precario che può diventare stabile. E non soltanto in Comune, Regione e Provincia. Ma anche in tutti i ministeri. Alla Camera e al Senato. Alla Rai e al Coni. A Cinecittà e nelle Asl.
Nelle scassate ma accoglienti municipalizzate. Negli ospedali. Nelle Autorithy. Nelle tre Università. All'Auditorium. E la mano pubblica è decisiva nelle continue «revisioni» che accompagnano l'unica, grande opera faraonica in realizzazione a Roma: la linea C della metropolitana.
Dal 1976 al 2006, in un arco temporale durato un trentennio (va escluso l'intervallo 1985-1993 delle giunte pentapartito), Roma è stata governata dalla sinistra con sindaci memorabili per diverse ragioni come Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli e poi dai sindaci progressisti della Seconda Repubblica, sui quali è lusinghiero il giudizio di uno storico indipendente come Vittorio Vidotto che nel suo «Roma contemporanea» per Laterza ha dato conto del «nuovo orgoglio cittadino per una città che appare più ordinata e più efficiente grazie alla buona amministrazione» delle giunte di Walter Veltroni e, in particolare, di Francesco Rutelli.
Anni di buona amministrazione, grazie anche alla sapiente regia di un politico-intellettuale come Goffredo Bettini, ma anche anni nei quali la sinistra romana post-comunista (alleata con l'ala più pragmatica dell'ambientalismo) ha costruito un solido sistema di potere.
Simboliche sono diventate le feste indette da Bettini per i suoi compleanni, alle quali sono puntualmente invitati quelli che considera suoi amici, a cominciare da Gianni Letta e dall'ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, di gran lunga il più forte imprenditore romano. Bettini nuovo Andreotti della politica romana? «Lavoro e vivo in 15 metri quadri, stanza da pranzo studio e salotto sono in un unico spazio: questo è il mio apparato, non ho incarichi».
Tutto vero. Ma in 21 anni di potere la sinistra ha fatte le sue clientele. Nell'amato mondo della cultura e in quello delle municipalizzate. Con vicende grottesche. Come quando l'Ama (l'azienda che fatica a garantire la pulizia di Roma) pensò di proporsi in un Paese come il Senegal.
Una figuraccia: il consiglio dei ministri di Dakar accusò addirittura la società capitolina di aver favorito un'epidemia di colera, lamentando il mancato pagamento degli stipendi a centinaia di lavoratori africani e la scomparsa di tanti soldi per finire una discarica. Al di là delle esorbitanti accuse senegalesi l'esito come ha scritto il procuratore della Corte dei Conti Ivan De Musso - «è stato fallimentare, con ingenti danni cumulati, con pesante accollo al Comune di Roma».
Certo, nei cinque anni di Alemanno, la gestione della macchina comunale si è rivelata memorabile. Inchieste sono state aperte su ben 850 assunzioni sospette all'Atac, l'azienda dei trasporti e non sono stati fortunati presidenti e ad dell'Ama: Stefano Andrini, un ex camerata, è stato costretto a dimettersi perché coinvolto in un'inchiesta sui voti della ‘ndrangheta, mentre Franco Panzironi è a giudizio perché avrebbe pilotato 841 assunzioni.
Ma se l'Atac (dice la Corte dei Conti) è sull'orlo della bancarotta e l'Ama non sta bene, la malagestione non può che avere una storia lunga e in questo senso ha buoni argomenti Alfio Marchini, 48 anni, imprenditore, il terzo incomodo nella corsa al Campidoglio: «Come si fa a pensare che la situazione delle municipalizzate e gli enormi problemi di questa città siano responsabilità del solo Alemanno, che comunque resta il peggior sindaco di sempre?».
Un episodio esemplare. Pochi giorni fa il Comune ha rinnovato i vertici dell'Atac, confermando presidente e ad, ma indicando nel Cda tre dipendenti pubblici, rimovibili dalla futura amministrazione. L'ennesimo scambio con la sinistra, «chiamata» a non infierire sul clientelismo?
In campagna elettorale l'unico a denunciare, attento ad argomentare, una sorta di equivalenza destra-sinistra è stato il candidato sindaco del Cinque Stelle, Marcello De Vito, un avvocato specializzato in appalti pubblici. Oggi tra Alemanno e Marino, impegnati nei comizi finali a fianco di Berlusconi ed Epifani, non mancheranno fuochi d'artificio e accuse reciproche, che non cambieranno il senso di una battaglia. Condotta col «silenziatore», da entrambi i fronti.