LA PRIMA VITTIMA DELLO SCANDALO DELLA FUGA DI ARTEM USS SI CHIAMA GIORGIA MELONI:
GLI AMERICANI, INCAZZATISSIMI, HANNO RINVIATO LA VISITA DELLA DUCETTA ALLA CASA BIANCA, IN AGENDA TRA MAGGIO E GIUGNO. BIDEN VOLEVA USS PER SCAMBIARLO COL GIORNALISTA DEL "WALL STREET JORNAL", ARRESTATO DA PUTIN PER SPIONAGGIO - ARTEM USS AVEVA VECCHI E SOLIDI RAPPORTI CON GRANDI SOCIETÀ ITALIANE. SUO PADRE, INSIEME AL BOSS DI ROSNEFT, IGOR SECHIN, È IL PRINCIPALE ARTEFICE DEL MEGA PROGETTO “VOSTOK OIL”: UNA TORTA DA MILLE MILIARDI DI DOLLARI, DI CUI MOLTE AZIENDE ITALIANE BRAMAVANO UNA FETTA – IL PRINCIPALE ALFIERE ITALIANO DEL COLOSSALE PROGETTO È STATO ANTONIO FALLICO, GIA' UOMO DI BANCA INTESA A MOSCA, DAL 2008 CONSOLE ONORARIO DELLA FEDERAZIONE RUSSA, CHE DA PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE “CONOSCERE EURASIA” HA SOLIDI RAPPORTI CON SECHIN –
LA FARSA DELLA FUGA: ''IL BRACCIALETTO ELETTRONICO SUONO' DECINE DI VOLTE..."
DAGOREPORT
La rocambolesca fuga di Artem Uss, imprenditore russo evaso il 22 marzo da Milano, dove era ai domiciliari, si inserisce in un contesto complesso e frastagliato di affari, soldi e relazioni.
A partire dal 24 febbraio del 2022, scoppio della guerra in Ucraina, gli imprenditori russi, tra cui lo stesso Uss e suo padre, Alexander, erano coccolati e omaggiati dalle grandi aziende italiane. Le possibilità di business offerte dagli oligarchi vicini al Cremlino erano allettanti e non c’era ragione per non approfittarne.
In questo contesto Artem Uss ha costruito un’ampia rete di relazioni in Italia, dove sosteneva di risiedere (ed ecco perché gli hanno concesso i domiciliari a Basiglio) con uomini d’affari, capitani d’impresa e furbacchioni di vecchio conio.
Le vagonate di rubli piovute sul nostro paese erano indirizzate a progetti molto diversi: prima della guerra i russi hanno investito in ville, aziende vinicole, villaggi vacanze come il Forte Village (rilevato nell’ottobre 2014 dai fratelli Bazhaev per 180 milioni di euro).
Ma il boccone grosso era un altro: il mega progetto ''Vostok Oil'', una “cornucopia da mille miliardi di dollari. Un eldorado di giacimenti da sfruttare e di impianti da costruire, superiore alla megalomania di qualunque sceicco: 115 milioni di tonnellate di idrocarburi, decine di raffinerie, ottomila chilometri di condotte”, come ha scritto su “Repubblica” Gianluca Di Feo.
Un visionario piano di conquista energetica dell’Artico, dietro cui c’era proprio il padre del fuggitivo Artem Uss, insieme a Igor Sechin, ex colonnello del Kgb e boss di Rosneft, ritenuto da molti la persona più vicina a Vladimir Putin.
''Vostok Oil'' era un’occasione troppo ghiotta per molte imprese italiane, che infatti si sono lanciate a capofitto per accaparrarsi un posticino al tavolo delle trattative.
