DA DONALD A RONALD – IL GOVERNATORE DELLA FLORIDA, RON DESANTIS, DA MESI È ORMAI DATO COME IL PIÙ ACCREDITATO SFIDANTE DI TRUMP: PIACE MOLTO NEGLI AMBIENTI ULTRA CONSERVATORI, CHE LO CONSIDERANO PIÙ AFFIDABILE DEL MATTACCHIONE CON IL CIUFFO ARANCIONE, MA LE SUE POSIZIONI COMPLOTTARE SULLA LOBBY GAY E SUI WOKE FANNO STORCERE IL NASO AI REPUBBLICANI MODERATI. ALLA FINE È SEMPRE LA STESSA STORIA: PERCHÉ DOVREBBER PREFERIRE LA BRUTTA COPIA ALL’ORIGINALE? A QUEL PUNTO, MEJO TRUMPONE…
-Marilisa Palumbo per “Sette – Corriere della Sera”
Vorrebbero che sparisse dalla scena perché con lui sono sicuri di perdere, ma non possono dirlo apertamente perché la base è ancora nelle sue mani e se gli si mettono contro sono finiti. Il problema dei repubblicani si chiama Donald Trump, ma si illude chi crede in una svolta moderata. La risposta potrebbe essere ancora Trump: un nuovo Donald, «ma con il cervello».
Le crociate e la «benedizione»
Negli ambienti conservatori amano definirlo così, Ron DeSantis. Quarantaquattro anni appena compiuti, sposato con l’ex presentatrice televisiva Casey, tre figli tutti con la M (Madison, 5 anni, Mason, 4, e Mamie, 2), DeSantis ha vinto nel 2018 in Florida con appena 30 mila voti di scarto proprio grazie alla benedizione dell’ex presidente.
In pochi anni da vincitore per il rotto della cuffia si è trasformato nell’ultimo portabandiera delle crociate identitarie conservatrici contro la presunta egemonia culturale dei progressisti. E probabile candidato alla presidenza per il 2024.
I nemici e la cancel culture
Il governatore, che pure ha studiato nelle non proprio popolari Harvard e Yale, ha un folto catalogo di nemici: la critical race theory (una teoria accademica sul razzismo intrinseco delle leggi americane), l’immigrazione incontrollata, i giudici finanziati da Soros, gli atleti transgender, la Disney (simbolo del capitalismo di sinistra e vittima volenterosa della cancel culture), la distopia fauciana.
È proprio con il Covid che la sua ascesa nazionale è cominciata, quando ha scoperto - battendosi contro i distretti scolastici per eliminare le mascherine e le lezioni a distanza anche nei momenti più drammatici del contagio - che le classi potevano diventare il campo di battaglia privilegiato delle nuove guerre culturali.
Nel giro di pochi mesi ha approvato lo «Stop Woke Act», che limita come possono essere insegnati temi legati alla razza e consente ai genitori di citare in giudizio scuole e insegnanti in caso di violazioni, e poi la legge per i diritti parentali nell’istruzione, ribattezzata dai critici «Don’t Say Gay», «Non dire gay», che vieta si parli di orientamento sessuale e identità di genere alle elementari e ne restringe la discussione alle superiori.
«Siamo noi stessi a distruggere la democrazia»
«Un tempo le elezioni» spiega al Corriere Tom Nichols, autore di Il nemico dentro: Perché siamo noi stessi a distruggere la democrazia, e uno dei più noti repubblicani anti-Trump «si combattevano su chi avesse ricette migliori per garantire pace e prosperità. Oggi viviamo in un Paese in larga parte tranquillo e non si mobilitano più i cittadini sventolando un piano per le tasse. Sono le battaglie culturali che motivano le persone e le convincono ad andare a votare».
L’offensiva del governatore sui programmi scolastici ha come immediata conseguenza che nelle scuole da poco riaperte per mezzo milione di studenti, alcuni insegnanti lamentano di dover fare lo slalom tra quello che si può e non si può dire, altri fanno notare che nei curricula gli argomenti «incriminati» non erano mai entrati.
Altri ancora che l’indottrinamento semmai è al contrario. Barbara Segal, docente di un liceo di Fort Lauderdale, ha raccontato alla National Public Radio di aver partecipato a un seminario di aggiornamento in cui ha ricevuto testi che ridimensionavano il ruolo della schiavitù nella storia americana, «per non farci sembrare troppo cattivi».
«Giusto parlarne nelle scuole di legge»
DeSantis d’altronde l’aveva detto: «Non permetteremo che i soldi delle tasse della Florida vengano spesi per insegnare ai bambini a odiare il nostro Paese o a odiarsi a vicenda». I democratici faticano a combattere questa narrazione e anzi, secondo Nichols, «fanno il gioco dell’avversario. Nessuno insegna la critical race theory all’asilo, è una ridicola bugia.
