DOPO GRECIA E SPAGNA, ARRIVERA’ ANCHE PER L’ITALIA IL GIORNO DELLA “CESSIONE DI SOVRANITÀ” - ALTRO CHE ART.18, AL MACERO ANDRÀ L’INTERO STATUTO DEI LAVORATORI A FAVORE DI UNA PIENA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO, COMPRESO IL LICENZIAMENTO SENZA GIUSTA CAUSA
Francesco Bonazzi per Dagospia
Il vento di Città della Pieve comincia a spirare e non è quello che ci ha raccontato Renzie. Più passano i giorni dall’incontro nel borgo umbro tra Mario Draghi e il nostro premier e più appare chiaro che quando il presidente della Bce parlava di “cessione di sovranità” per fare le riforme non era una semplice ipotesi accademica.
E la prima risposta di Pittibimbo, “decidiamo noi”, era l’ultima spacconata di una fase ormai conclusa in cui si poteva pensare di aggiustare i conti giocando con la fisarmonica della “spending review”.
Dopo l’uscita degli ultimi dati Istat è diventato chiaro che l’Italia non solo non riuscirà a mantenere gli impegni sulla riduzione del debito, ma che faticherà anche a mantenere il rapporto deficit/pil nei limiti del 3%. E man mano che ci si avvicina al vertice europeo di fine mese si fa strada l’ipotesi dello scambio politico tra riforme e rigore sui conti pubblici.
In sostanza, i paesi più in difficoltà, guidati da Italia e Francia, s’impegnerebbero ad adottare le riforme considerate prioritarie dall’Europa in cambio di uno sconto sul pareggio di bilancio e sul contenimento dei deficit per il 2015.
Siamo di fronte a quella “cessione di sovranità” di cui parlava Draghi e che a questo punto c’è motivo di ritenere sia stata spiegata nei minimi particolari a Renzie nel faccia a faccia di Città della Pieve.
Già, ma quali sono queste riforme “prioritarie” per l’Europa? In Italia è sempre più chiaro che si tratta della riforma del lavoro, già fatta con un certo successo dalla Spagna, che infatti ha ripreso a correre. Su questa, gira più di un’illusione. La più vistosa è che basterà togliere l’articolo 18 per i nuovi assunti per tre anni, salvando al contempo il divieto di licenziamento senza giusta causa per tutti gli altri.
Le riforme che rischiamo di farci chiedere dall’Europa sono un po’ più corpose e vanno oltre una semplice moratoria. L’articolo 18 rischia nel suo complesso ed è tutto lo Statuto dei lavoratori del Settanta a essere in discussione, con una piena liberalizzazione del mercato del lavoro. Non è un caso che Renzie, tentando di schivare la polemica sul singolo articolo 18, abbia detto che è tutto lo Statuto a dover essere messo sotto esame.
Da ora in poi, con il vento di Città della Pieve che soffia sulle riforme, comprese quella fiscale e della giustizia civile, a Renzie e al suo governo non sarà più consentito di balbettare e chi pensa di potersi trastullare in autunno con la sola riforma elettorale sbaglia di grosso.
Sbaglierebbe di grosso anche chi, entrando in una nuova era di “scambi di sovranità” con Bruxelles, pensasse che l’Italia questa volta possa limitarsi a fare il compitino con un po’ di tagli qua e là e promettendo riforme poi da attuare con comode leggi delega quando si trova tempo. All’Italia verrà richiesto di fare riforme “vere”, che incidono nella carne, che fanno discutere e smuovono le acque davvero, com’è avvenuto in Grecia e in Spagna. Quel po’ di comprensione sui parametri di Maastricht e sul Fiscal compact non sarà un pasto gratis.