Scrive Di Feo: “Un mese prima dell'attacco contro Kiev, Putin in persona ne ha parlato agli imprenditori della Camera di commercio italo-russa: ‘I produttori italiani di attrezzature ad alta tecnologia stanno anche contribuendo attivamente al progetto Vostok Oil, che Rosneft sta realizzando nel territorio di Krasnoyarsk’. […] Tutti questi affari dovevano passare dagli uffici di Alexander Uss, che avrebbe personalmente incontrato gli emissari di aziende come Eni, Danieli e Saipem oltre a promuovere attraverso l'Istituto per il Commercio Estero altri piani di sviluppo nella sua regione.
Aggiunge un po' di pepe "Il FattoQuotidiano.it": "Fu il direttore generale per la promozione del Sistema Paese del ministero degli Esteri, l’ambasciatore Enzo Angeloni, che nel 2020 prospettava “importanti ricadute per numerose imprese del nostro Paese. Vostok Oil prevede la costruzione di 15 città industriali, due aeroporti, un porto, 5.500 chilometri di strade e ponti”. Putin in persona ne parlò con gli imprenditori della Camera di commercio italo-russa, con la milanese Maire Tecnimont che veniva indicata come vincitrice della commessa da 1,1 miliardi per la costruzione di una raffineria".
Continua il sito diretto da Peter Gomez: "... il principale artefice della presenza italiana in Vostok Oil è sempre stato Antonio Fallico, compagno di classe di Marcello Dell’Utri, uomo di Fininvest in Russia dalla fine degli anni Ottanta e il banchiere che può essere considerato il punto di collegamento tra le aziende italiane e la Federazione.
Fallico è soprattutto l’uomo delle fortune di Banca Intesa a Mosca. I rapporti tra l’istituto italiano e Rosneft sono radicati: “Nel 2016 – scrive Repubblica – ha partecipato alla privatizzazione del colosso energetico russo e l’anno dopo ha guidato un pool di banche che ha finanziato con 5,2 miliardi di euro l’acquisto del 19,5% delle quote. Un’operazione così importante per il Cremlino da avere convinto Putin a consegnare onorificenze di Stato ai vertici dell’istituto”.
Tant'è che Fallico, dal 2008 è console onorario della Federazione Russa, nonché presidente dell'associazione "Conoscere Euroasia". Fino al punto che, lo scorso ottobre, a guerra iniziata, il potentissimo boss di Rosneft Sechin ha parlato - in teleconferenza perché bersaglio delle sanzioni internazionali - subito dopo Fallico al Verona Eurasian Economic Forum, davanti alla platea degli irriducibili putiniani d'Italia: "Lo sviluppo procede secondo i piani stabiliti. Saremo lieti di vedere tutti i nostri amici tra i partecipanti a Vostok Oil".
La centralità della famiglia Uss all’interno del grande e appetibile piano “Vostok Oil” deve aver creato non poche difficoltà a molti uomini d’affari del nostro Paese, preoccupati che la detenzione di Artem potesse compromettere future buone occasioni di business. Chi è abituato a fatturare vive la guerra in Ucraina come una fastidiosa zavorra ai bilanci e lancia già lo sguardo alla fine del conflitto.
Ecco perché l’incredibile fuga di Artem Uss deve aver rallegrato chi nella Russia in questi anni, e in quelli a venire, vede solo un partner preziosissimo. Ha masticato amaro, invece, chi immaginava che Uss, usato da Putin per acquistare componenti tecnologiche militari da usare nella guerra in Ucraina, venisse giudicato per i suoi crimini.
A rendere più indigesta l’evasione sono i dettagli emersi in questi ultimi giorni, elementi talmente surreali da suscitare più di un interrogativo sulla reale efficacia dei controlli e delle misure adottate.
Come scrivono Davide Milosa e Valeria Pacelli sul “Fatto quotidiano” di oggi, “prima dell’evasione del 22 marzo il braccialetto elettronico di Uss ha inviato segnali per decine di volte. […] Tradotto: Uss, a partire dal 2 dicembre, ha tentato di manomettere il braccialetto o è uscito di casa”.
Tra i più incazzati per la fuga di Uss ci sono ovviamente gli americani. Da Washington, ben prima che i buoi scappassero, avevano tentato in ogni modo di alzare la soglia dell’attenzione italiana sull’ingombrante detenuto.