Ma invece di farlo notare continuano a cercare di spiegare che però “è giusto parlarne nelle scuole di legge”... Ma in politica se ti metti a spiegare vuole dire che stai perdendo». Quello dell’educazione sessuale è un tema che ha fatto breccia anche in parte dell’elettorato democratico negli Stati «in bilico ».
«Ma tutta questa storia, e lo dico io che sono un uomo di centrodestra» spiega Nichols «è assolutamente esagerata. Il Paese non è vittima della propaganda di un esercito di queers! È una fantasia». Eppure, alle elezioni di fine agosto per i consigli scolastici in Florida, di solito poco politicizzate, i candidati appoggiati da DeSantis proprio con piattaforme «anti-woke» hanno vinto 20 seggi sui trenta in ballo.
Evocate minacce lontane dalla realtà
Il meccanismo di vivere come presente una minaccia lontana dalla propria realtà, è lo stesso sfruttato da molti politici di destra sull’immigrazione, nota Nichols: «Persone che non hanno mai incontrato un migrante, vivono in aree del Paese a stragrande maggioranza bianca e con tassi di criminalità bassissimi, pensano di essere a New York City perché è quello che vedono in tv».
E gli elettori di tv ne vedono un sacco. «Cercano spettacolo» prosegue Nichols «e per offrirglielo non basta dire: “Joe Biden è uno spendaccione”. Bisogna spaventarli. Il partito repubblicano è diventato un caso di psicosi di massa. Se guardi Fox dalle sette alle undici di sera è come se vivessi su un altro pianeta. È come stare dentro un film dell’orrore» (guarda caso, DeSantis è tra i politici più amati dalla tv di Murdoch).
L’isola rossa
L’ultima mossa del governatore sembrerebbe ispirata proprio da uno dei volti più noti di Fox News, Tucker Carlson, aedo del nazionalismo bianco. Dopo che per tutta l’estate il collega del Texas George Abbott aveva mandato autobus di clandestini fino a Washington e New York per protestare contro le politiche migratorie secondo la destra troppo lasche dell’amministrazione Biden (costo dell’operazione: 12 milioni di dollari dei contribuenti), DeSantis, che corre per la riconferma tra un mese, si è messo in scia usando una via ancora più spettacolare.
Una sua emissaria è andata in Texas a “prendere” 50 migranti che ha letteralmente spedito in aereo fino a Martha’s Vineyard, il tempio delle vacanze delle élite, il cuore della mitologia kennediana, il posto degli Obama e dei ricconi liberal.
Una mossa cinica con aspetti potenzialmente criminali (traffico di esseri umani) che gli ha attirato una tempesta di critiche, ha arricchito le casse dell’avversario Charlie Crist, il quale ha raccolto oltre un milione di dollari in 48 ore, e ha diviso la crescente comunità di esiliati venezuelani in Florida, parte ormai importante della coalizione elettorale repubblicana nello Stato. Ma, come prevedibile, ha anche fatto impazzire di gioia la base trumpiana. E irritato il titolare del brand.
Il padrino-rivale e la casa al mare
In questi anni DeSantis, che si ritrova il padrino-rivale in casa da quando l’ex presidente ha fatto della residenza di Mar-a-Lago il suo quartier generale, ha cercato di sottrarsi a qualunque conflitto con Trump, ma ha sgomitato per prendersi il suo spazio. Pur giurando di essere concentrato sulla Florida, da settimane gira il Paese e nei circoli ultra conservatori viene spesso introdotto come «il prossimo presidente degli Stati Uniti».
Il conduttore del podcast più seguito d’America, Joe Rogan, tifa per lui, il miliardario trumpiano Peter Thiel sta con lui, anche Elon Musk ha detto che potrebbe votarlo. Trump non la sta prendendo bene. Secondo il Washington Post starebbe facendo pressioni sui suoi donatori per tenerli lontani dal governatore, non sembrerebbe intenzionato a fare campagna per lui (o non è stato invitato?) e qui e lì emergono retroscena che lo raccontano definire Ron “grasso”, “lamentoso”, “falso”, e sbottare: “Ingrato, l’ho creato io”.
Mentre DeSantis attende dagli elettori della Florida la riconferma, senza la quale sarebbe politicamente morto, a destra ci si interroga: meglio scaricare Trump, con i suoi eccessi e i suoi guai legali? E se sì, ci si può fidare di DeSantis, o è un cinico ambizioso che virerebbe al centro se eletto? «Ho sentito persone dire che Trump è Giovanni Battista che spiana la strada a Gesù» ha detto alla Cnn un funzionario di una importante organizzazione conservatrice «ma ho anche raccolto le preoccupazioni di chi teme DeSantis abbia fiutato il vento e si sia messo nella giusta posizione al momento giusto, ma che non ci si possa fidare di lui». La corte si aggiorna.