COME COMPLICARE LA SEMPLIFICAZIONE - È IN ATTO UNA GUERRA SOTTOTRACCIA TRA FRANCESCHINI E CINGOLANI SULLE SEMPLIFICAZIONI. CI SONO 44 IMPIANTI DI FOTOVOLTAICO, EOLICO E GEOTERMICO FERMI IN ATTESA DELLE AUTORIZZAZIONI DELLE SOPRINTENDENZE. MA IL MIBACT DI SU-DARIO NON SI MUOVE, I CANTIERI NON PARTONO E IL RISCHIO CHE I FONDI DEL RECOVERY SLITTINO. IN ATTESA CHE INTERVENGA DRAGHI, STANNO ENTRANDO IN SCENA I GIUDICI…
-Giorgio Gandola per “La Verità”
Torna di moda il muro di gomma. Invisibile ma distruttivo, divide due ministeri, due filosofie e due pezzi da novanta: da una parte la Transizione ecologica di Roberto Cingolani, dall'altro la Cultura e il paesaggio di Dario Franceschini. In nome dei miliardi del Recovery fund sembrava facile trasformare l'Italia in una Svizzera ma la realtà è diversa dalla narrazione degli ultrà di Mario Draghi.
La parola della discordia è «Semplificazioni»: per Cingolani la rivoluzione energetica chiesta da Bruxelles dovrebbe cominciare domani, per i Franceschini boys praticamente mai «perché la tutela del paesaggio è sacra». Poiché il Pd e l'establishment che lo sostiene hanno necessità di intestarsi il premier, la disputa rimane sottotraccia. Più facile enfatizzare i distinguo di Matteo Salvini.
Qui nessuno disturba, ma il dissidio strutturale è un segreto di pulcinella. Ad oggi sono 44 gli impianti di fotovoltaico, eolico e geotermico in stand by, in attesa delle autorizzazioni delle soprintendenze per l'impatto ambientale e paesaggistico. Il Mibact non si muove, i cantieri non partono e il rischio che la seconda tranche di denaro europeo possa slittare è concreto.
Nel frattempo il ministro è indispettito e butta lì come un candelotto: «Non ho bisogno di nuove semplificazioni, bisognerebbe impegnarsi ad attuare quelle che già ci sono».
Cingolani si sta accorgendo che, Draghi o non Draghi, l'ufficio complicazioni affari semplici è sempre aperto e l'attitudine ostruzionistica degli apparati è granitica. Prima dell'estate, in un Cdm infuocato (qualcuno scrisse che sembrava «una lotta di sumo»), aveva provato a forzare la mano con la proposta del silenzio-assenso per snellire le pratiche. Sintesi: se le soprintendenze non si esprimono in tempi brevi, si va avanti senza di loro.
Allora il ministro fu tranchant con il Mibact: «Le prassi consolidate non sono sbagliate, di più. Sono incompatibili con la logica del Recovery plan». Franceschini replicò contrariato: «Non può essere il ministro della Cultura a mettersi contro le soprintendenze».Da quel giorno l'incomunicabilità fra i due è aumentata, il muro di gomma è palpabile e Cingolani ha già vagamente minacciato: «Non so che senso abbia continuare a fare il ministro».
La battaglia di Franceschini tocca nervi scoperti: «Il silenzio-assenso è un meccanismo perverso che, specie nei piccoli comuni, può incentivare processi corruttivi». E ancora: «La tutela del paesaggio non è un capriccio di quattro burocrati ma un principio riconosciuto dalla Costituzione». Una posizione destinata a scatenare ovunque reazioni nimby.
A dargli manforte è arrivato il Movimento 5Stelle, che con un'imboscata ha fatto passare in commissione un emendamento secondo il quale i due terzi possono chiedere al ministro di rivedere l'elenco delle attività che meritano di avere corsie preferenziali nella transizione ecologica.
Nuove complicazioni con ricadute politiche, perché proprio i pentastellati sono divisi fra ala governista (Beppe Grillo) e ala movimentista (Giuseppe Conte), quindi ingestibili. La sinistra multicolor che lo aveva espresso pensava di controllare Cingolani come un cocker, ma oggi in casa grillina si sente ripetere: «Fa di testa sua, al suo ministero la tecnologia si è mangiata l'ambiente».
I cantieri rimangono nel limbo, la transizione pure. Anche perché stanno entrando in scena i giudici: il Tar del Lazio ha prima fermato e poi fatto ripartire l'iter del parco fotovoltaico di Montalto di Castro (Franceschini si è esibito in un ricorso contro la Regione Lazio del compagno Nicola Zingaretti), conflitti sono stati aperti in Abruzzo e Puglia sul Tratturo magno dove gli ecologisti chiedono «cubatura zero». Gli altri aspettano che il burosauro si muova. Anche Vittorio Colao, contrariato perché gli scavi per la banda larga segnano in passo: 90 giorni per le autorizzazioni, uno sfinimento. Pure lui sogna il silenzio-assenso. E per ora lo pratica masticando amaro.