Dalla richiesta di estradizione alla segnalazione sull’inopportunità di concedere a Uss i domiciliari, fino ai due caccia F-16 fatti alzare in volo da Aviano dopo la fuga del russo, gli americani hanno fatto capire quanto ci tenessero ad avere nelle loro mani l’imprenditore.
Dagospia è in grado di rivelare il motivo: Uss poteva essere una pedina di scambio di alto livello per riportare in patria il giornalista del “Wall Street Journal”, Evan Gershkovich, arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio.
Il reporter, che stava indagando sul complesso industriale e militare russo, viene indicato dal Cremlino, ma non solo, come molto vicino alle agenzie di intelligence statunitensi, alis Cia. Artem Uss poteva essere sfruttato come il “mercante di morte”, Viktor Bout, consegnato a Putin in cambio della cestista Brittney Griner. E invece, nisba! Sarà difficile convincere la Casa Bianca che la colpa non è né del governo né dei magistrati, né delle agenzie di sicurezza, ma di un combinato disposto di sfortuna e imperizia.
Come notava ieri, su “Repubblica”, Stefano Folli, “forse è solo un caso o un problema di calendario, ma la visita a Washington (di Giorgia Meloni, ndR) di cui si parla da tempo non si è ancora realizzata”. Come a dire, la ritorsione diplomatica di Washington è già in corso. E non si sa a cosa potrà portare… È questo che preoccupa maggiormente il governo della turbo-atlantista Giorgia Meloni che gia sognava di atterrare alla Casa Bianca a fine maggio, primi di giugno.
USS, IL BRACCIALETTO SUONÒ DECINE DI VOLTE “PROVÒ A TAGLIARLO O SI ALLONTANÒ DA CASA”
Estratto dell’articolo di Davide Milosa e Valeria Pacelli per “il Fatto quotidiano”
Un mistero dentro a un mistero. È la storia dell’evasione dell’imprenditore russo Artem Uss dalla sua villa di Basiglio, nel Milanese. A partire dal braccialetto elettronico (privo di Gps e allo stato non trovato) disposto in aggiunta ai domiciliari. Strumento che se manomesso o portato fuori dal perimetro della casa, manda un alert alla centrale operativa dei carabinieri.
Per quel che risulta agli inquirenti, prima dell’evasione del 22 marzo il dispositivo ha inviato segnali per decine di volte. Uss, su disposizione della Corte d’appello, lascerà il carcere il 2 dicembre dopo essere stato arrestato il 17 ottobre. Ora, secondo quanto spiegato dalla Procura, gli allarmi derivano da un malfunzionamento del tracciamento gestito in appalto da Fastweb. I carabinieri avrebbero avuto questa spiegazione, non si comprende se informale o ufficiale, dai tecnici della società telefonica.
Ma l’ultimo alert quello partito alle 13,52 del 22 marzo poteva essere l’ennesimo malfunzionamento? Pochi minuti dopo Uss era già fuggiasco. In realtà in una nota nella serata di ieri Fastweb ha fatto sapere che “non risulta alcun malfunzionamento né del braccialetto elettronico né di altri dispositivi in uso […]”.
Tradotto: Uss, a partire dal 2 dicembre, ha tentato di manomettere il braccialetto o è uscito di casa. […] Intanto ieri la Procura ha risposto alle domande della Procura generale sul tardivo sequestro dei cellulari. Sequestro chiesto dagli Usa già nella loro richiesta d’arresto eseguita il 17 ottobre a Malpensa. Domani il ministro Nordio terrà un’informativa alla Camera.
Uss, l’affare da mille miliardi e gli amici italiani di Vostok Oil
Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica” -
Se si vuole comprendere pienamente l'affaire Uss allora bisogna spiegare che il padre del fuggitivo non è solo il governatore di una ricca regione siberiana ma è soprattutto l'artefice del più grande progetto di sviluppo petrolifero del mondo: il programma Vostok Oil, una cornucopia da mille miliardi di dollari.
