COMPLOTTI UN TANTO AL CHILO - “LA VERITA’” SULL'INCHIESTA CONSIP: "SE MACCHINAZIONE C'È STATA, È QUELLA DI TIZIANO RENZI AI DANNI DEL FIGLIO. AL PUNTO CHE QUANDO MATTEO CHIESE AL BABBO DI VENDERE L'AZIENDA DI FAMIGLIA PER EVITARE PROBLEMI, QUESTI PROVÒ A CEDERLA A UNA DITTA CHE AVEVA COME SOCIA OCCULTA DI MAGGIORANZA LA MOGLIE DI UN SUO COINDAGATO. MATTEO, IL GUASTATORE, DEVE CERCARLO IN CASA PROPRIA..."
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Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per “la Verità”
Il presunto complotto contro Matteo Renzi è come quei capi d' abbigliamento che vanno bene un po' per tutte le stagioni. Ieri, in un dicembre sotto zero, Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera ha aperto l' armadio e lo ha rispolverato per la gioia degli amanti del genere. E con esso ha apparecchiato il titolo d' apertura del quotidiano: «Consip, trama contro Renzi. Sospesi due carabinieri per depistaggio. L' ex premier: paghi chi ha tradito». Qualche lettore del giornale di via Solferino avrà esclamato: oibò, un altro complotto contro Renzi dopo quelli di aprile, maggio, giugno, luglio, agosto e settembre (sempre narrati dal Corriere)?
Poi ha scorso l' articolo e ha scoperto che era in gran parte un copia e incolla di quanto già scritto nei mesi precedenti sulle presunte falsificazioni ai danni di Tiziano Renzi, padre dell' ex primo ministro, nell' inchiesta Consip. E cioè che un maggiore dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, avrebbe manipolato in tre punti un' informativa riguardante Renzi senior. Peccato che il documento sia stato depositato il 9 gennaio, un mese dopo la caduta del governo dell' ex Rottamatore.
In pratica ci troveremmo di fronte a un complotto postumo. Una cospirazione che a settembre La Verità aveva già derubricato a pasticcio, quando aveva svelato che il pm anglo-napoletano Henry John Woodcock, di concerto con i colleghi, aveva protetto il Renzi premier, rinunciando a intercettare suo padre alla vigilia del referendum, nonostante avesse l' autorizzazione del gip.
La novità che ieri ha portato il Corriere della Sera a riprovarci è stata la notizia della sospensione dall' esercizio del pubblico ufficio per un anno che il gip Gaspare Sturzo ha rifilato a Scafarto e a un suo ex superiore del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, il colonnello Alessandro Sessa. Il primo è accusato di falso e rivelazione di segreto ed entrambi di depistaggio, reato punito con pene da 3 a 8 anni.
Secondo l' accusa i due (che oggi saranno sentiti dal gip per l' interrogatorio di garanzia) avrebbero cancellato dal cellulare di Sessa i messaggi Whatsapp che si erano scambiati, pur sapendo che il telefono di Scafarto era già stato sequestrato (il 10 maggio 2017) e che quindi la Procura aveva già acquisito quelle chat. In sostanza un' operazione degna dei Soliti ignoti.
«Ma Sessa è innocente», protesta l' avvocato Luca Petrucci, ex collaboratore della giunta capitolina di Francesco Rutelli e di quella laziale di Piero Marrazzo, quindi non sospettabile di antirenzismo ideologico. «Il depistaggio è il reato che commette chi ha in mano un' indagine e la distorce. Loro l' indagine non ce l' avevano perché gli era stata tolta diverse settimane prima, a marzo».
