DRAGHI A PASS DI CARICA! - STRETTA SUL CERTIFICATO VERDE: "MARIOPIO" RIMBALZA SALVINI, I SINDACATI E FRANCESCHINI – TAMPONI E RIAPERTURE DELLE DISCOTECHE: NESSUNA O QUASI DELLE RICHIESTE SU CUI PUNTAVA IL "CAPITONE" PASSA. SI ACUISCE LA FRATTURA TRA IL LEADER LEGHISTA E GIORGETTI - DRAGHI DA’ RAGIONE A SPERANZA CHE SI OPPONE ALLA RICHIESTA DI FRANCESCHINI DI PORTARE AL 100% LA CAPIENZA DI TEATRI, CINEMA E MUSEI…
-Ilario Lombardo per "la Stampa"
È appena finito il Consiglio dei ministri, a Palazzo Chigi stanno per preparare la conferenza stampa, quando Giancarlo Giorgetti, sfilandosi, esclama: «Per favore, vorrei evitare di scendere in conferenza, i giornalisti mi chiederebbero solo di Salvini». Al ministro dello Sviluppo economico arriva in aiuto l'agenda: era previsto che andasse a un convegno al forum italo-britannico di Pontignano, in provincia di Siena. Resta il fatto che la sua assenza viene immediatamente notata, quanto e forse più di quella del presidente del Consiglio Mario Draghi.
Entrambi, il ministro referente delle aziende che per settimane hanno chiesto l'estensione del Green Pass a tutti i lavoratori e il premier che ha piegato le resistenze dei sindacati, non partecipano alla presentazione di un provvedimento epocale, il primo di questo tipo in Europa. Il leader della Lega mastica la sconfitta da lontano, in tour elettorale, ma la «questione Salvini» è una presenza costante sul tavolo di Draghi e dei suoi ministri nel lungo pomeriggio trascorso a Palazzo Chigi.
Nessuna o quasi delle richieste su cui puntava il segretario del Carroccio passa: non i tamponi anti-Covid gratuiti, né l'esenzione di buona parte delle attività che invece saranno vincolate all'obbligo del passaporto per i dipendenti. Giorgetti porta all'attenzione di Draghi i desiderata del leader. Ottiene che le farmacie siano vincolate per legge al prezzo calmierato di 15 euro dei tamponi rapidi, che avranno una validità di 48 ore per chi non ha il Green Pass. Con un emendamento in Parlamento, inoltre, Giorgetti si assicura anche i test salivari e 72 ore di validità in caso di tampone molecolare (che però ha un costo medio di 60 euro).
Pochi sono i margini che invece lascia Draghi sulle discoteche. Dopo un anno di stop causa virus, Salvini le vorrebbe riaprire subito, rendendole accessibili con il pass come cinema, teatri, palazzetti dello sport. Ma l'unica concessione che il premier fa a Giorgetti è la promessa di inserirle nelle valutazioni che il Comitato tecnico scientifico e il governo faranno per il primo ottobre. Il giorno prima si esamineranno gli effetti dell'apertura delle scuole. Se la curva dei contagi reggerà, allora si farà un passo in avanti. È la risposta che dà anche il ministro della Salute Roberto Speranza al collega della Cultura Dario Franceschini, del Pd, durante il Cdm. Quando la discussione vira sulla possibilità di allentare le misure di distanziamento, il confronto tra i due è breve ma teso. Franceschini ha il fiato sul collo delle categorie dello spettacolo, attori, registi, vip che lo supplicano, con appelli, video sui social e interviste, di portare la capienza al 100%.
«Hanno ragione - sostiene il ministro -: con l'obbligo delle mascherine e del Green Pass non vedo perché non si potrebbe...». «Aspettiamo il monitoraggio del 1° ottobre, vediamo cosa succede con le scuole» è la risposta che gli dà Speranza, mentre Draghi annuisce. Il muro della severità delle norme imposte dal capo del governo fa schiantare le ultime speranze di Salvini sul certificato verde. Alla fine del Cdm al leghista non resterà che aggrapparsi così all'ultima controversia rimasta in sospeso: «Se la politica impone il Green Pass ai lavoratori, e addirittura a chi fa volontariato, è ovvio che i politici devono essere i primi a rispettare queste regole, a partire dal Parlamento. Punto». Per ore, però, Salvini resta collegato al telefono con Giorgetti. Gli chiede di ottenere qualcosa per lui. Di fatto: di salvargli la faccia. Il ministro prova a spiegargli che si tratta comunque di misure minime, da non ingigantire dedicandogli una pervicace opposizione, perché coinvolgono davvero pochi lavoratori.
Poi gli dice qualcosa che dovrebbe suonare come musica per Salvini e che ripete ad alta voce prima e dopo il Cdm: «Questo è un decreto per aprire, non per chiudere». È la frase che gli italiani si sono sentiti ripetere dalla prima drammatica fase della pandemia, ogni qual volta venivano imposte nuove norme di contenimento. Ma in questo caso è una tesi che serve a neutralizzare lo scetticismo di Salvini.