Un eldorado di giacimenti da sfruttare e di impianti da costruire, superiore alla megalomania di qualunque sceicco: 115 milioni di tonnellate di idrocarburi, decine di raffinerie, ottomila chilometri di condotte. In pratica, la testa di ponte per colonizzare l'Artico, presentando però tutto come green […].
Vostok Oil è stato inventato da Alexander Uss e dal numero uno della compagnia energetica Rosneft: Igor Sechin, l'ex colonnello del Kgb ritenuto la persona in assoluto più vicina a Vladimir Putin, così temuto in patria e all'estero da venire chiamato Darth Vader, come il principe delle tenebre di Guerre Stellari.
Possibile che i nostri apparati di sicurezza ignorassero tutto questo? Artem Uss anche negli atti giudiziari è stato trattato come un normale imprenditore che voleva investire nel nostro Paese mentre decine di siti investigativi russi […] lo considerano il prestanome a cui il padre ha affidato i forzieri accumulati nella sua carriera politica.
E il fatto che nessuno controlli chi sono gli oligarchi che acquistano beni e trasferiscono fondi attraverso società cipriote - come ha fatto Artem Uss per comprare alberghi e terreni in Sardegna - è forse ancora più preoccupante della mancata vigilanza sugli arresti domiciliari nella cascina di Basiglio. A meno che non sia stata proprio "Vostok Oil" la parola magica che ha fatto chiudere gli occhi sul giovane recluso.
[…] Prima dell'invasione dell'Ucraina, tutte le grandi aziende italiane hanno cercato di ritagliare una fetta di questa torta. "Ci saranno importanti ricadute per numerose imprese del nostro Paese - magnificava nel dicembre 2020 l'ambasciatore Lorenzo Angeloni, uno dei direttori generali del ministero degli Esteri […]".
Un mese prima dell'attacco contro Kiev, Putin in persona ne ha parlato agli imprenditori della Camera di commercio italo-russa: "I produttori italiani di attrezzature ad alta tecnologia stanno anche contribuendo attivamente al progetto Vostok Oil, che Rosneft sta realizzando nel territorio di Krasnoyarsk". […]
Tutti questi affari dovevano passare dagli uffici di Alexander Uss, che avrebbe personalmente incontrato gli emissari di aziende come Eni, Danieli e Saipem oltre a promuovere attraverso l'Istituto per il Commercio Estero altri piani di sviluppo nella sua regione.
Ma il principale alfiere dello sbarco tricolore nel futuro di Vostok Oil è sempre stato Antonio Fallico, l'arbitro delle fortune di Banca Intesa a Mosca. Ha continuato a farlo anche dopo l'inizio della guerra. Lo scorso ottobre il boss di Rosneft Sechin ha parlato - in teleconferenza perché bersaglio delle sanzioni internazionali - subito dopo di lui al Verona Eurasian Economic Forum, davanti alla platea degli irriducibili putiniani d'Italia: "Lo sviluppo procede secondo i piani stabiliti. Saremo lieti di vedere tutti i nostri amici tra i partecipanti a Vostok Oil".
I rapporti tra Banca Intesa e Rosneft sono stati molto profondi: nel 2016 ha partecipato alla privatizzazione del colosso energetico russo e l'anno dopo ha guidato un pool di banche che ha finanziato con 5,2 miliardi di euro l'acquisto del 19,5 per cento delle quote.
[…] Affari così importanti non possono limitarsi ad accordi tra banche o aziende: sono questioni di Stato. Come probabilmente - a sentire le parole spese dal vertice della Farnesina - è accaduto pure per il programma petrolifero siberiano. E così diventa più facile comprendere quanti amici influenti potevano interessarsi alla sorte del rampollo di Alexander Uss, a cui il padre - secondo denunce dell'opposizione russa - ha donato anche una piccola quota della stessa Vostok Oil: il passaporto per attraversare qualsiasi frontiera.