DAGOREPORT– MELONI AVVERTE TREMONTI: IL "NEMICO" NON E' DRAGHI MA CONTE – IL CALCIONE RIFILATO DALL'EX MINISTRO DELL'ECONOMIA A MARIOPIO, ACCUSATO DI NON AVER STOPPATO IL SUPERBONUS GRILLINO (“SE NON CI FOSSE STATO UN TIZIO CHE VOLEVA ANDARE AL QUIRINALE I CONTI ITALIANI STAREBBERO MEGLIO”), METTE IN DIFFICOLTÀ LA SORA GIORGIA – LA DUCETTA HA SCELTO COME NEMICO NUMERO UNO CONTE E IL POPULISMO GRILLINO. E GLI ATTACCHI A DRAGHI SPOSTANO L'ATTENZIONE DAL VERO BERSAGLIO DA COLPIRE, SOPRATTUTTO IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE…

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DAGOREPORT

 

Meloni Tremonti

L'attacco a freddo lanciato da Giulio Tremonti contro Mario Draghi è stato accolto tutt’altro che positivamente da Giorgia Meloni. L'ex ministro del Tesoro, in un'intervista al “Corriere della Sera”, ha rifilato un calcione al Mariopio, sibilando che «non bastano le tecno astuzie come quella del ‘debito buono’».

 

Poi, intervenendo a “Omnibus”, ha puntato di nuovo il dito contro Draghi per la voragine nei conti pubblici causato dal Superbonus, facendo intendere che l'ex premier cedette ai “ricatti” del M5s per coronare il suo obiettivo di salire al Colle: «Io credo che se non ci fosse stato un tizio che voleva andare al Quirinale e che per questo ha sbloccato e rilanciato il bonus edilizio, l’Italia starebbe molto meglio. È grazie a quella scelta che non abbiamo soldi sufficienti per la sanità, per la scuola, per le persone». 

 

GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI

L’affondo di Tremonti contro Draghi mette in difficoltà la Sora Giorgia, perché lei ha scelto di riconoscere come “contender” numero 1 non il Pd di Elly Schlein e le sue battaglie sui diritti, ma Giuseppe Conte e il populismo del M5s.

 

Quindi, quando il sor Giulio indica Mariopio come “colpevole” per il superpasticcio del superbonus, sposta l'attenzione su quello che dovrebbe essere il bersaglio principale da colpire, ovvero Peppiniello Appulo.

 

Appare chiaro ormai come, nei prossimi mesi, avvicinandosi sempre di più il voto europeo, assisteremo a uno scontro ruvido tra la "narrazione" meloniana e il populismo con la pochette targato Conte.

 

BENVENUTI NELL'ERA DEL “MELONTE”, LA STRANA INTESA TRA GIORGIA MELONI E GIUSEPPE CONTE

Estratto dell'articolo di Susanna Turco per “L'Espresso”

 

MELONI CONTE

Si oppongono ma si tengono l’un l’altro, polemizzano ma spartiscono. Hanno ruoli diversi ma tratti comuni: un certo populismo, nervature di anti-politica, broncio fisso contro le élite, l’abilità nell’uso illusionista della comunicazione. Hanno eletto in Parlamento una valanga di sconosciuti, le cui gesta meriterebbero osservatori più attenti. Hanno avuto e hanno gli stessi competitor: il leader leghista Matteo Salvini, ad esempio, vicepremier nei governi di entrambi, e per entrambi prima o poi terreno di caccia, per conquistare voti (lei) o riconquistare credibilità (lui).

 

Addirittura convergono anche nei racconti sul Pd, sul quale riportano le stesse versioni di comodo: per esempio che, a differenza loro, vorrebbe «accogliere tutti i migranti». A dirla con un paradosso, Giuseppe Conte e Giorgia Meloni avrebbero dovuto incontrarsi prima: forse ora militerebbero nello stesso schieramento.

 

GIORGIA MELONI INCONTRA LE OPPOSIZIONI PER IL SALARIO MINIMO

Quel che è certo è che di rado s’era vista prima d’ora una così grande sintonia di intenti, ovviamente sotterranea rispetto alla lotta politica, un antagonismo che alla fine vira in convergenza, quando non in alleanza occulta. Vale anzitutto nell’essere l’uno eccellente nemico dell’altra: passati i primi mesi di governo, Meloni ha infatti scelto Conte come la più comoda incarnazione dell’opposizione, perché rafforzare lui significa tenerla divisa.

