CHIAMATE UN RIANIMATORE: BORIS JOHNSON È AGONIZZATE – LA VITTORIA DI PIRRO NEL VOTO DI SFIDUCIA NON LO METTE AL SICURO IL PREMIER BRITANNICO - HA CONTRO LA METÀ DEL PARTITO CHE LO TIENE IN VITA SOLO PER MANCANZA DI ALTERNATIVE E, ANCHE SE UN ALTRO VOTO DI SFIDUCIA NON È POSSIBILE PRIMA DI UN ANNO, JOHNSON HA GIÀ DUE INSIDIE ALL’ORIZZONTE: LE SUPPLETIVE CHE SI TERRANNO FRA DUE SETTIMANE E LA CONCLUSIONE DELL'INDAGINE PARLAMENTARE SULLA POSSIBILITÀ CHE IL PREMIER ABBIA MENTITO AL PARLAMENTO SUL PARTYGATE…
-Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
Quanto ancora potrà resistere Boris Johnson? Certo, ha superato il voto di sfiducia dei suoi stessi deputati conservatori: ma il 40 per cento del suo gruppo parlamentare gli ha votato contro, inclusi, si dice, membri del governo. Ieri mattina i giornali inglesi battevano tutti sullo stesso tasto: «Vittoria di Pirro», «vittoria mutilata», «vittoria svuotata», erano i titoli, anche dei quotidiani cosiddetti «amici».
Johnson sta provando faticosamente a voltare pagina: è il momento «di tirare una riga sulle questioni di cui i nostri oppositori vorrebbero che si parlasse», ha annunciato alla riunione del governo convocata in mattinata a Downing Street. E intanto prepara una serie di iniziative legislative, non ultima quella per invalidare il Protocollo sull'Irlanda del Nord, che lo porrebbe in rotta di collisione con l'Unione europea.
Ma ormai «è cotto», commentano in privato i maggiorenti del partito, «ha subito un colpo fatale» e dunque «gli avvoltoi stanno girando in cerchio», conclude il Daily Telegraph , che pure sarebbe il «suo» giornale. Perché non si vede come un primo ministro che ha contro quasi metà del partito, e che dunque di fatto non dispone più di una maggioranza parlamentare sicura, possa continuare ad andare avanti a lungo.
In teoria, secondo le regole interne del partito conservatore, non è possibile tenere un altro voto di sfiducia per i prossimi dodici mesi. Boris quindi sarebbe al sicuro per un po', ma in realtà, come spiegava ieri al Corriere fra un tramezzino e l'altro al ricevimento dell'ambasciata italiana Sir Graham Brady, il potentissimo presidente del «Comitato 1922», ossia il nocciolo del gruppo parlamentare Tory, «quelle regole possono essere assolutamente cambiate. Se emerge con chiarezza che c'è una maggioranza contraria al primo ministro, si può votare di nuovo».
Dunque, basta un soffio a mandare all'aria il castello di carte di Boris. Per di più, pesano i precedenti di Margaret Thatcher e Theresa May: entrambe sopravvissute a stento a voti di sfiducia ma comunque accompagnate alla porta dopo breve tempo. Due sono i pericoli più evidenti sulla strada di Johnson: in primo luogo le due importanti suppletive che si terrano fra due settimane, in entrambe le quali i conservatori rischiano una clamorosa sconfitta; poi la conclusione dell'indagine parlamentare sulla possibilità che il premier abbia mentito al Parlamento sul Partygate: un «peccato» che comporta le dimissioni immediate. Senza contare, dice con un sorriso sardonico Sir Graham, «che potrebbero spuntare nel frattempo altre cose». In realtà, ciò che tiene in piedi Boris - e che probabilmente lo ha salvato lunedì sera - è la forza d'inerzia: ossia la mancanza di un'alternativa credibile.
Tutti i potenziali successori si presentano come figure abbastanza deboli: nessuno ha il carisma indiscusso di Boris e soprattutto nessuno sembra capace di replicare il suo appeal in grado di sedurre tanto i ceti borghesi quanto quelli più umili. Certo, Johnson è ormai diventato impopolare anche tra gli elettori conservatori e il rischio che corre il suo partito, legandosi a lui, è di consegnare alla fine il governo a una coalizione a guida laburista. Ma esiste la possibilità che Boris continui ad andare avanti per un bel po', zoppicando e arrancando, e ci sono osservatori ben stagionati che restano convinti che alla fine sarà ancora lui a guidare il suo partito alle prossime elezioni politiche, previste per la fine del 2024. Chi farà le spese di questo caos, però, sarà la Gran Bretagna tutta.