CHI È DAVVERO ''GIUSEPPI''? - BELPIETRO E ROSSITTO HANNO INTERVISTATO IL PREMIER PER IL LIBRO ''GIUSEPPE CONTE, IL TRASFORMISTA'', ECCO UN ESTRATTO: COME MOLTI NARCISI, PARLA SPESSO DI SÉ IN TERZA PERSONA, SFODERANDO MASSICCE DOSI DI SICUMERA, FIDUCIA E AUTOSTIMA - DALLA VICINANZA AL VATICANO AI PIANI INTERNAZIONALI PER FAR NASCERE IL CONTE-BIS CHE FA FUORI SALVINI, I RAPPORTI CON I SERVIZI SEGRETI E GLI 007 AMERICANI, IL RUOLO DI ALPA E…
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Da ''la Verità''
Chi è davvero Giuseppe Conte? Come è stato possibile che un anonimo professore universitario sia diventato il premier «buono per tutte le stagioni», osannato dalle cancellerie europee? Passato con disinvoltura da destra a sinistra, transitato da populista ad avvocato dei poteri forti, da ingenuo diventato spietato, Giuseppe Conte è indubbiamente il presidente del Consiglio più ambiguo e misterioso della storia della Repubblica.
Maurizio Belpietro e Antonio Rossitto svelano tutti i segreti e i voltafaccia della sua irresistibile carriera in Giuseppe Conte. Il trasformista, edito da Piemme, da oggi in libreria. Dalla vicinanza al Vaticano alle trame internazionali ordite per la rielezione, e così far fuori Matteo Salvini, fino ai rapporti con i servizi segreti e gli 007 americani.
E poi gli incroci accademici e lavorativi con il suo mentore, il potentissimo Guido Alpa, che non ha mai lesinato complimenti al suo allievo Giuseppi, il camaleontico premier per caso ma adesso pronto a tutto. E proprio sui rapporti Conte-Alpa La Verità pubblica uno stralcio dal capitolo intitolato «Lo smemorato di Volturara Appula». Un lungo colloquio con il presidente del Consiglio che, come molti narcisi, parla spesso di sé in terza persona, sfoderando massicce dosi di sicumera, fiducia e autostima. Perché gni gesto e parola di Conte tracimano vanità.
Scusate, ma il signorino qui aveva detto alle tre» È il primo pomeriggio del 27 novembre 2019. Giuseppe Conte entra sornione nella saletta di Palazzo Chigi indicando Rocco Casalino, il suo portavoce. «Ho 15 minuti di ritardo e mi scuso» dice mentre prepara calorose strette di mano. Il premier è stato di parola. Come promesso, ci ha concesso l' intervista. Certo, forse sperava in un colloquio più informale. Quando intuisce che perfino le sue prime parole sono finite in un memo vocale, sembra sbigottito: «Ma che fa, registrate pure i saluti? Questa è deformazione professionale. E che diamine!». Si alza di scatto e afferra lo smartphone, appoggiato sul tavolino: «Ecco, siamo qui con il presidente del Consiglio che s' è appena scusato per il ritardo» scandisce nel microfono con intonazione da telecronista.
Il siparietto distende gli animi. Casalino sorride. Accanto a lui, c' è il segretario particolare di Conte. Si chiama Andrea Benvenuti ed è un dottorando di diritto privato a Firenze. Nonostante il delicatissimo ruolo che riveste, ha appena 27 anni.
È cordiale, alto e segaligno. È stato lui a intrattenerci amabilmente durante l' anticamera. Incuriositi dalla sua giovane età, per ingannare l' attesa gli abbiamo chiesto dei suoi trascorsi: «Lavoravo nel famoso studio Alpa in piazza Cairoli» ci ha rivelato dopo qualche esitazione. Insomma, l' assistente più fidato del premier era un altrettanto fidato collaboratore del suo onnipresente mentore.