Un indagato può cancellare le prove a proprio carico? Petrucci tira un sospiro, come un professore con l' allievo: «Certo che può. Loro (pm e gip, ndr) hanno commesso un errore perché Sessa in quel momento era un normale cittadino che può eliminare dai propri dispositivi elettronici tutto quello che gli pare». Il legale è perplesso e si domanda come facciano i magistrati a dire che cosa contenessero le chat che non hanno trovato: «Nell' ordinanza non viene spiegato che cosa avrebbe cancellato il mio assistito». Dunque non solo non c' è il complotto, ma, forse, neanche il depistaggio.
Eppure, a settembre, il Corriere della Sera aveva già tentato l' affondo, proponendo altre prove del complotto che non c' è. Sempre il giornalista Giovanni Bianconi aveva riportato il verbale del procuratore di Modena, Lucia Musti, davanti al Csm, sobriamente riassunto da questo titolo: «Caso Consip, la pm accusa i carabinieri: "Erano esagitati, puntavano a Renzi"». Immediatamente il segretario del Pd, in tour per la presentazione del proprio libro, aveva festeggiato: «Pubblichino le chattine del Noe e vediamo se qualcuno ha falsificato le prove contro l' allora presidente del Consiglio e andiamo a vedere chi è che ha mentito e quando».
Come detto, gli inquirenti non hanno trovato le «chattine» che Renzi avrebbe voluto vedere sui giornali e, in più, la Musti ha smentito il Corriere: «Rilevo che mi vengono attribuite alcune affermazioni, anche virgolettate, che io non ho fatto ovvero che, per come riportate, non rendono in modo fedele quanto da me riferito al Csm». Alla fine, dopo che La Verità ha dato la notizia del Woodcock protettore di Renzi, il segretario del Pd ha dovuto ingranare una mesta retromarcia: «Non ho mai parlato di complotto».
Forse scottato dal precedente, ieri Renzi è apparso più cauto, anche se non è riuscito a tenersi tutto dentro: «Leggo quello che accade, è evidente che questa storia non finisce qui e io la seguo con l' atteggiamento neutrale e serio di chi dice: andate avanti e vediamo chi ha ragione o torto». Quindi ha chiuso da par suo: «Io sono un cittadino che ha servito l' Italia per oltre mille giorni () e quindi non dirò mai una parola sopra le righe, anche se questo a livello personale mi costa perché ho visto la sofferenza di persone a me care».
Il riferimento è a Tiziano Renzi, il babbo del premier, invischiato nella vicenda Consip con l' accusa di traffico di influenze illecite. Un' ipotesi di reato che ci restituisce l' immagine di un padre traffichino che le accuse a Scafarto, è bene specificarlo, non cancellano. Infatti Tiziano, come sanno bene i lettori della Verità, si è segnalato per presunti maneggi e cattive compagnie, «il giro di merda» stigmatizzato dallo stesso figliolo. Per queste frequentazioni e una gestione sportiva degli affari ha già subito diversi procedimenti davanti alla giustizia civile, ma anche a quella penale.
A Genova è rimasto sotto accusa per 28 mesi per bancarotta fraudolenta (è stato prosciolto nel luglio 2016); a Cuneo sms e intercettazioni suoi e della moglie, Laura Bovoli, sono stati depositati agli atti in un altro procedimento per crac; e infine a Firenze è sotto inchiesta (sempre insieme con la consorte) per il fallimento di una cooperativa.
Purtroppo questa indagine, di cui La Verità ha dato la notizia in esclusiva, non ha l' onore di nessuna prima pagina, nonostante il reato contestato possa portare a condanne di oltre 10 anni. In più Tiziano è invischiato anche in un procedimento per false fatture insieme con l' amico imprenditore Luigi Dagostino.
Quindi se macchinazione c' è stata, è quella di Tiziano ai danni del figlio premier. Al punto che quando Matteo chiese al babbo di vendere l' azienda di famiglia per evitare problemi (evidentemente conosceva il genitore) questi provò a cederla a una ditta che aveva come socia occulta di maggioranza la moglie di un coindagato di Tiziano. Matteo, il guastatore, probabilmente, deve cercarlo in casa propria.