IL CANTO DEL CIGNO DI SU-DARIO - FRANCESCHINI SENTE TRABALLARE LA SUA POLTRONA DI MINISTRO E CAPO-DELEGAZIONE E SI SCHIERA AI PIEDI DI CONTE CONTRO IL 60% DEL PD (ORLANDO, GUERINI, ORFINI) CHE SUPPORTA L'AZIONE DI RENZI PER UN GOVERNO DI RICOSTRUZIONE NAZIONALE A GUIDA DRAGHI: "A RENZI NON FREGA NIENTE DEL CONTE 3 O DEL DRAGHI 1, VUOLE SOLO FAR BALLARE TUTTI" - E LA BUTTA IN CACIARA: "SE SI APRE LA CRISI, SI VA A VOTARE. CONTE CONTRO SALVINI E CE LA GIOCHIAMO" - ECCO: PROPRIO QUELLO CHE NON PERMETTERANNO MAI MATTARELLA E L'EUROPA CHE SBORSA MILIARDI PER MANTENERE A GALLA IL PAESE
-
Francesco Verderami per il "Corriere della sera"
«...E allora, se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo». Si vedrà se le parole di Franceschini anticipano una strategia o sono solo tattica, se rappresentano un espediente per snidare Renzi o un deterrente per inibirne l'offensiva. Di certo in questi giorni il capodelegazione del Pd al governo ripete sempre lo stesso concetto, lo pone al termine di un lungo ragionamento sviluppato con alcuni alleati e vari esponenti del suo partito.
Il ministro della Cultura ritiene che le manovre di Renzi partano da un calcolo, e cioè che in caso di crisi non si andrebbe alle urne: a blindare la legislatura sarebbe l'elezione del presidente della Repubblica e la priorità dell'attuale maggioranza di non consegnare il Colle dopo il voto a un candidato di Salvini. Ed è qui che Franceschini offre una diversa chiave di lettura della situazione. Il fatto è che oggi - nel computo dei grandi elettori necessari a scegliere il futuro capo dello Stato - la coalizione di governo e le forze di opposizione sono in sostanziale parità, dettaglio rimarcato dal capo della Lega.
In questo quadro, privo di numeri certi e con l'impossibilità di controllare la massa di peones in libera uscita, Renzi sarebbe determinante.
«A lui non frega niente del Conte 3 o del Draghi 1»: se si aprisse la crisi - secondo il dirigente dem - l' ex premier si porrebbe al crocevia di ogni scenario e farebbe «ballare tutti». Per raggiungere l' obiettivo preferirebbe che il governo cadesse per un incidente, per non intestarsene la responsabilità. In ogni caso, l' esito della crisi sarebbe «incerto», la situazione «potrebbe solo peggiorare» e il sistema finirebbe nel «pantano».
Stando così le cose, «sarebbe allora preferibile andare alle urne con l'attuale sistema di voto», che prevedendo lo scontro nei collegi spinge i partiti a coalizzarsi. E il dirigente dem già prefigura una coalizione composta da M5S, Pd, una lista di sinistra «e una lista Conte». Ovviamente Iv sarebbe fuori dalla squadra, «perché chi ha provocato la crisi poi non potrebbe pensare di stare con noi». Raccontano che, ogni qualvolta affronta questo tema, il dirigente dem si trasfiguri: è facile supporre che miri a gettare scompiglio nelle file renziane.
È più difficile invece immaginare come si possa comporre il puzzle dell'alleanza giallorossa e come possa pensare di competere con il centrodestra. «Invece penso che potremmo giocarcela», è la risposta di Franceschini, secondo il quale Conte - se i sondaggi sono veritieri - «ha ancora una certa presa sull'opinione pubblica, si presenterebbe come la vittima di un complotto di Palazzo e potrebbe conquistare voti al centro, senza prenderne al Pd e a M5S. Perciò andrebbe sfruttato il suo valore aggiunto, perché potrebbe vincere».
Ma anche una sconfitta nelle urne, a suo parere, non stravolgerebbe gli equilibri per la successiva corsa al Colle: «Numericamente sarebbe una sfida bilanciata con il centrodestra, mi spiego? E poi Conte è nato con la camicia...».
L'eufemismo serve a evidenziare una particolare dote del premier, ché sulle sue qualità politiche Franceschini preferisce glissare. L'altro giorno, al vertice con il Pd per la verifica, l'ha sentito esordire così con Zingaretti: «Se avete qualcuno da cambiare tra i vostri ministri, ditemelo». Il segretario dem, che per indole non si confida nemmeno con se stesso, ha deglutito prima di lasciar cadere la domanda. E Conte, non avendo ricevuto risposta, gli ha riproposto subito il quesito. Un silenzio imbarazzato ha riempito la stanza, fino a quando Franceschini ha provato a spiegare al premier che «la verifica non è il rimpasto. Serve piuttosto a stabilire una linea politica, ad aggiornare il programma...».
Come altro doveva fargli capire che se cascasse il Conte 2 non ci sarebbe un Conte 3?
Che Renzi «gli ha promesso di farlo restare a palazzo Chigi, così come ha promesso quel posto a Di Maio e Zingaretti?». Quanto al rimpasto, il capodelegazione del Pd ha provato a contemplarlo nelle discussioni di questi giorni, «e teoricamente si potrebbe anche fare»: «Ma poi non cambierebbe nulla, non avremmo la stabilità. Perciò la scelta non è tra un miglioramento della situazione e le elezioni. Ma tra un peggioramento della situazione e le elezioni. Quindi, in caso di crisi, sarebbe opportuno prendere la strada più lineare».
La linearità però non è una categoria della politica. E i dubbi che Franceschini coltiva sulle reali volontà di Renzi di aprire la crisi, sono gli stessi dubbi che Renzi coltiva sulle reali volontà di Franceschini di andare alle elezioni. Anche se l'uno dice dell'altro: «Non ha capito che stavolta faccio sul serio».