Tutte le strade di Conte portano ad Alpa? Sarà questo, ovviamente, uno degli argomenti principali dell' intervista. Ma prima, da vero gentiluomo, il primo ministro non dimentica i convenevoli. Come molti narcisi, parla spesso di sé in terza persona: «Il direttore Belpietro è stato il primo giornalista a incontrare il presidente del Consiglio» riferisce a portavoce e segretario particolare. Così comincia a ripercorrere il fortuito incontro nella stazione ferroviaria di Firenze, il giorno della sua nomina a capo del governo. «Adesso i giornali non li leggo più» informa. Gli facciamo notare che dicevano lo stesso anche Silvio Berlusconi e Margaret Thatcher, «per evitare dispiaceri».
Conte userebbe lo stesso stratagemma. «Ma vi pare possibile che si siano occupati per giorni del cesso del presidente del Consiglio?» prorompe. Be', però ventiseimila di ristrutturazione non sono quisquilie: ha preteso perfino una doccia con otto bocchette «Mi rifiuto, dai. Fa male al giornalismo.» Com' è noto, non ama la categoria. «State facendo un dossier contro di me, raccogliendo le peggiori cose. Ma io vi darò un contributo per parlare male» promette.
Invano. Perché nel corso della chiacchierata, durata un paio d' ore, il premier sfodererà piuttosto massicce dosi di sicumera, fiducia e autostima.
Ogni gesto e parola di Conte tracimano vanità. Quello in cui difetta, a suo dire, sono invece le facoltà mnemoniche. «Non ricordo bene le date» premette. Il sottotesto è evidente: non mi chiedete di essere puntuale e circoscrivere gli eventi. La memoria è corta. Una premessa che potrebbe sembrare un' arguzia, utile a evitare dettagli e circostanze.
Cominciamo, dunque. E partiamo da Alpa, il famoso avvocato con cui la sua carriera s' incrocia di continuo. Il tema del primo quesito è quasi d' obbligo: il famigerato concorso all' Università Vanvitelli di Caserta. Conte, però, con un inaspettato preambolo, marca debita distanza: «Si dice impropriamente che Alpa sia il mio maestro. Il mio maestro, in realtà, è stato Giovanni Battista Ferri, della scuola giuridica romana. Mi sono laureato con lui e sono diventato il suo assistente. Solo quando ho vinto il posto di ricercatore a Firenze ho incontrato Alpa. Quindi non sono stato un suo allievo. Poi è nata questa opportunità: lui aveva uno studio a Genova, con Tomaso Galletto, ma cercava un appoggio a Roma. Decise allora di aprire uno studio professionale anche qui. E lo fece con me, visto che mi conosceva».
Le date, a cui il presidente del Consiglio è tanto allergico, sono però fondamentali. Proprio in quel periodo, Alpa viene eletto nella commissione d' esame che nominerà Conte ordinario. Non è un enorme conflitto d' interessi? Il premier comincia a spazientirsi: «Tra noi non c' è mai stata un' associazione, né formale e neppure di fatto. Non ci dividevamo i proventi. Eravamo solo coinquilini». Lei però, nel curriculum inviato anni dopo alla Camera dei deputati, scrive: «Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, societario e fallimentare».
Il primo ministro si rabbuia: «È chiaro che, messa così, sembra che abbiamo aperto uno studio professionale insieme». Già. E l' ha messo nero su bianco, persino in un atto ufficiale. «In realtà, avrei dovuto scrivere che eravamo coinquilini.» Quindi ha infiocchettato? Alza le spalle: «Sì, il curriculum è un po' infiocchettato». Lo dice come se fosse la cosa più naturale del mondo. Immemore che proprio quel curriculum gli ha garantito un' ambitissima poltrona: membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.
Assomiglia un po' al famoso smemorato di Collegno, che del passato non ricordava nulla.
Ma noi non demordiamo. Lo studio in comune ha visto la luce prima o dopo il concorso?
«Guardate, come vi ho detto, le date non le ricordo.» Noi, invece, sì: Alpa viene eletto nella commissione a marzo 2002. A quel tempo, lavoravate già gomito a gomito? Segue qualche altro tentennamento, poi pesca la reminiscenza: «La sostanza è che, in costanza di concorso, effettivamente c' era un rapporto di coinquilinaggio».
Ricorrendo al solito giuridichese, alla «costanza di concorso» e al «coinquilinaggio», il premier dunque conferma: il luminare e l' associato decidono di aprire e condividere uno studio. E poco dopo il luminare, Alpa, è nominato nella commissione che farà dell' associato, Conte, un giovane e baldo docente ordinario, appena trentottenne e già sul gradino più alto della carriera universitaria.
