DAGOREPORT! - MARIO DRAGHI E MARTA CARTABIA SORPRESI DALL'OPPOSIZIONE DELLE TOGHE ALLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, MA LA GUARDASIGILLI NON HA BATTUTO CIGLIO: "SE QUESTA RIFORMA NON PIACE AI MAGISTRATI, È UN BUON SEGNO" - SUPER-MARIO APRE A PICCOLI RITOCCHI MA NESSUNO STRAVOLGIMENTO DELL'IMPIANTO ORIGINARIO: SE IL M5S VA ALLO SCONTRO, IL GOVERNO PORRA' LA QUESTIONE DI FIDUCIA - A QUEL PUNTO L'AVVOCATO DI PADRE PIO CHE FARÀ? VOTA CONTRO, RISCHIANDO DI GIOCARSI L'AGIBILITA' POLITICA AGLI OCCHI DI BRUXELLES CHE VEDE QUELLO DI DRAGHI CON IL "SUO" GOVERNO?
1 - DAGOREPORT
Mario Draghi e Marta Cartabia sono rimasti a bocca aperta: avevano messo in conto l'ostruzionismo dei Cinquestelle sulla riforma della Giustizia ma nessuno dei due aveva previsto la reazione scomposta dei magistrati.
La prima linea di fuoco è arrivata con le critiche di Nicola Gratteri e Federico Cafiero de Raho, secondo cui "il 50% dei processi sarà improcedibile” e “le conseguenze saranno la diminuzione del livello di sicurezza per la nazione, visto che certamente ancor di più conviene delinquere".
A loro si sono uniti anche il magistrato Vittorio Teresi, presidente del centro studi Paolo e Rita Borsellino ("Riforma scellerata, crea giustizia ingiusta"), il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli ("La riforma Cartabia rischia di diventare un’amnistia mascherata”) e il procuratore aggiunto di Milano a capo della Direzione distrettuale antimafia, Alessandra Dolci ("L'Europa ci chiede altro").
Senza contare l'attacco a testa bassa dell'Associazione nazionale magistrati sulla modifica alla prescrizione: "Non contiene una misura acceleratoria, capace di assicurare una durata ragionevole, ma un meccanismo eliminatorio di processi destinato ad operare senza poter essere illuminato da un criterio fondato sulla gravità e sulla natura dei reati oggetto di trattazione".
Insomma, le toghe hanno alzato gli scudi per rintuzzare il Guardasigilli e la sua riforma. Il "Fatto" ha soffiato sul fuoco dando spazio alle toghe malpanciste e Conte, lancia in resta, ha chiesto al fedele Patuanelli di alzare il tiro in Consiglio dei ministri per chiedere una revisione del testo. Marta Cartabia, impassibile come una silfide di gesso, non ha fiatato. Anzi. Ai suoi avrebbe confidato gongolando: "Se questa riforma non piace ai magistrati, è un buon segno…".
Draghi e Cartabia hanno storto il nasino, invece, leggendo l'intervista a "Repubblica" con cui Debora Serracchiani, capogruppo alla Camera del Pd, ha aperto alla possibilità di intervenire sulla riforma: "Alcuni aggiustamenti saranno necessari". Ma come, si sono detti, ora ci si mettono anche quelli del Pd? Della serie: Letta, i suoi, li controlla oppure no?
SuperMario ha parlato chiaro: massima disponibilità ad accogliere piccoli ritocchi ma l'impianto generale della riforma non si tocca. Qualunque manomissione aprirebbe il fuoco incrociato dei veti di Lega e Forza Italia, che già considerano la proposta Cartabia troppo morbida per una vera svolta garantista. Se il M5s alzerà il livello dello scontro, il governo non avrà problemi a porre la questione di fiducia.
A quel punto, i grillini saranno chiamati a un bagno di realtà: Di Maio e i governisti batteranno i tacchi e voteranno a favore, gli irriducibili saranno contro. E Conte? L'avvocato di Padre Pio non può certo uscire dalla maggioranza né andare alla rottura definitiva con Draghi.
Ne va della sua personale agibilità politica: andare contro Draghi significa inimicarsi l'Europa, che ha 209 miliardi da sversare su questo disgraziato paese e chiede, con una certa celerità, quattro riforme in croce. Se "Giuseppi" vuole avere ancora qualche interlocutore politico da Chiasso in su, deve rinculare e accettare un compromesso (come la rassicurazione sul rifinanziamento del Reddito di cittadinanza).
