CAPPUCCETTO ROTTO - GRAMELLINI TORNA SULL'ARTICOLO SCRITTO SU SILVIA ROMANO ALL'INDOMANI DEL RAPIMENTO, IN CUI DAVA RAGIONE ''A CHI DICE CHE AVREBBE POTUTO SODDISFARE LE SUE SMANIE D’ALTRUISMO IN QUALCHE MENSA NOSTRANA DELLA CARITAS, INVECE DI ANDARE A RISCHIARE LA PELLE IN UN VILLAGGIO SPERDUTO NEL CUORE DELLA FORESTA. LA SUA SCELTA AVVENTATA RISCHIA DI COSTARE AI CONTRIBUENTI ITALIANI UN CORPOSO RISCATTO'' - ''FU UN ERRORE DI COMUNICAZIONE, ME NE SCUSO PERCHÉ…''
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Massimo Gramellini su Facebook:
Sull’onda di una splendida notizia, la liberazione di Silvia Romano, sui social è rispuntato il Caffè che scrissi il giorno del suo rapimento. Nelle mie intenzioni quell’articolo voleva essere una risposta a chi critica l’impegno e il coraggio dei giovani come Silvia e una difesa di tutti coloro che sanno ancora sognare un mondo migliore. L’effetto che ottenni fu paradossalmente l’opposto di quello desiderato, soprattutto a causa dell’incipit infelice dell’articolo, dove davo l’impressione di criticare chi in realtà intendevo difendere. Fu un mio errore, sia chiaro.
L’incomprensione di un testo è sempre responsabilità di chi lo scrive e non di chi lo legge. In un diario pubblico che esce quasi tutti i giorni, può succedere ogni tanto di sbagliare le parole, e me ne scuso. Mi piacerebbe solo che fosse riconosciuta la buona fede dell’estensore. Ho scritto articoli a favore del volontariato e dei cooperanti rapiti, fin dai tempi di Simona Parri e Simona Torretta.
Ho partecipato alle loro iniziative e li ho intervistati in tv: sono onorato di avere avuto per due volte alle “Parole della Settimana” il formidabile Nicolò Govoni, fondatore della ONG che organizza scuole per i profughi e candidato al Nobel per la Pace. Chiedo ancora scusa per quel mio errore di comunicazione.
Bentornata Silvia, e un caro saluto a tutti voi.
Massimo
CAPPUCCETTO ROSSO
Massimo Gramellini per il ''Corriere della Sera'' del 22 novembre 2018, all'indomani del rapimento di Silvia Romano
Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto.
Ci sono però una cosa che non riesco ad accettare e un’altra che non riesco a comprendere. Non riesco ad accettare gli attacchi feroci a qualcuno che si trova nelle grinfie dei banditi: se tuo figlio è in pericolo di vita, il primo pensiero è di riportarlo a casa, ci sarà tempo dopo per fargli la ramanzina. E non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare.
Le delusioni arrivano poi, quando si diventa adulti e si comincia a sbagliare da professionisti, come canta Paolo Conte. Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza.