DOPPIO SCHIAFFONE ALLA RAGGI: NIENTE MAFIA CAPITALE E LA DELEGITTIMAZIONE DI SPADAFORA, ''ROMA È UN PROBLEMA PER IL MOVIMENTO'' - LA SINDACA ERA APPOSTATA DAVANTI ALLA CASSAZIONE PRONTA A FESTEGGIARE PER LA DECISIONE SU BUZZI E CARMINATI, INVECE SI È PRESA LA DOCCIA FREDDA DEI REATI DERUBRICATI. TUTTO ALLA VIGILIA DI UNO SCIOPERO CHE CERTIFICA IL DISASTRO DI TUTTE LE CONTROLLATE CAPITOLINE

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1 - M5S ATTACCA LA SINDACA: «ROMA È UN PROBLEMA» E LEI SI APPELLA AI SINDACATI

Simone Canettieri per “il Messaggero

 

E nel bel mezzo di una settimana complicata per non dire da incubo - con il primo sciopero generale alle porte previsto per venerdì - Virginia Raggi si trova sola. Mollata dai sindacati confederali che la sostennero nel 2016 e soprattutto attaccata frontalmente dai vertici del M5S. Fuoco amico. Ma questa volta, attenzione, non è un retroscena o una frase fatta filtrare.

virginia raggi luigi di maio

 

La frustata al Campidoglio grillino - la prima così chiara - arriva dal ministro Vincenzo Spadafora, braccio destro di Luigi Di Maio, da sempre uomo di mediazione e di raccordo con tanti mondi della Capitale. Chiesa compresa. «Roma e l'amministrazione restano un problema. È un'esperienza dalla quale sicuramente potevamo e dovevamo aspettarci molto di più», dice Spadafora intervistato a Omnibus, su La7.

 

L'affondo lascia il Campidoglio interdetto. Alle corde. Raggi chiede spiegazioni, appena le girano le agenzie di stampa sul cellulare, i suoi collaboratori visionano il video della trasmissione. «Davvero?» Possibile che Spadafora abbia detto in chiaro una roba del genere, così violenta?» La risposta è: sì. Continua il ministro: «Non è un problema personale della Raggi. È un progetto politico guidato dalla Raggi ma in qualche modo siamo tutti corresponsabili come Movimento 5 Stelle. Ma è stata un'esperienza difficile e faticosa che non ha dato tutto quello che si aspettavano i cittadini».

 

LA REAZIONE

virginia raggi luigi di maio

Per la sindaca è un messaggio chiaro, soprattutto perché a pronunciarlo è colui che quest'estate ha lavorato dietro le quinte per la nascita del governo giallorosso Pd-M5S. La riflessione che gira è semplice: non solo i vertici pentastellati hanno scaricato la sindaca, e va bene ci siamo, ma le hanno mandato un segnale a futura memoria. Ovvero: cara Virginia, non ti ricandidare nel 2021, sei un problema. Anzi, il problema. Non è un segreto, infatti, che l'unico scoglio di un futuro accordo giallorosso nella Capitale risieda proprio nella volontà della sindaca di ricandidarsi.

 

«Con lei in campo è impossibile qualsiasi tipo di intesa quando ci saranno le elezioni, anche al doppio turno», ripetono da tempo i colonnelli di Dario Franceschini. Perché «i suoi anni in Comune sono troppo controversi e divisivi». Dunque dopo il gelo che di fatto c'è sempre stato, adesso tra la sindaca e i vertici del Movimento si registra un passo in avanti: la separazione dei destini.

 

luigi di maio vincenzo spadafora

E tutto avviene molto alla luce del sole, a favor di telecamera. In Comune per tutta la giornata - fagocitata dalla sentenza su Mafia Capitale, altra nota stonata - hanno provato a darsi una spiegazione. E se la sono data, forse, con l'asse che Raggi sta cercando di instaurare con il premier Giuseppe Conte, che più di un problema interno sta dando alla leadership parlamentare di Luigi Di Maio.

 

Ma sono supposizioni, sul tavolo rimane la campagna elettorale che timidamente inizia a bussare alle porte di Roma. E se anche Salvini inizia a «riflettere su un candidato civico che sia espressione delle professioni» significa che timidamente il grande valzer è già iniziato. Ma in mezzo c'è un anno e mezzo di passione (o di tentato rilancio) per Raggi. Che venerdì rischia di trovarsi i servizi della città paralizzati per via dello sciopero indetto dai sindacati. Un fatto inedito perché gli ex amici di Cgil, Cisl e Uil collegano la vertenza sulle società municipalizzate allo stato di degrado in cui versa la città. E quindi la critica diventa politica.

