COSA POTREBBE CONVINCERE DRAGHI A RESTARE? COME DAGO-RIVELATO LE MATTANE DI SALVINI NON SONO LA PREOCCUPAZIONE DEL QUIRINALE: INQUIETA INVECE IL CAOS A 5 STELLE E LA FRONDA 'CONTIANA" DEL PD (ORLANDO E BOCCIA) – BERLUSCONI SI È SINTONIZZATO CON IL COLLE, CONTRARISSIMO ALLE ELEZIONI ANTICIPATE: “MA C’È LA FINANZIARIA, COME SI FA” - DAL NAZARENO FANNO SAPERE: “UNA TRATTATIVA? DRAGHI NON È MICA RUMOR” - LE SPERANZE APPESE A UNA “TELEFONATA INTERNAZIONALE”. QUAGLIARIELLO: "MAGARI POTREBBERO RICORDARE A DRAGHI CHE PUTIN STA FESTEGGIANDO...” - DAGOREPORT
Francesco Verderami per corriere.it
Se una telefonata servisse ad allungare la vita del governo, non potrebbe che venire dall’estero. Perché in Italia Mattarella è riuscito solo a convincere Draghi a togliere la parola «irrevocabili» dal testo delle dimissioni da presidente del Consiglio. Quanto ai partiti della maggioranza, più si avvicina il giorno dell’Armageddon e più si dividono invece di compattarsi.
E allora chi e come dovrebbe condurre questa trattativa per richiamare il premier? I grillini stanno esplodendo, con Conte che finge di essere succube dei barricaderi e in realtà ne è il capo. Lega e Forza Italia sono disponibili a un Draghi bis ma senza M5S, quindi senza Draghi. E dal Pd — che secondo Orlando starebbe lavorando «per la prosecuzione del gabinetto di unità nazionale» — un membro della segreteria s’invirgola: «Ma quale trattativa si può imbastire? Draghi non è mica Rumor».
Eppure, persino nel centrodestra di governo ingolosito dalle urne, si avverte la sensazione che non è proprio già finita. Berlusconi, parlando ieri con Cesa, vestiva i panni dell’imprenditore: «Ma c’è la Finanziaria, come si fa». Il leghista Garavaglia spiegava che «servirebbero ancora ministri nel pieno delle loro funzioni per il Pnrr, perché su ogni singolo progetto bisogna seguire quotidianamente lo stato di avanzamento dei lavori». E Salvini, con un riflesso pavloviano, ripeteva che «tanto non ci permetteranno di andare a votare, dunque bisogna andarci cauti». Perché il 20 luglio potrebbe ancora succedere di tutto in Parlamento, anche se non sembra si stia costruendo nulla.
Peraltro la maggioranza dovrebbe compiere un miracolo per convincere il premier a tornare in Consiglio dei ministri. Lì dove per sedici mesi ha misurato il (debole) grado di lealtà dei partiti. E non solo. Un giorno, presentando un provvedimento, si sentì chiedere dalla titolare per le Politiche giovanili che venisse inserita nel disegno di legge «una corsia preferenziale riservata ai giovani». Il premier chiese: «Fino a che fascia d’età?». E la grillina Dadone: «Beh, facciamo 35 anni». «Signora ministro, a 35 anni ero già al Fondo monetario internazionale».
È ad una telefonata internazionale che si aggrappano per le residue speranze. Perché Giorgetti dopo aver evocato «i supplementari», dopo ventiquattr’ore ha dovuto constatare che sono di fatto già scaduti e che «a questo punto è meglio non perdere altro tempo». Anche Renzi, che sta chiamando a raccolta gli italiani con una petizione popolare per dire a Draghi di non mollare, ieri pomeriggio ha chiamato il suo gruppo dirigente e lo ha avvisato di preparare le liste elettorali: «Tanto noi abbiamo una storia da raccontare». Quella di aver posto fine al Conte-bis, sconfiggendo l’asse Pd-M5S, ed essere stati decisivi in Parlamento per l’avvento dell’ex presidente della Bce.
Ieri però, visto che i telefoni del premier suonavano a vuoto e che quando gli scrivevano — come racconta un esponente della maggioranza — lui rispondeva «chiamo dopo», tutti si mostravano rassegnati alla fine della storia. Non è chiara la dose di sincerità da parte delle forze politiche che ufficialmente si rammaricano per l’epilogo. La ruggine si è depositata in questa fase di coabitazione forzata. In ogni caso, se sarà crisi, Lupi confida almeno che «Draghi guidi il governo fino alle elezioni. Rispetto al rischio di una potenziale instabilità, l’Italia avrebbe fino al prossimo governo un presidente del Consiglio di garanzia internazionale».
E si torna sempre lì, alle telefonate. Da Washington e dall’Europa, che ieri hanno fatto sentire pubblicamente le loro voci di sostegno al premier. Una conversazione con Macron — secondo fonti molto autorevoli — è già in lista. Solo che non si sa se la conversazione avverrà o sia già avvenuta, perché Draghi non passa per il cerimoniale se deve sentire i partner. Usa il suo cellulare. Ne sanno qualcosa i diplomatici italiani, che vivono questa condizione come un incubo. Un rappresentante di governo era presente quando il premier venne avvisato che un capo di Stato aveva chiesto di parlargli. «Mettiamo in agenda la chiamata, presidente?». «E che vuole? L’ho sentito stamattina».
Perciò immaginare che il capo del governo possa avvertire la pressione o subire l’influenza dei suoi interlocutori non ha molto senso. Certo non si soffermerebbero con lui a parlare di «Giuseppi» o del fatto che buona parte dei grillini sta transitando nel gruppo di Di Maio e quindi il suo governo avrebbe sostanzialmente l’appoggio anche dei parlamentari cinquestelle. E siccome la soluzione della crisi sta nella testa di Draghi, cosa potrebbe convincerlo a cambiare idea? «Magari — azzarda Quagliariello — potrebbero ricordargli che quel pezzo di pacifista di Putin sta festeggiando...».