Il premier derubrica. Ma a noi la circostanza, assieme al curriculum «infiocchettato», sembra dirimente. Insistiamo, ancora una volta. Se lei ha un rapporto così stretto con un collega, che poi la giudicherà, a noi viene in mente solo una cosa: il conflitto d' interessi. «Ma non è una collaborazione professionale!» sbotta Conte. Gli ricordiamo che, prima del concorso, insieme avevano già difeso insieme il Garante della privacy. «Io avevo i miei clienti: pochi. Alpa invece ne aveva tantissimi. Sì, qualche volta siamo stati insieme in un collegio difensivo. Ma l' Anac ha chiarito che questo non crea conflitti d' interesse. Pure l' Ilva, per fare un esempio, ha un collegio di dieci difensori, ma non c' è fra loro un' associazione.» Il paragone, ovviamente, non regge: nessuno ha giudicato l' altro in un concorso.
L' obiezione non viene raccolta. L' anguilla prova abilmente a scivolare via. «C' è la forma e c' è la sostanza» facciamo notare. Guardiamo Casalino. Sbuffa come una vaporiera. Tiriamo fuori l' ultima intervista concessa da Alpa al Secolo XIX. In quel concorso - ha assicurato al quotidiano genovese - è stato sorteggiato. È un dettaglio utilissimo a rimarcar distanza. Ma le carte che abbiamo consultato smentiscono i ricordi di Alpa.
In realtà, venne eletto con un plebiscito: 54 voti.
«Ha detto un' inesattezza» conferma Conte, prima di partire al contrattacco. «Faccio a voi una domanda: quanti voti servivano per diventare ordinario?» Tre su cinque. «E io quanti ne ho presi?» Cinque.
«Dunque, voi avete un concorso che nel 2002 ha designato ordinario questo fessacchiotto, oggi presidente del Consiglio. All' unanimità. E Alpa non era nemmeno a capo della commissione». []Vogliamo chiarire. I giornalisti fanno domande. E noi non siamo venuti a prendere il caffè.
Conte rimarca: «Perché sussista il conflitto d' interessi ci dev' essere cointeressenza economica. Sono stato uno dei primi giuristi che ha scritto di privacy.
Stefano Rodotà, che all' epoca era il Garante, lo apprezzò molto. Per questo, il giovane Conte venne chiamato ad affiancare Alpa». È l' unica causa che avete fatto assieme? La risposta la conosciamo già: no. Solo l' Autorità per la privacy ha dato ai due altri sette incarichi. «Non ve lo so dire» ribatte però questa volta. «Dicono che sono un avvocato sconosciuto, ma di cause ne ho fatte migliaia.
Come faccio a ricordarle? Impossibile».
Il clima è tutt' altro che disteso. Il premier è abituato a circumnavigare, con successo, attorno a ogni domanda.
«Ma anche senza il voto di Alpa, avrebbe vinto comunque il concorso» osserva Casalino.
Però la presenza di Alpa è curiosa, ricordiamo eufemisticamente. «Ma non era neppure il mio maestro!» esplode Conte. Ritiriamo fuori il ritaglio mostrato prima: l' intervista ad Alpa. È intitolata: Il mio allievo Conte è neutrale, ma prima o poi dovrà schierarsi.
«Quindi state facendo un discorso di opportunità! È un concorso del 2002. Non è stato impugnato da nessuno. Tra me e Alpa non ci sono conti correnti in comune. Perché state rimestando? Cosa volete sostenere? Qual è la notizia?
Che nel 2002, di fronte ai veri scandali universitari, in un concorso un coinquilino giudica l' altro? Questo sarebbe scandaloso? Ma che notizia è?
Dov' è lo scandalo?
» Casalino suggerisce una risposta: «L' insinuazione è che, senza Alpa, lei non avrebbe fatto carriera». [] Insomma, siamo dei petulanti rompicoglioni. Questo deve pensare di noi il capo del governo. Gli ricordiamo che s' era lamentato dei giornalisti ancor prima di conoscerli.
