1. DAGOREPORT! - COME E’ AVVENUTA LA CONVERSIONE DI DRAGHI DA SOLDATINO DI BIDEN A CHIERICHETTO DI MACRON ("LA PACE NON SI FA UMILIANDO PUTIN")? - PER LA RISPOSTA, BASTA SEGUIRE I SOLDI: CHI AVREBBE DATO IL VIA LIBERA AL NOSTRO PNRR, UNA VOLTA ACCESO UN CONFLITTO POLITICO CON FRANCIA E GERMANIA? IL 30 GIUGNO E' ATTESA LA NUOVA TRANCHE DI AIUTI DA BRUXELLES. CHI TIENE I CORDONI DELLA BORSA? PARIGI E BERLINO, MICA WASHINGTON
2. L'INCONTRO DI MARIOPIO CON BIDEN IGNORATO DAI MEDIA USA (TRANNE 'WASHINGTON POST'), IL SOSTEGNO DI JANET YELLEN E DELLE “COLOMBE” AMERICANE BLINKEN E BURNS (CIA) - IL PARTITO REPUBBLICANO FAN DI BIDEN CON L'ELMETTO E IL SUPER GABINETTO DI MACRON…
DAGOREPORT
Solo gli stolti (o gli Stoltenberg), è noto, non cambiano mai opinione. Chi tende le orecchie al mondo riesce a captare segnali, sa rinnovarsi, arriva a ribaltare anche le convinzioni già cristallizzate. Deve essere successo anche a Mario Draghi. Una sorta di folgorazione mistica lo ha còlto e lo ha totalmente trasfigurato.
Da convinto soldatino di Biden nella linea dura contro Putin, Mariopio ha improvvisamente deposto l’elmetto e la baionetta, abbracciando posizioni meno intransigenti. S’è fatto concavo e convesso per adattarsi alla linea dialogante con Mosca chiesta da Macron e Scholz ("La pace non si fa umiliando Putin"). Come e perché è avvenuta questa mutazione?
Dal giorno dell’invasione russa all’Ucraina, il 24 febbraio, Draghi non ha avuto dubbi: randellate a Putin, senza esitazione. Mise all’indice il “disegno revanscista” del Cremlino invocando “una reazione rapida, ferma, unitaria". Elogiò la resistenza “eroica” contro “la ferocia di Putin”. Descrisse l’Italia come “totalmente allineata sulle sanzioni dure” alla Russia.
Insomma mai un barlume di diplomazia, anche solo verbale, che lasciasse trasparire una vaga disponibilità a un necessario dialogo con il Cremlino. Draghi è stato il marine della prima ora, con elmetto e bombarda, al fianco di Washington, al punto da beccarsi l’epiteto di “Lukashenko di Biden” da quel cervello putinato di Alessandro Orsini. Erano le settimane in cui Macron, in corsa per le elezioni presidenziali, sembrava traballante: Marine Le Pen gli teneva il fiato sul collo e una permanenza all’Eliseo sembrava tutt’altro che scontata.
In Germania il cancelliere Scholz era nel mirino del suo stesso governo per le sue ondivaghe prese di posizione sul conflitto, sulle sanzioni verso Mosca e sulle forniture di armi a Kiev. Insomma Draghi ha avuto gioco facile nell’ergersi, da subito e in solitaria, come il più “amerikano” dei leader europei.
Quando Scholz ha puntato i piedi opponendosi all’embargo immediato sul gas russo (che avrebbe messo la Germania in ginocchio) e Macron ha vinto il ballottaggio, lo scenario è cambiato di colpo. Il portagioie di Brigitte si è ritrovato forte: legittimato dal voto e con un quinquennio saldamente al timone della Francia (e dell'Ue), e ha potuto finalmente esternare a voce alta il suo pensiero. In una telefonata con Draghi, poco dopo la rielezione, Macron ha scolpito la frase-bussola del suo progetto politico: “Sovranità dell’Unione europea”.
Da presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, il presidente francese ha voluto far capire a Washington che un alleato non è un maggiordomo a cui ordinare di spolverare il como'.
Per rendere il concetto più chiaro, durante la cerimonia finale della Conferenza sul futuro dell’Europa a Strasburgo il 9 maggio, come presidente di turno del consiglio europeo, Macron ha scandito: “Domani avremo una pace da costruire e dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo. Questo non si farà con l'esclusione reciproca e nemmeno con l'umiliazione". Parole che hanno avuto un peso decisivo nel cambio di rotta di Draghi.
