CHI HA SBAGLIATO PIU’ FORTE SULLA LIGURIA? - FOLLI: “CONTE HA PARECCHIE RESPONSABILITA', MA NON TUTTE QUELLE CHE GLI VENGONO ATTRIBUITE. CON RENZI SI SAREBBERO PERSI O GUADAGNATI UN PAIO DI PUNTI PERCENTUALI? NON LO SAPREMO MAI. LA QUESTIONE RIGUARDA LA LINEA POLITICA DEL PARTITO DI ELLY. O IL PD IMPONE AI 5 STELLE UNA CHIARA LEADERSHIP, COSÌ CHE CONTE RINUNCI AL RUOLO DI SPINA NEL FIANCO PERMANENTE. OVVERO L’ALLEANZA DECADE IN VIA DEFINITIVA" – IL RUOLO DI BEPPE SALA E L’ERRORE DI SCHLEIN DI PUNTARE SU ORLANDO: DAGONOTA
-
Stefano Folli per repubblica.it - Estratti
Il giorno dopo, il voto in Liguria si presenta per quello che è: un’occasione unica per riflettere sul destino del centrosinistra. A patto, s’intende, di affrontare il tema con realismo e magari con quel tanto di autocritica che invece sembra assente ovunque si guardi.
Ci sono alcuni punti fermi incontestabili: il successo elettorale del Pd a Genova, pur nella sconfitta della coalizione; la parallela disfatta dei Cinque Stelle; la spinta che tende a radicalizzare a sinistra l’asse dell’alleanza; la mancanza di un equilibrio al centro, testimoniato — ma non è la sola ragione — dall’esclusione di Italia Viva e altre sigle cosiddette “moderate”.
È abbastanza facile, una volta che il latte è stato versato, rovesciare su Conte e il suo partito ogni responsabilità. L’ex premier ne ha parecchie, ma non tutte quelle che gli vengono attribuite.
Ad esempio, sembra ozioso discutere oggi se sia stato un bene o un male fare a meno di Matteo Renzi (con lui si sarebbero persi o guadagnati un paio di punti percentuali? Non lo sapremo mai).
La questione riguarda la linea politica del partito di Elly Schlein e non comincia adesso, nemmeno si può ridurre al caso Renzi. Non sembra infatti che il vertice del Pd, nella sua versione attuale e anche in quella precedente, abbia mai prestato attenzione alle idee riformatrici d’impronta liberal-democratica e a quanti le hanno saputo via via interpretare. Si è preferito ignorarle anche perché così facendo ci si è liberati di un certo numero di personaggi della “vecchia guardia”, più o meno identificati con quelle idee.
Il risultato è un Pd stretto in modo granitico intorno alla sua segretaria; per cui l’improvvisa apertura a Renzi, pochi mesi fa, ha trasmesso un’impressione di posticcio, come di un’operazione non maturata. È ovvio che si sia arenata davanti al “no” dei Cinque Stelle, custodi della linea radicale alla quale Conte e i suoi vogliono costringere il partito di Schlein.
Ora si è di fronte al classico bivio. O il Pd, forte dei consensi che conserva nel Paese, impone ai Cinque Stelle una chiara leadership, stipulando con Conte un accordo politico e di potere, così che l’alleato rinunci al ruolo di spina nel fianco permanente a cui è affezionato. Ovvero l’alleanza decade in via definitiva e Conte gioca le sue carte in modo autonomo, ben sapendo che la legge elettorale lo penalizzerà.
In questo secondo scenario il Pd dovrà puntare in modo deciso su se stesso: sui voti che ha e su quelli che potrebbe guadagnare rivolgendosi a un ceto medio bisognoso di essere rassicurato e non stressato. Sarebbe il nuovo equilibrio che piace ai “centristi”.
Allora si potrebbe avere una trattativa vera con Renzi, Calenda, +Europa: le loro percentuali modeste sarebbero stavolta interessanti in quanto premessa di una nuova storia. Anche il sindaco di Milano, Sala, avrebbe qualcosa da dire.
E potrebbero rientrare in gioco altre figure che negli ultimi anni si sono allontanate o sono state lasciate ai margini. Non è un caso se lo stesso Romano Prodi ha espresso, nei suoi non frequenti interventi pubblici, amarezza e delusione per come vanno le cose dalle parti del Nazareno.
Quanto è verosimile questo scenario? Ben poco. L’assetto del Pd non sembra pronto a una correzione così vistosa. È più probabile che si tenti il recupero dei 5S di Conte, nella speranza che la frattura con Grillo e soprattutto la mala parata elettorale li induca a una maggiore disponibilità.
(...)