 

Lui s’è fatto volentieri opzionare, è stata la sua fortuna: da quel momento le sue azioni nei sondaggi sono risalite. Addirittura, ha certificato la rilevazione di Quorum/Youtrend per Sky, questa settimana per la prima volta - perdendo la premier un punto - è avvenuto il sorpasso per percentuale di popolarità da parte del capo M5S: 37 punti lui, 36 lei.

 

MELONI CONTE 2

Nessuno meglio di Meloni ha contribuito del resto a esaltare le gesta dei governi Conte, uno e bino. Il superbonus e il reddito di cittadinanza, che nell’era del governo di Mario Draghi apparivano per lo meno come misure che avevano fatto il loro tempo, prolungate per capriccio dei partiti ma destinate a essere spazzate via, nell’era della pulzella di via della Scrofa - un governo senza misure-simbolo e privo di una visione a lungo termine - sono diventati il simbolo di ciò che c’era da fare. Smontare cioè quanto fatto in precedenza.

 

Il governo del disfare ha così innalzato a totem negativo il reddito che sovvenziona «chi potrebbe lavorare» e moltiplicato ogni tre settimane il peso dei bonus sui conti pubblici. Adesso siamo 90 miliardi, ma non è detto sia finita.

 

[…]

 

il video tiktok di giuseppe conte contro giorgia meloni 3

E del resto Giuseppe Conte assai di rado lascia lo spazio sufficiente a immaginare che oltre a lui ci sia un’altra opposizione: qualsiasi idea, se buona, l’aveva avuta prima lui. Come il salario minimo, proposta unitaria delle opposizioni, bandiera che una volta fu anche della sinistra, prima dei Cinque Stelle. E quindi a inizio luglio per chiudere l’accordo il capo del M5S ha preteso che la prima firma sulla proposta di legge fosse la sua.

 

Si comporta così anche per quel che riguarda le nomine. L’aver guidato gli ultimi due governi su tre, dà infatti all’Avvocato del Popolo una certa agibilità sul fronte dei nomi di sottogoverno: nel senso che v’è gente in ogni dove pronta o disponibile a essere o diventare quota M5S, tanto più perché il Pd a questo giro ha preferito starci poco e niente al tavolo. E così la discussione sulle nomine delle aziende di Stato, come ha notato a suo tempo anche Lucia Annunziata, è stata gestita con grande abilità da Conte «che ha portato a casa ottimi nomi senza apparire consociativo».

 

 

 

meloni conte

Vi è poi l’intero capitolo Rai, a partire dal primo paragrafo: dopo un’era di rapporti inesistenti tra M5S e la Rai di Carlo Fuortes, il partito di Conte si è subito qualificato per il nuovo campionato: una brillante astensione da parte di Alessandro di Majo, esponente nel cda in quota M5S, ha subito messo le cose in chiaro sull’ascesa di Roberto Sergio ai vertici della tv di Stato. Prequel per la spartizione di una serie di caselle che è poi puntualmente avvenuta, sia dentro la Rai sia in Parlamento, con l’elezione alla presidenza della Commissione Vigilanza della senatrice grillina Barbara Floridia.

 

D’altra parte, zitti al momento del mancato rinnovo del contratto che ha portato fuori dalla Rai Fabio Fazio, i Cinque Stelle non hanno pronunciato un verbo neanche a fine luglio, al momento della cancellazione del programma “Insider” di Roberto Saviano, già realizzato e pronto per essere mandato in onda. Dal Movimento non è volata una mosca: in commissione Antimafia, all’appassionata richiesta del dem Walter Verini di discutere la «defenestrazione inquietante» di Saviano, il magistrato Cinquestelle Federico Cafiero de Raho si è potuto associare solo una prima volta.

 

[…]

 

giuseppe conte giorgia meloni atreju 1

Ed ecco che per questa via dai carissimi nemici passiamo alla convergenza di interessi, a una specie di alleanza in cui M5S non è antagonista, ma parte del sistema Meloni: un Giusepponi. Una convergenza a volte nei fatti: in molti hanno notato, a partire da Conte stesso, quanto il decreto per il prelievo sugli extraprofitti delle banche estratto da Meloni in mezzo all’estate somigliasse a uno dei cavalli di battaglia dei Cinque Stelle.