Mentre era ancora un aspirante premier, avevano tirato fuori la storia di Equitalia, costretta a pignorargli la casa per le pendenze con il fisco.
«Qualcuno ha persino scritto che sarei passibile di condanna» aggiunge lui. E poi, rivolto a Casalino: «Sègnale queste cose, che dopo». Conte vi manda il conto? «Se farò qualcosa, sarà da semplice cittadino, quando non sarò più presidente del Consiglio» aggiunge riferendosi a probabili e prossime querele.
«Non mi potete togliere questa prerogativa.
» Interveniamo: le critiche vanno accettate. «Qui c' è il mio portavoce» replica pronto, indicando Casalino: «Portavoce, mi hai mai sentito dire: "Questa critica non l' accetto?"».
Domanda retorica. [] Il capo del governo chiarisce: «Non si può far causa sotto l' ombrello di Palazzo Chigi».
Dunque, l' avvocato Conte aspetterà che i tempi maturino: come il cinese lungo la riva del fiume. [] Chiusa l' ennesima parentesi sulla stampa, torniamo al pignoramento di Equitalia. «Capita nelle migliori famiglie. Quell' indirizzo era privo di portiere. Ci vivevamo io e la mia ex moglie.
Io uscivo la mattina e tornavo la sera. E la mia allora consorte non era più precisa di me. Ogni tanto arrivavano le cartelle, ma non c' è mai stata evasione.» Le altre accuse, in quel periodo, sono arrivate per aver difeso il metodo Stamina.
Se n' è pentito? «Io non ho mai incontrato Vannoni. Mentre insegnavo a Firenze, è venuta da me una coppia di giovani fiorentini. Speravano che la figlia potesse continuare le cure. Da professionista non mi sono posto il problema dell' efficacia del metodo, ma solo di dare una possibilità a una famiglia disperata [...]».
L' altro intrigo, riemerso negli ultimi mesi, è il parere pro veritate firmato dall' avvocato Conte su Retelit, un' azienda partecipata dal fondo Fiber 4.0, a sua volta riconducibile al finanziere Raffaele Mincione.
Poco dopo, sulla questione, si sarebbe pronunciato il governo gialloverde.
Non era il caso di rifiutare l' incarico? «Mi è stato affidato prima della nomina. Adesso, ho riguardato le date e ho visto le coincidenze.
Probabilmente ho firmato l' atto venerdì, domenica m' hanno proposto di fare il premier e il parere è partito lunedì. Ma io lavoravo come una bestia. Avevo in piedi centinaia di situazioni professionali.» L' hanno pagata quindicimila euro: se lo ricorda? «Figuratevi Io non mi ricordo nemmeno cosa ho mangiato a pranzo.
» Si ricorderà, almeno, chi le chiese la disponibilità per guidare il governo gialloverde.
«Mi telefonò Di Maio: "Giuseppe, ti chiederei la cortesia di venire a Milano". Io ero in spiaggia. Gli domando perché. "Ti vorrei fare conoscere Salvini". Ti ricordi, Rocco?
» Casalino aggiunge un retroscena: «C' era stata una riunione. Il Movimento aveva scelto Conte. La Lega, invece, puntava sull' economista Giulio Sapelli. Quella fu una furbata.
Eravamo consapevoli che lui era di un altro livello. "Mettiamoli subito indirettamente a confronto" pensammo. "Così si evidenziano la genialità di uno e la follia dell' altro". Era un modo per mettere in imbarazzo la Lega».
La riunione per selezionare il candidato alla presidenza del Consiglio viene fissata nel pomeriggio del 13 maggio 2018. «Allora, sentite questa» racconta Conte. «Io atterro a Milano in tarda mattinata. Mi viene a prendere in aeroporto l' autista e mi porta in quest' albergo in centro a Milano, accanto al Duomo, dove ho prenotato una stanza. Nel pomeriggio, arrivano Di Maio e Salvini». Il leader dei 5 stelle è accompagnato da Vincenzo Spadafora, poi nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio e ora ministro per le Politiche giovanili e lo sport.
Con il capo del Carroccio c' è invece Giancarlo Giorgetti, l' eminenza grigia del partito.