A dare un ulteriore segnalare che Bruxelles considera quello di Draghi il "suo" governo, è arrivato anche l'endorsement di Ursula von der Leyen alla riforma-Cartabia: “Ci sono riforme cruciali, riformare la giustizia, rafforzare l’ambiente degli affari per aiutare le imprese a essere più competitive. Queste sono le riforme che gli italiani hanno chiesto per anni e ora diventeranno realtà”. Della serie: chi vuole opporsi, si faccia avanti. Se non ha la faccia da perdere...
2 - LA TENAGLIA CHE STRINGE CONTE
Stefano Folli per “la Repubblica”
Il realismo obbligato di Conte, ossia la sua linea molto morbida nell'incontro con il presidente del Consiglio, non è servito a limitare l'ondata degli emendamenti dei Cinque Stelle alla riforma della giustizia. Circa mille in poche ore e non è finita. Qualcuno dirà che l'ex premier ha fatto il doppio gioco e senza dubbio una certa dose di ambiguità va messa nel conto.
Ma è più probabile che il caos sia figlio di una mancanza di leadership. Conte si trova in una specie di tenaglia. Da un lato deve tenersi in sintonia con Grillo e Di Maio: il primo costituisce l'altra gamba della diarchia; il secondo è quello che di fatto ha già trasformato la diarchia in un triumvirato. Nessuno dei due, come è noto, vuole uscire dal governo Draghi.
Certo non sulla legge Cartabia, dopo che nel Consiglio dei ministri tutti i rappresentanti del M5S l'hanno votata senza riserve. La convenienza di Conte è restare agganciato a questa posizione, anziché finire sballottato nel mare aperto dell'opposizione avendo con sé solo un brandello del movimento. D'altra parte, lo stesso Conte è pressato dall'ala barricadera dei 5S: troppo esigua e confusa per minacciare la stabilità dell'esecutivo, ma sufficiente a tentare una guerriglia parlamentare figlia della frustrazione e della volontà di non darla vinta al "partito di Palazzo Chigi".
È chiaro che per Conte la situazione è scomoda: la massa degli emendamenti non servirà a stravolgere il testo Cartabia, invece dimostrerà una volta di più che i 5S sono disgregati. S' intende, qualche correttivo del Parlamento potrà essere accolto. Le voci di chi chiede più risorse finanziarie per aumentare gli organici degli uffici giudiziari e dotarli di strumenti moderni hanno diritto di essere ascoltate. Lo stesso vale per il parere preoccupato del procuratore nazionale Antimafia. Ma i mille emendamenti rispondono a un'altra logica.
Sono l'arma con cui un'ala dei 5S tenta di cogliere una vittoria politica che sarebbe, bisogna ammetterlo, clamorosa: l'affossamento della riforma o la sua riduzione ai minimi termini. Se Conte accettasse tale logica, si condannerebbe alla marginalità, prigioniero di chi agita il massimalismo. Nemmeno Letta riuscirebbe ad andare in suo soccorso. Il male minore a questo punto è che il governo accetti alcuni ritocchi ragionevoli e poi metta la fiducia sul testo della riforma.
Una minoranza dei 5S griderà alla prepotenza di Draghi, dimenticando che si tratta di un provvedimento cruciale le cui linee sono state approvate in Consiglio dei ministri in una cornice di quasi unità nazionale. Gli altri, la maggioranza, voteranno la fiducia per convinzione o per un calcolo di realpolitik . In ogni caso il risultato sarà raggiunto e Conte avrà ridotto il danno. Forse non sarà più l'eroe degli intransigenti, il costruttore del nuovo movimento anti-sistema per il quale occorre ben altra tempra, tuttavia potrà giocare un ruolo nelle prossime vicende, compresa l'elezione del presidente della Repubblica.
Anche Draghi affronta un passaggio delicato. La fiducia posta su un tema prioritario dell'azione di governo segnerà uno spartiacque nella vita dell'esecutivo. Suonerà come sconfessione delle componenti più turbolente dei 5S, indicando un salto di qualità della premiership. Vedremo nei prossimi giorni. Di sicuro la guerra degli emendamenti sul testo Cartabia è molto più significativa, sul piano politico, dell'analogo conflitto intorno al ddl Zan, in cui il governo non è coinvolto.