DOVE ANDREMO A FINIRE? – FOLLI: “SE IL GOVERNO NON SI FRANTUMA È PERCHÉ MANCA UN'ALTERNATIVA A PORTATA DI MANO E QUESTA È LA MIGLIORE, SE NON L'UNICA, CARTA DI CUI DISPONE CONTE - TUTTAVIA NON È UN'ASSICURAZIONE SULLA VITA. UNA CRISI EVENTUALE PUÒ RISOLVERSI IN DUE MODI” (E QUI FOLLI INSISTE: ‘’SEMPRE CHE IL FILO SIA IN MANO AI CAPI DELLE FORZE POLITICHE”) - UN ESECUTIVO DI UNITÀ NAZIONALE SI SCONTREREBBE CON IL NO USA A SALVINI, PER I RAPPORTI OBLIQUI E MAI CHIARITI CON PUTIN
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Stefano Folli per “la Repubblica”
Nonostante che il premier Conte si dichiari convinto della solidità della sua maggioranza, la cosiddetta fase 2 rappresenta un' incognita per il governo. La buona tenuta dell' alleanza Pd-5S-LeU (più la variabile Italia Viva) riguarda, come è ovvio, la fase 1, l' emergenza sanitaria.
Da oggi in poi lo scenario cambia e gli assetti politici non saranno così saldi come nei due mesi del "tutti a casa". Per rendersene conto basta scorrere le cronache quotidiane e notare come il quadro economico si va deteriorando con inquietanti ricadute sociali.
La coalizione trema e fibrilla da settimane. Se non si frantuma è perché manca un' alternativa a portata di mano e questa è la migliore, se non l' unica, carta di cui dispone il presidente del Consiglio. Tuttavia non è un' assicurazione sulla vita.
Esiste peraltro un secondo problema.
Una crisi eventuale può risolversi in due modi (sempre che il filo sia in mano ai capi delle forze politiche). O con la stessa maggioranza in carica oggi, rinsaldata da un premier espresso dal Pd: sarebbe un modo per spostare a favore del centrosinistra e a danno dei 5S un equilibrio che finora, proprio grazie a Conte, è più rispettoso dei pesi parlamentari.
Ovvero aprendo a una soluzione di unità nazionale o di "salute pubblica", come si preferisce dire. È uno sbocco che può poggiare su differenti formule e varianti, ma che al momento non sembra maturo. Certo non sarebbe facile e neppure conveniente coniugare insieme, sia pure utilizzando i filtri che la fantasia istituzionale può suggerire, mondi diversi e ostili tra loro.
Vero è che l' attenzione è stata attratta a lungo dalle tensioni Pd-Renzi nonché dalla speranza, o illusione, che il movimento grillino potesse evolvere verso un' affidabile cultura di governo.
Ma c' è anche l' altra metà della mela da considerare.
Per mesi, prima del virus, ci si è divisi tra chi voleva tornare a votare e chi rifiutava l'opzione per non rassegnarsi alla vittoria di Salvini. Oggi vediamo che il capo leghista ha perso punti: è tra il 26 e 27 per cento in quasi tutti i sondaggi.
Sembra inoltre aver smarrito il tocco fortunato del 2018-19 (fino ai giorni del Papeete) e infine risulta offuscato sul piano mediatico dall' uomo del momento, il veneto Zaia. Qui s'inserisce l' articolo di Salvini pubblicato domenica dal Sole 24 Ore. Chiaro l' intento: dimostrare che il leader è cambiato, ha abbandonato i toni estremisti e si misura con l' establishment sui temi dell' impresa e della globalizzazione, mettendo in ombra gli spunti "sovranisti" alla Le Pen.
Se è così, bisogna dire che l' operazione è troppo affrettata per essere convincente. Occorre qualcosa più di un articolo di giornale. Di sicuro la Lega ha scontentato il suo elettorato del Nord, almeno quello legato al mondo produttivo. Poi c' è Berlusconi che ha riguadagnato spazio in chiave europea al centro della scena.
E c' è Giorgia Meloni la cui ascesa nel gradimento popolare nasce dalla concretezza non-ideologica con cui affronta ogni problema. Tuttavia lo scoglio maggiore di Salvini, quello contro cui rischiano di infrangersi i suoi tentativi di risalire la china, sono i rapporti obliqui e mai chiariti con la Russia di Putin.
Qui l' ex ministro dell' Interno potrebbe arenarsi in via definitiva. Gli Stati Uniti si fidano di Berlusconi come di Giorgia Meloni. Si fidano meno del capo leghista. Ecco la contraddizione della destra.