DESISTERE, DESISTERE, DESISTERE - FARAGE REGALA LE ELEZIONI A BORIS: NIENTE CANDIDATI DEL BREXIT PARTY NEI COLLEGI IN CUI SONO FAVORITI I CONSERVATORI. E LO STESSO NIGEL NON SI CANDIDERÀ, INTERPRETANDO IL PADRE DELLA PATRIA CHE SI SACRIFICA PER IL BENE DELLO SFANCULAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA. IL SUO PARTITO DARÀ BATTAGLIA SOLO NEI FEUDI LABURISTI - VIDEO: I DEEPFAKE DI BORIS E CORBYN, IN CUI I DUE CANDIDATI DICONO...
-questi due video sono due DEEP FAKE.
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) November 12, 2019
Boris Johnson che sostiene Corbyn primo ministro, e viceversa.
Sono stati creati per mostrare che è già possibile produrre deep fake di discreta qualità. Ma ovviamente girano anche senza le didascalie
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Alessandro Logroscino per l'ANSA
Un patto non scritto in nome della Brexit, benedetto dall'amico d'oltreoceano Donald Trump, per non pestarsi i piedi. O almeno non pestarseli troppo. Nigel Farage si rimangia i proclami di guerra contro Boris Johnson in vista delle elezioni britanniche del 12 dicembre e rinuncia a piazzare candidati del suo Brexit Party in alcuno dei 317 collegi occupati da deputati uscenti del Partito Conservatore.
Una decisione che significa 'niente concorrenza diretta a destra' e rende meno impervia la battaglia del premier per l'obiettivo che conta davvero: assicurarsi alla urne una maggioranza assoluta di seggi, tutt'altro che scontata al di là dei sondaggi positivi. Il compromesso è frutto della marcia indietro del tribuno euroscettico. Innestata a dispetto del 'no' incassato da Downing Street sull'ultimatum lanciato pochi giorni fa in base al quale Johnson avrebbe dovuto rinnegare l'accordo da lui stesso raggiunto di recente con Bruxelles, in favore di un secco quanto traumatico divorzio no deal. Scoprendo le carte in un comizio ad Hartpool, sulla costa orientale dell'Inghilterra, Farage ha parlato di "una decisione non facile", ma necessaria.
E ha spiegato che il Brexit Party non si presenterà in massa in 600 collegi (su 650), come aveva minacciato, bensì solo in un paio di centinaia: concentrando gli sforzi nelle circoscrizioni tradizionalmente laburiste, ma a maggioranza pro Leave. Le critiche al 'Boris deal' restano, ma vanno accantonate poiché l'alternativa alla desistenza con i candidati Tory eleggibili sarebbe quella di favorire il Labour e le altre forze di opposizione. Di concedere "a Jeremy Corbyn l'opportunità di arrivare al 10 di Downing Street" mettendo in piedi in un futuro eventuale 'hung Parliament' (un Parlamento senza maggioranza) una coalizione destinata a convocare "un secondo referendum" e cercare di rimettere in discussione l'uscita dall'Ue.
Da qui il patto di non belligeranza unilaterale indicato come "una mezza chance" offerta a BoJo in riposta al "grosso cambiamento di posizione" che il primo ministro avrebbe evocato: impegnandosi se non altro a non protrarre la transizione con l'Ue oltre il 2020 e a negoziare relazioni future con i 27 limitate a un sostanziale regime di libero scambio, "senza alcun allineamento" alle regole del mercato unico o dell'unione doganale. Ai Conservatori del resto va bene così. L'intesa implicita non cancella del tutto i timori di un possibile sparpagliamento di voti, che la sola presenza di Farage in campagna elettorale alimenta, ma certo li ridimensiona. E vale a Nigel la gratitudine di Boris, il quale nota come il Brexit Party abbia capito il punto fondamentale: "che un altro hung Parliament in stallo sarebbe la più grande minaccia a una Brexit realizzata".
"Ci mancano solo 9 seggi in più - ha twittato un Johnson rinfrancato, sullo sfondo anche dei dati di un Pil che rallenta, ma non fino a portare il Regno in recessione, oltre che dell'annunciato salvataggio cinese della British Steel e di 4000 posti di lavoro nell'industria dell'acciaio britannico - per conquistare la maggioranza e uscire dall'Ue entro la fine di gennaio.
In modo da poter finalmente andare avanti come Paese e focalizzarci sulle priorità che interessano voi elettori e le vostre famiglie" su economia, investimenti, sicurezza. I laburisti denunciano al contrario l'accordo de facto fra brexiteer come un'alleanza cementata all'ombra dei voleri "di Trump", per imporre una Brexit improntata alla deregulation "più selvaggia". Mentre per i LibDem di Jo Swinson e gli indipendentisti scozzesi di Nicola Sturgeon, ora tutto è almeno più chiaro: Tory e Brexit Party "sono la stessa cosa".