 

Ma a preoccupare la sindaca sono gli effetti di questa manifestazione e le ricadute sulla Capitale. Ecco perché ieri sera ha provato a lanciare un ultimo, disperato amo ai confederali. Una richiesta di revoca dello sciopero «per il bene della città e dei cittadini». L'obiettivo di «bloccare la città», continua la grillina nel suo appello, «non ha alcuna giustificazione oggettiva». Perché? «I romani non lo meritano e di fronte a loro dovrete assumervene la responsabilità. Io ribadisco l'appello ad agire in modo responsabile e ad aprirvi al dialogo». L'appello è stato pubblicato su Facebook da Raggi alle 20.15. Fino alle 23 nessuno le aveva risposto. Un giornata di chiaroscuri: da una parte la loquacità di Spadafora, dall'altra il silenzio dei sindacati davanti all'ultimo appello del Campidoglio.

 

buzzi carminati

 

2 - LA DOCCIA FREDDA PER RAGGI

Simone Canettieri e Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”

 

Era tutto un altro spartito quello che doveva suonare nella grancassa della propaganda grillina, lo stesso disco che suona da cinque anni e che ha fatto da colonna sonora all'ascesa di Virginia Raggi sul colle capitolino. «Affari con la mafia? Quello era il Pd», la battuta fulminante della sindaca, corredata di ghigno beffardo, ripetuta anni fa davanti a telecamere e taccuini. E ora, senza la «mafia»?

 

 «Una sentenza per associazione mafiosa, indubbiamente, sarebbe stato un assist indiretto per parlare della legalità portata in Campidoglio», raccontava ieri notte uno dei collaboratori più fidati della grillina, prima della doccia fredda. Ammesso che sia così, poi, dati gli arresti che, da Marra all'affaire Tor di Valle, hanno tribolato anche l'avventura degli stellati a Palazzo Senatorio. In ogni caso, «non è andata come ci aspettavamo». Resta quasi un senso di delusione, tra i 5 Stelle romani e non solo, resta soprattutto il vuoto di un altro tema forte a cui aggrapparsi, dopo tre anni e mezzo di affanni al governo di Roma, con i grandi problemi tutti irrisolti, dai rifiuti ai trasporti alle buche.

buzzi carminati

 

Restava, appunto, il brand «Mafia Capitale», il vanto del filo spezzato con «quelli di prima». Raggi ieri si è presentata nel Palazzaccio della Cassazione poco prima delle cinque di pomeriggio. «Oggi è una giornata storica per Roma - la dichiarazione davanti ai microfoni - si chiude una vicenda che ha ferito la città. Siamo qui per tutti i cittadini onesti che insieme a noi combattono contro il malaffare». Accanto a lei, il presidente grillino della Commissione Antimafia, Nicola Morra. Anche lui apparso spiazzato dopo il dispositivo letto dagli ermellini: «Le sentenze si rispettano... Ma le perplessità, i dubbi, le ambiguità permangono tutte». Concetto ribadito in serata da Luigi Di Maio, per il quale la «mafia è un atteggiamento». E rispolvera sui social l'hashtag #mafiacapitale .

 

LA REAZIONE

marcello de vito

Anche Raggi, quando è uscita dall'Aula di piazza Cavour, ha rilasciato solo una battuta rapida ai cronisti che l'aspettavano, prima di infilarsi in auto. La sentenza, ha detto, «conferma comunque il sodalizio criminale...». E ancora: «È stata scritta una pagina buia della storia della città. Lavoriamo insieme ai romani per risorgere dalle macerie che ci hanno lasciato, seguendo un percorso di legalità e diritti». Qualcuno, anche nel suo entourage, si è interrogato sulla scelta di presenziare all'ultima tappa del processo, visto come è andata. «Ma in questi casi il primo cittadino non può mai mancare, ci ho messo la faccia», è la linea di Raggi.

 

MARCELLO DE VITO E VIRGINIA RAGGI

Se ne va così una narrazione - meglio: uno slogan - che ha fatto la fortuna di post Facebook e di comizi di tutto il M5S. Raggi in fin dei conti ha solo capitalizzato un tesoro che gli altri avevano costruito, pezzetto dopo pezzetto. Il 3 dicembre del 2014, dopo i primi arresti, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberta Lombardi e i 4 consiglieri capitolini (capitanati da Marcello De Vito, finito poi nei guai per lo stadio) si presentarono in Comune con le arance (simpatico presente per i politici finiti in carcere) e poi corsero in prefettura per chiedere lo scioglimento del Campidoglio per «mafia».

 

quando di battista raggi taverna di maio lombardi frongia e de vito chiedevano il carcere per marino con le arance in campidoglio

Da quel momento niente è stato come prima: il Pd è diventato «il partito dei mafiosi» (Paola Taverna), passato da Berlinguer alla piovra di Buzzi e Carminati (Di Maio). Benzina per la propaganda e per voti a palata: di là la mafia, di qua gli onesti. Fino alla sentenza della Cassazione che spunta un'arma alla sindaca, specie ora che i compagni di partito l'hanno abbandonata. Forti di un'altra sentenza, politica: «Non è adeguata ad amministrare».