GIORGIA MELONI È NERVOSA: GLI OCCHI DEL MONDO SONO PUNTATI SU DI LEI PER IL G7 A BORGO EGNAZIA. SUL TAVOLO DOSSIER SCOTTANTI, A PARTIRE DALL’UTILIZZO DEGLI ASSET RUSSI CONGELATI PER FINANZIARE L’UCRAINA - MINA VAGANTE PAPA FRANCESCO, ORMAI A BRIGLIE SCIOLTE – DOPO IL G7, CENA INFORMALE A BRUXELLES TRA I LEADER PER LE EURONOMINE: LA DUCETTA ARRIVA DA UNA POSIZIONE DI FORZA, MA UNA PARTE DEL PPE NON VUOLE IL SUO INGRESSO IN MAGGIORANZA - LA SPACCATURA TRA I POPOLARI TEDESCHI: C'È CHI GUARDA A DESTRA (WEBER-MERZ) E CHI INORRIDISCE ALL'IDEA (IL BAVARESE MARKUS SODER) - IL PD SOGNA UN SOCIALISTA ITALIANO ALLA GUIDA DEL CONSIGLIO EUROPEO: LETTA O GENTILONI? - CAOS IN FRANCIA: MACRON IN GUERRA CON LE PEN MA I GOLLISTI FLIRTANO CON LA VALCHIRIA MARINE
DAGOREPORT
Giorgia Meloni è nervosa e ha gli otoliti in fiamme, e questa volta ha ragione. Da domani, gli occhi del mondo saranno puntati su di lei per il G7 a Borgo Egnazia.
La premier è in ansia da prestazione per i dossier scottanti che dovranno essere discussi durante il vertice a partire dal tema più scottante, l’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare la resistenza ucraina.
Ad aggiungere altro stress a quello dovuto allo sguardo torvo di Macron e al muso lungo di Scholz, ci penserà quel simpatico e imprevedibile umorista di Papa Francesco, che è stato invitato a parlare di intelligenza artificiale.
Il Pontefice, in queste ultime settimane, ha mostrato il suo lato più incontenibile tra “frociaggine”, “checche isteriche” e donne dedite al “chiacchericcio”.
A far tremare le vene e i polsi alla premier non saranno però soltanto le possibili gaffe di Bergoglio, ma anche eventuali appelli sulla guerra a Gaza e sull’Ucraina, visto che su entrambi i fronti non è così allineato all’Occidente, come dimostrò quella volta in cui di fatto chiese a Zelensky di arrendersi (“L’Ucraina abbia il coraggio di alzare bandiera bianca e negoziare.
Non è una resa, ma il bene del popolo”)
Al resort pugliese ci saranno anche altre “guest star”: il principe saudita Mohammed Bin Salman, il presidente turco, Erdogan e vari autocrati africani travestiti da sinceri democratici come il presidente dell'Algeria Abdelmadjid Tebboune, quello della Tunisia Kais Saied, quello del Kenya William Ruto.
Già oggi sono iniziate a circolare le prime bozze della dichiarazione finale del summit del Gruppo dei sette. Il solito concentrato di vaghezza e genericità del tipo: “Aumenteremo le consegne di armi all’Ucraina, invitiamo la Cina a smettere di sostenere la guerra della Russia”, eccetera.
Al lavoro per trovare un’intesa più concreta ci sono gli sherpa delle varie delegazioni, guidati dall’italiana Elisabetta Belloni.
La capa del Dis è affiancata dal consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Fabrizio Saggio.
Dopo le fatiche di Borgo Egnazia, lunedì la Melona è attesa a Bruxelles per una cena informale con gli altri leader europei. Tra un fritto e un’insalata, sarà servita la portata principale: la spartizione delle euro-poltrone dopo i risultati delle elezioni dell’Ue. Giorgia Meloni arriva a questo risiko da una posizione di forza.
Sarà circondata da “dead men walking”: Joe Biden rischia la presidenza, Macron e Scholz sono già stati bastonati dagli elettori e anche Trudeau non se la passa benissimo. Ma quello messo peggio è il premier britannico, Rishi Sunak. Il leader indo-inglese è debolissimo: ieri, quando ha presentato il suo programma elettorale, stava per svenire quando gli hanno presentato gli ultimi sondaggi, che danno il laburista Keir Starmer a 23 punti di vantaggio.