La sera del 9 maggio, quindi il giorno prima che Mariopio volasse negli Stati uniti, questo disgraziato sito anticipava la “conversione” in corso con questo flash https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/flash-nbsp-washington-tasteranno-modo-informale-309605.htm
In poche ore Draghi ha fatto inversione a “U” rispetto alla linea turbo-atlantista-intransigente tenuta fino ad allora. Perché?
La si potrebbe definire una “resipiscenza” politica ad ampio raggio: entrare in conflitto con gli alleati Macron e Scholz, per accucciarsi sul tappetino d’ingresso della Casa Bianca, avrebbe creato molti problemi all’Italia. Di pecunia si parla, of course.
Chi darà il via libera al nostro Pnrr, una volta acceso un conflitto politico così profondo con Francia e Germania? Il 30 giugno dovrebbe arrivare la nuova tranche di aiuti da Bruxelles. Chi tiene i cordoni della borsa? Joe Biden? No, gli amici di Parigi e Berlino.
L’Europa è casa nostra, anzi è la casa del nostro debito pubblico, della Bce che lo compra e di Bruxelles che sgancia i dindini del Pnrr. E’ il cappio politico a cui non possiamo sottrarci.
E poi, inutile girarci attorno, sposare una linea europea (dialogante e diplomatica) verso la Russia rientra nei nostri interessi nazionali. Un "regime change" a Mosca eccita solo gli americani. A noi cosa serve? Che Putin e Zelensky si mettano d’accordo, giocandosi pure il Donbass a dadi. A queste latitudini urgono gas a buon mercato, grano e stabilità.
E dire che la piroetta di Draghi sull’Ucraina non è neanche dispiaciuta a una parte dell’amministrazione americana. Il capo della Cia, William Burns, il Segretario di Stato Blinken (da sempre favorevoli a una linea più morbida con Mosca) e l'ex Segretario al Tesoro Janet Yellen hanno apprezzato la svolta dialogante di Mariopio.
Della serie: se lo fa anche lui, chissà che la Casa Bianca prima o poi non si convinca a tirarci fuori dal pantano ucraino.
Questa, va precisato, è stata una disquisizione di establishment, di apparato, perché il viaggio di Draghi negli Stati Uniti non ha avuto grande eco sui giornali, ad eccezione del Washington Post che ha presentato Mariopio come una sorta di ambasciatore del pensiero di Macron. I più lo hanno ignorato.
Quel testa di missile di Biden, per ora, tira dritto. Per lui il dialogo con la Russia è inutile e inopportuno. La sua smania bellicista, che punta a deporre Putin nel lungo periodo, non trova veri ostacoli negli Stati Uniti: è sostenuta persino dal partito repubblicano.
Il Congresso Usa autorizza senza battere ciglio ogni nuova tranche di aiuti all’Ucraina (hanno già sganciato 54 miliardi di dollari). I repubblicani, che in teoria dovrebbero fare opposizione a Biden, godono nel veder riaffermata nel mondo la supremazia militare americana. Del resto, l'America di Trump non era New York e Los Angeles dei liberal e belli ma il corpaccione degli stati del centro e del sud, qualunquisti, violenti e razzisti.
Non solo: una lezione a Putin è vista come utile deterrente alle mire espansionistiche della Cina, vero “nemico” dei repubblicani trumpiani. D’altronde il conflitto in Ucraina è lontano dai loro culi a stelle e strisce e quindi vai con le forniture di armi, missili e droni kamikaze. Alla fine il conto, lo pagheranno gli ucraini. E noi di sponda.
Qualcosa però, sotto sotto, si sta muovendo. Almeno a livello di diplomazie. Primi sussulti di una exit strategy. Ieri c’è stato un primo contatto Usa-Russia: il vice ministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov (numero due di Lavrov), ha incontrato a Mosca l'ambasciatore Usa, John Sullivan…Di cosa avranno parlato? Ah, saperlo…
Ps: con il voltafaccia a Washington, Draghi può scordarsi il posticino alla guida della Nato. Gli americani vogliono come Segretario generale un utile maggiordono come 'Jena' Stoltenberg, che annuisce ed esegue. Le future ambizioni di Mariopio dovranno trovare accordo con i piani di Francia e Germania.
Ps 2: Macron ha creato un super gabinetto di crisi sull’Ucraina, con briefing quotidiani sull’andamento del conflitto e questioni a margine. Ha arruolato i migliori analisti d’intelligence, consiglieri, 007 e diplomatici, per avere un monitoraggio continuo. L’Italia ha fatto altrettanto? Ovviamente no.