Lo scopo di questa riunione informale è, appunto, far conoscere il candidato del Movimento ai due leghisti. Conte prosegue: «Dopo aver fatto quest' incontro, mi dicono: "Adesso dobbiamo vedere Sapelli. Come facciamo senza che ci vedano tutti?". Io replico: "Non c' è problema. Vi presto la mia stanza. Devo solo verificare una cosa". Chiamo in portineria. Chiedo se fanno vedere la partita della Roma con la Juventus anche nella hall. La risposta è affermativa. Io scendo e loro possono usare la stanza».
Adesso ci racconta del Russiagate? Alla domanda segue qualche attimo di silenzio.
«Dite di Salvini a Mosca?» controbatte il premier, malcelando ingenuità. No, quella è Moscopoli. Ha invece mai conosciuto Joseph Mifsud, il professore maltese sospettato di spionaggio? «Ma state scherzando?» E ha incontrato il ministro della Giustizia americana, William Barr? «Né Barr né nessun altro. Ho dato la delega a Vecchione. Ma non gli ho mica detto: "Rispondi a tutto quello che ti chiedono".
Del resto, la richiesta americana è stata cauta e prudente: "Vorremmo informazioni sull' operato della nostra intelligence e ci piacerebbe definire il perimetro di questa collaborazione". È stato uno scambio di cortesie istituzionali. La prima riunione, appunto, è servita a definire il perimetro d' ingaggio».
Perché ha tenuto la delega ai servizi segreti? «C' è una ragione precisa. Il presidente del Consiglio ha comunque la responsabilità di tutto il comparto. Un' eventuale delega non mi metteva al riparo dalle responsabilità. A quel punto lì, il giurista che è in me ha fatto una riflessione: "Se ne devo comunque rispondere, dovrei nominare un alter ego, oppure un fratello". Ma non li ho. Allora ho preferito tenermi la rogna. Immaginate se ci fosse stato un altro al posto mio, senza contezza dei rischi e della complessità politica e giuridica Chissà che casino sarebbe successo su Barr!»
Quindi l' agente speciale Conte, immodestamente, ha colto subito il pericolo? «Ho la capacità d' inquadrare i rischi delle cose. Io sono terribile come avvocato! I miei collaboratori avevano calcolato il 90% di vittorie». Scopriamo uno spietato principe del foro. «No, sono di una correttezza unica. Ma ho alle spalle una vita di studio intenso e grande determinazione. Meglio non avermi contro».
A suo dire, l' avrebbe dimostrato pure oltreconfine. [] «Hanno imparato a rispettarmi. Ero appena arrivato. Ero l' ultimo. Pensate al primo Consiglio europeo: non sapevo neanche come muovermi. Invece, siamo rimasti lì tutta la notte, a litigare con Merkel e Macron. Non in modo velleitario, ma con argomentazioni giuridiche. Alla fine, sono dovuti stare zitti.» A quel punto, sarebbe scoppiato l' amore. E quanto è contato, proprio al momento della rinascita del governo, l' appoggio delle cancellerie europee? «Mah, per me è difficile valutarlo». S' intromette Casalino: «Per il Movimento, e ci metto la testa nel fuoco, zero. Per il Pd, forse è stato più importante il suo mondo: Prodi, la Chiesa». Il G7 di Biarritz è stato però un trionfo, replichiamo. Ed è qui che egolatria e vanità prendono il largo. A vele spiegate.
«Per un premier dimissionario come me, andare al vertice non era una gran cosa, anche psicologicamente. Ma tu Rocco, che eri lì con me, mi hai visto sfiduciato o depresso?» Rocco scuote la testa. Conte riprende il filo, gongolante: «I colleghi non mi evitavano. Anzi, mi apprezzavano e mi stimavano. Però, diciamocela tutta: è un fatto personale».
Già, diciamocela tutta: l' Europa ha tifato giallorosso?
«Mah, solo l' ultimo giorno, a un certo punto, era un po' cominciata a circolare la cosa. E qualcuno ha detto: "Ci piacerebbe che tu rimanessi primo ministro"». Chi? «Dal premier indiano, Narendra Modi, al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk». Per non parlare di Donald Trump «Quando stavamo andando via, mi chiamò: "Giuseppe, devi rimanere in politica". Ma fidatevi, è più un fatto personale. Lui non aveva nemmeno motivi per andare contro Salvini». A parte Moscopoli.