Come ha scritto il “New York Times”: “Sostenuta dalle elezioni, Meloni è l’unico leader dell’Europa occidentale a uscire rafforzato dal voto per le europee e questa settimana ha la possibilità di mostrare la sua influenza su un palcoscenico ancora più ampio".
Una investitura che ora la obbliga a fare una bella figura, e mettersi il vestito da “dealer” e dare le carte. Ma di fronte a sé la Ducetta avrà tigri ferite, volponi arrabbiate e il caos dei gruppi parlamentari.
Oltre alla partita per la Commissione, ci sono almeno altre tre poltrone molto ambite e in ballo: il Parlamento europeo (dove dovrebbe rimanere la popolare Metsola), l'Alto rappresentante per la politica estera (in pole l'estone Kaja Kallas, liberale) e quella cruciale della guida del Consiglio europeo, destinata ai socialisti. A tal proposito, visto che la delegazione del Pd è la più numerosa all'interno di S&D, qualche dem legittimamente mugugna: "Perché dobbiamo regalarla al portoghese Costa e non metterci un italiano?". Tra i nomi nella fondina di Elly Schlein ci sono due ex premier, Paolo Gentiloni e Enrico Letta, entrambi molto amati a Bruxelles (il primo è commissario all'Economia, il secondo ha redatto il report sul mercato unico per conto di Ursula)
Tutto dipende dalla Presidenza della Commissione: le caselle andranno a posto soltanto quando sarà chiaro se Ursula von der Leyen sarà confermata o meno.
Nella formazione della maggioranza, che servirà a eleggere il nuovo Presidente della Commissione, si partirà, come confermato oggi dalla stessa von der Leyen, dalla cosiddetta maggioranza Ursula: popolari, socialisti e liberali.
Un fronte che dispone di 403 seggi rispetto ai 361 necessari per governare. Eppure, i numeri potrebbero non bastare a causa dei franchi tiratori, stimati da tutti gli analisti in una quota variabile tra il 10 e il 15%. E qui sorge la questione principale: a chi allargare la maggioranza? Le opzioni praticabili sono solo due: o ai Conservatori della Meloni o ai verdi.
Una buona parte del Ppe, il principale gruppo del Parlamento europeo (con 189 seggi), ha già chiarito che non vuole l’alleanza con i conservatori di “detta Giorgia”.
Ieri sera c’è stato un incontro tra i vertici dei due partiti democristiani “gemelli” tedeschi, la Cdu e la Csu. I cristiano sociali bavaresi, guidati dal presidente del ricco Land, Markus Soder, si oppongono alla linea del compagno di partito Manfred Weber, più disponibile a volgere lo sguardo a destra.
Weber ha trovato un alleato nel presidente della Cdu, Friedrich Merz, ma molti europarlamentari non sono d’accordo: in Germania, fascismo e nazismo sono un tabù molto serio (basta vedere il cordone sanitario che si sta stringendo intorno alle svastichelle di Afd), e intendersela con un partito nato dalle ceneri del Movimento sociale non è un’opzione condivisa.
Senza considerare che dentro Ecr non c’è solo la Meloni, ma anche i neo-franchisti di Vox e il vero mal-destro di Francia, Eric Zemmour, ben più intransigente dell’ormai annacquata Marine Le Pen.
A proposito di Francia, Emmanuel Macron è un’altra grande incognita al tavolo delle trattative per le euro-poltrone: il toyboy dell’Eliseo, uscito molto ammaccato dalle elezioni europee, ha sciolto il Parlamento, indetto nuove elezioni e chiamato le forze repubblicane a una Santa alleanza contro il Rassemblement national.
Il presidente ha avvertito del vero rischio di scegliere i populisti: non tanto democrazia e valori, quanto l’economia. Le proposte della Le Pen, come abbassare l’età pensionabile a 60 anni, sono in grado di mandare Parigi in bancarotta.
E mentre Macron briga per contrastare l’avanzata inesorabile di Le Pen e il suo cocco-dè Jordan Bardella, i Republicains di Eric Ciotti flirtano con l’estrema destra.
Un pastrocchio ideologico e politico che farebbe rivoltare nella tomba il generale De Gaulle: al punto che lo stesso presidente è stato espulso dall'ufficio politico del partito, "all'unanimità".