DOPO IL DRAGHICIDIO, LA CONTEXIT - PANARARI: "CONTE DOVRÀ FRONTEGGIARE L’OPA SUL MOVIMENTO DI NUOVO ANTISISTEMA DA PARTE DEL FIGLIOL PRODIGO DI BATTISTA E DELLA RAGGI BENEDETTA DAL GARANTE, LO ZELIG GRILLO. L’IMPRESSIONE E’ CHE IL M5S È RIUSCITO A METTERSI IN UN ANGOLO DAL QUALE NON USCIRÀ PIÙ…" (COMPLIMENTI A PANARARI CHE ORMAI SCRIVE I SUOI PEZZI USANDO IL LINGUAGGIO DI DAGOSPIA...)
-Massimiliano Panarari per “La Stampa”
Per descrivere le bruttissime giornate dell’affondamento del governo Draghi si può attingere alla «psicopolitica» (esemplare, in tal senso, il tweet di Enrico Letta sul «giorno di follia» al Senato).
Oppure alla letteratura, tra teatro dell’assurdo e le gogoliane «anime morte» di molti esponenti di un ceto politico populista e di un notabilato parlamentare che ha fatto eutanasia, a dispetto dei frizzi e lazzi e delle espressioni di giubilo per il “draghicidio” compiuto – per giunta, senza avere il coraggio di “metterci la faccia” con la scelta dell’indecorosa fuoriuscita dall’aula. Rappresentanti in carne e ossa, e pure idealtipici, di un «sistema politico fallito» (come ha scritto su queste pagine Lucia Annunziata).
Questo – per certi aspetti – “romanzo criminale” (nei confronti della coesione della società, della tenuta dell’economia e del posizionamento internazionale dell’Italia) ha tanti protagonisti e comprimari.
Ma presenta un primattore indiscusso, un motore immobile, da cui tutto è ufficialmente iniziato: il Movimento 5 Stelle di Luigi Conte. Un po’ congiurato da Giulio Cesare shakespeariano, un po’ Amleto indecisionista, un po’ irrisolta figura beckettiana in attesa non si sa bene di cosa e un po’ personaggio in cerca d’autore che, a breve, peraltro, dovrà fronteggiare l’opa sul Movimento born-again antisistema (non precisamente benevola nei suo confronti) da parte del figliol prodigo Alessandro Di Battista, di cui invocava appassionatamente il ritorno nella sua intervista con La Stampa un Danilo Toninelli al settimo cielo per il capolinea dell’esecutivo.
Una scalata e una fiammata del dibba-raggismo che potrebbero venire tranquillamente benedette, perché no?, anche dal Garante, lo ZeliGrillo perfetto compare-antagonista del CamaleConte nei cambi di casacca e di posizione, fattosi risentire, dopo un periodo di silenzio (e dopo avere, più o meno involontariamente, rifornito del casus belli revanscista il presidente pentastellato), proprio per avallare l’eliminazione politica dell’ex banchiere centrale di cui aveva detto entusiasticamente – e solipsisticamente – che pure lui era un “grillino”.
A conti fatti, l’impressione è che il M5S sia riuscito a mettersi in un angolo dal quale non uscirà più, autocondannandosi all’irrilevanza nel nome della mistica promessa di un cammino a ritroso – che le elezioni alle porte renderanno fin troppo accelerato perché possa effettivamente svolgersi – sulla strada protestataria e antagonistica del bel tempo andato. E di un recupero di consensi che passi per la rigenerazione della passata “credibilità antisistema”.
Ma sarà, con tutte le probabilità, game over, perché insieme alla spinta propulsiva è lo stesso ciclo vitale a essersi esaurito. Una debole armata Brancaleone di polvere di 5 Stelle, insomma. Così, sebbene sia stata scongiurata la prospettiva di un’ennesima scissione organizzata, continueranno in stile goccia cinese le fuoriuscite alla spicciolata (come quella, da ultimo, della deputata Maria Soave Alemanno).
Ardentemente desideroso di una resa dei conti nei confronti del presidente del Consiglio ora dimissionario, il vertice pentastellato ha fornito un assist decisivo agli avversari del destracentro, finendo per ritrovarsi intestato – nonostante tutti gli sforzi successivi di non lasciare le impronte digitali – il draghicidio, coltivato dai falchi come rappresaglia nei riguardi del supposto «conticidio», nocciolo duro del travaglismo e della propaganda a uso interno. Ha colpito in maniera quasi letale la (piuttosto innaturale) alleanza col Pd.
Ha (oggettivamente, e innegabilmente) fatto un regalo al Cremlino – e vogliamo qui limitarci alle nude e crude constatazioni, senza entrare nella ragnatela dei sospetti e dei rumors –, bruciando in maniera definitiva quel credito nei confronti degli ambienti europeisti che il Conte 2 aveva acquisito (una benevolenza diventata acqua passata).
E quello che avrebbe dovuto essere un duello a elevata densità politico-programmatica con Draghi (spacciato sotto la forma della richiesta ultimativa di risposte sulla lista della spesa dei 9 punti) si è risolto in un mix di psicodramma caratteriale e sfogatoio estremamente impolitico.
Dove, assai più che i contenuti della (in linea ipotetica irrinunciabile) “agenda sociale” del Movimento, da implementare rimanendo appunto dentro al governo, sono state spese soprattutto parole di recriminazione, nel mentre aleggiava una sensazione di piagnisteo resa molto chiaramente da espressioni come «ci aspettavamo di ricevere considerazione», «abbiamo preso atto che non ci volevano, togliamo il disturbo», «su alcune misure c’è stato anche un atteggiamento sprezzante», «abbiamo ricevuto anche degli insulti».
Ci duole profondamente dirlo, ma l’aria sembrava alquanto da «asilo Giuseppi». D’altronde, a prevalere è stata proprio quella voglia di rivalsa di Conte che lo ha indotto fin da subito a una personalizzazione del conflitto con il suo successore, all’insegna di connotati – sempre per rimanere dalle parti del Bardo immortale – vagamente alla Jago.
E, quindi, non la fantasia al potere promessa dal grillismo di una certa fase storica, ma l’irresponsabilità che del potere (decisamente poco “grillino-francescano”) si è sentita scippata e defraudata, condita di quella venatura di autoreferenzialità e di narcisismo patologico che è l’autentico, ahinoi, spirito dei tempi. Oltre che un cemento fortissimo delle affinità elettive – anche quando i suoi dirigenti si collocano tatticamente o strategicamente agli antipodi – gialloverdi.
Scattate all’unisono contro Mario Draghi, la cui vision e presenza a palazzo Chigi aveva innescato un processo di scomposizione e ricomposizione dei partiti e di messa in mora dei leader che nelle scorse ore si sono ritrovati come un sol uomo per compierne la defenestrazione. Contro gli interessi dei cittadini e del sistema Paese, e per celebrare il sabba dell’eterno ritorno dei populisti (come ha indicato Annalisa Cuzzocrea).