Conte abbassa la voce, fino a trasformarla in un sussurro: «Trump di Moscopoli se ne strasbatte. Lo staff magari è attento a certe cose, ma lui no. Dovreste conoscerlo Trump» butta lì, come se parlasse di uno stravagante vicino di casa.
«La prima volta che ci siamo visti, mi ha preso da parte: "Giuseppe, sei simpatico. Cosa posso fare per te? Vieni a trovarmi negli Stati Uniti. Facciamo una grande visita di Stato"». Fino all' ormai celebre cinguettio: l' augurio che Giuseppi resti premier. «Prima di partire, mi ha detto: "Ti faccio un tweet, ti faccio un tweet"». Casalino aggiunge un aneddoto: «Al primo G7, appena eletto, c' era uno spettacolo a notte fonda. Chiunque voleva sedersi accanto a Trump. Lui invece chiese al presidente di stare accanto lui. Hanno chiacchierato tutta la sera».
Non rimane che fare ammenda. Non c' eravamo accorti di avere a Palazzo Chigi un protagonista dei consessi internazionali, ammirato e inseguito dai leader della terra. Come sul fronte interno, d' altronde. I 5 stelle sono ormai ai suoi piedi. Parla spesso con Beppe Grillo? «Rarissimamente. Recentemente abbiamo discusso un paio di volte dell' Ilva. Lui è molto interessato alle transazioni energetiche e alle nuove tecnologie. Ha sempre idee innovative. È davvero stimolante scambiarsi idee sulla società del futuro. Mi piace. Senza offendere nessuno: è quello nel Movimento che ha la visione più strategica». [] Ben più assidui sono invece i rapporti con Luigi Di Maio, ma qualcosa s' è rotto. «No, assolutamente.» Si sono invertiti i ruoli: prima era lui che guidava, ora è Conte. Prima era lei in ombra, adesso è il contrario.
«Sono ruoli completamente diversi. Io sono molto attento a non interferire nelle vicende interne del Movimento. Che poi possa fare d' ispirazione è un altro conto.
» Il passaggio dunque è compiuto: da burattino a burattinaio. «No, burattinaio no. Non mi riconosco. Che burattinaio? In modo opaco, intendete? Mai. Non sarei più credibile come presidente del Consiglio. È ovvio che, in un momento di transizione per il Movimento, colga grande simpatia e fiducia da parte di buona parte dei parlamentari dei 5 stelle. E lo si vede anche A Napoli la gente con me è stata calorosissima. Questo mi fa piacere. E credo pure sia nell' interesse di tutti che guardino a me con simpatia e fiducia.
Però, attenzione: sarebbe assolutamente deleteria una mia azione intrusiva. Non funzionerebbe. Dopo qualche settimana, i nodi verrebbero al pettine. Significherebbe deviare il ruolo del presidente del Consiglio.
Entrare a piè pari nelle vicende di una forza politica. E poi, perché? Perché Di Maio ha qualche difficoltà come leader? Peggio. Paradossalmente, potrei interloquire con il Movimento se non ci fossero questi retroscena. Ora, a maggior ragione, mi devo astenere». Casalino è più esplicito: «Diciamocela in maniera nuda e cruda. Un gruppo parlamentare, che vuole colpire Luigi, cerca un altro al suo posto. Insomma, capisco che qualcun altro voglia mettere lui. Questo però non significa né che sia disponibile, né che si stia muovendo in tal senso».
Nessuno dei due lo ammetterà mai. Conte, una volta smessa la casacca giallorossa, potrebbe indossare quella ocra del Movimento. Per adesso è costretto a fare il padre nobile. Ma la sua appartenenza politica sembra ormai chiara. A meno che il fato non gli riservi l' ennesima, sbalorditiva, sorpresa: il Quirinale.
«Vedremo» commenta Casalino alzando gli occhi al cielo. «Ma mi volete già imbalsamare?» ci domanda []. Conte ci accompagna fino all' ascensore. I saluti finali confermano la sua riconosciuta cordialità. Vigorose strette di mano. Il camaleonte sogghigna. Volta le spalle e sparisce tra gli stucchi di Palazzo Chigi.