 

Una convergenza nelle nuance anti-establishment. Ma anche formule magiche per conquistare l’elettorato nei punti molli: ha fatto molto discutere, in questi giorni, la presa di posizione sul tema dei migranti, da parte di Giuseppe Conte, intervistato da Bruno Vespa a “Porta a porta”: «Il Pd è per l’accoglienza indiscriminata, per noi non è possibile, ci sono dei percorsi ragionevoli, pragmatici».

 

giuseppe conte giorgia meloni atreju

Ecco la discussione si è appuntata qui, sulla posizione anti-Pd, ma nessuno, neanche in Fratelli d’Italia, ha poi raccontato o fatto notare quali siano le basi di questa “terza via” contiana all’immigrazione. Che invece meritano: «Bisogna lavorare nei Paesi di transito e origine, ma con rispetto, con diplomazia sotterranea, con l’intelligence.

 

Si possono costruire dei punti di raccolta delle domande, non delle persone - perché quello costa molto ed è più difficile da realizzare. Potremmo addirittura osare la realizzazione di ambasciate europee che col personale di Frontex, delle Nazioni Unite possono addirittura scrutinare le domande. Diamo un forte messaggio ai Paesi di origine e di transito africani delle rotte migratorie: guardate chi ha diritto alla protezione internazionale non deve pagare», ha detto Conte a “Porta a porta”. Meloni sogna il blocco navale l’avvocato del popolo il blocco delle carte bollate, con l’aiuto del personale di Frontex e di ambasciate europee tutte nuove.

 

giuseppe conte con giorgia meloni atreju 2019 2

Dalle parole ai fatti, è addirittura limpido l’assist arrivato a inizio luglio a Meloni da parte dei Cinque Stelle. Il 5 luglio, solo quattro giorni dopo la presentazione della proposta sul salario minimo che aveva unito per la prima volta le opposizioni dopo la più grave sconfitta degli ultimi vent’anni, al Senato il capogruppo grillino Stefano Patuanelli ha depositato senza preavviso la mozione di sfiducia individuale contro Daniela Santanchè. Una tattica che il Pd aveva escluso perché puntava sull’imbarazzo, soprattutto leghista, che scuoteva evidentemente la maggioranza sul caso della ministra del Turismo: sperava che questo, la tensione in seno alla maggioranza, facesse da detonatore per delle dimissioni. La mozione di sfiducia, come sempre accade, ha costretto i due fronti a compattarsi. Caso Santanchè chiuso.

giuseppe conte con giorgia meloni atreju 2019 1

 

Convergenze anche d’altro tipo: otto giorni dopo, il 13 luglio alla Camera, i Cinque Stelle hanno votato assieme alla maggioranza di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega per aumentare l’indennità ai capigruppo, allineandola ai presidenti di commissione: una notevole innovazione, rispetto ai tempi in cui il Movimento predicava e faceva praticare i tagli alla kasta, che ha messo a disagio anche il capogruppo Francesco Silvestri («non mi avvarrò in nessun modo di questo aumento», ha detto). […]

 

La replica di Pasqualino Pensa all'articolo dell’Espresso:

 

Gentile direttore,

CONTE MELONI

desidero fare alcune precisazioni in riferimento all'articolo intitolato "Melonte Giorgia e Giuseppe La strana intesa", pubblicato il 29 settembre scorso. Il mio fu un invito affinché si rispettasse la visita di una alta carica istituzionale, alla quale io e tanti altri avevamo rivolto l'invito a venire di persona e assumersi le sue responsabilità. Peraltro, la mia citazione è incompleta, dissi anche "non è il momento della protesta", perché serve collaborazione istituzionale di fronte a casi come quello di Caivano. Non a caso, fu proprio don Patriciello a invitare me e tutti gli eletti del territorio a essere presenti in quella occasione. Tutto ciò non mi ha impedito di rivolgere alla presidente del Consiglio dure critiche sia nell'aula della Camera che in diverse dichiarazioni alle agenzie di stampa, per stigmatizzare le scelte operate dal governo, la loro linea politica tutta improntata alla propaganda e le modalità della visita a Caivano, in cui Meloni si è sottratta al dialogo con i cittadini, le associazioni e i rappresentanti politici.

 

 

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