I DUE DITTATORI - UN NUOVO LIBRO SVELA IL RAPPORTO “DIABOLICO” TRA MUSSOLINI E HITLER - NEL LORO ULTIMO INCONTRO IL FUHRER DISSE AL DUCE: “VI CONSIDERO IL MIO MIGLIORE, E FORSE IL SOLO AMICO CHE HO A QUESTO MONDO”
Mirella Serri per “la Stampa”
«Ho bisogno di una donna!»: il grido risuonò nei saloni del Quirinale nel cuor della notte. Maggiordomi e domestici, nonché Vittorio Emanuele III e la consorte, svegliati all’improvviso non sapevano che pesci pigliare di fronte a questa richiesta. Pensavano a un impulso erotico non semplice da soddisfare. Anche perché si trattava di Adolf Hitler. La realtà era diversa: il Führer, soffrendo d’insonnia, aveva bisogno di una collaboratrice domestica che gli rifacesse il letto.
Questo episodio un po’ grottesco segna la visita di Hitler a Roma dal 3 all’8 maggio 1938. Un tour fondamentale: non solo consolidò la funesta alleanza tra il capo del Reich e il Duce, ma suggellò anche la nascita di un’amicizia tra due personaggi indubbiamente «mostruosi»: così, Pierre Milza definisce i protagonisti del suo nuovo e suggestivo libro, Hitler e Mussolini (a giorni in uscita da Longanesi, pp. 293, € 22).
IL FÜHRER LOGORROICO
Un legame durato dieci anni, dal giugno del 1934 al luglio del 1944, quello tra il ras fascista e il dittatore nazista, che si sviluppò attraverso una ventina di incontri. Lo studioso francese è andato a recuperare, negli archivi diplomatici tedeschi e italiani, i verbali e le traduzioni di questi storici abboccamenti e le testimonianze stenografate di alcuni presenti.
Si delinea così un quadro fino a oggi assolutamente inesplorato della singolare relazione tra i due alleati. Un’attrazione veramente fatale collegò i despoti che esercitarono l’uno sull’altro una forte carica di suggestione. Come rivelano i documenti, Mussolini, proprio a partire dalla visita del 1938, subì tutte le decisioni del Führer. Soprattutto lo fece senza quasi mai obiettare. Da parte sua, Hitler, persino nei momenti in cui si manifestava tutta l’ignavia e l’incapacità del suo amico, per esempio nella fallimentare invasione della Grecia, lo lusingava e lo blandiva senza alcun risentimento.
SEDUZIONE
Come si svolgevano gli incontri? Il leader nazista dettava l’agenda, il luogo e la durata delle discussioni: «Vengo considerato», osserva Mussolini, «un domestico che, al suono del campanello, non ha altra scelta che obbedire». Hitler però aveva un effetto antidepressivo, galvanizzante sul capo del fascismo. «Il Führer rovesciava addosso a Mussolini», scrive l’interprete Paul Otto Schmidt, «un diluvio di cifre sulle perdite, le riserve, l’artiglieria, le armi e l’aviazione… i grandi occhi scuri dell’italiano sembravano schizzare fuori dalle orbite».
Sedotto da una valanga di notizie, Mussolini si faceva convincere. Agli esordi della loro conoscenza, però, non era così maneggevole. Al primo incontro, a Venezia dal 13 al 16 giugno 1934, il capo fascista si mostrò gelido e indifferente nei confronti di Hitler «pallido come un cencio», malvestito in tight nero e pantaloni troppo lunghi. Il Duce si vantava inoltre di padroneggiare la lingua di Goethe. Non era così, fu un dialogo tra sordi e da allora venne impiegato un interprete. Il dittatore italiano però si indignò quando, discettando della superiorità dei nordici sui popoli mediterranei, Hitler li definì di origini «negroidi».
UN GIOCO MIMETICO
In quel periodo la subalternità del capo del nazionalsocialismo nei confronti del suo idolo era palese: «Hitler ride quando Mussolini ride, si acciglia quando lui si acciglia… un vero spettacolo di mimetismo», scrive l’ambasciatore francese a Berlino André-François Poncet. Ma poi tutto cambierà. Come mai il Duce si lascerà manipolare?
«C’era il timore di ritrovarsi il Führer come avversario», osserva Milza, «e una sorta di sentimento mafioso dell’onore nel mantenere i patti». A cui si aggiungeva il fascino della potenza industriale e militare del Reich. Ma i due compari riuscivano a dialogare veramente? Parlarono della «soluzione finale»?
Come emerge da questi verbali, lo fecero quando Hitler, elencando i motivi per cui detestava gli ebrei, disse che sarebbe stato meglio deportarli in massa nel Madagascar. Ma Mussolini era già a conoscenza delle stragi di cittadini di religione israelita che si stavano verificando in Russia e in Polonia, delle sperimentazioni crudeli e della politica di «igiene razziale».
SALÒ
Quando infine si incontrarono a Feltre, il 19 luglio 1943, uno dei traduttori descrive Mussolini che, ancora una volta, di fronte alla logorrea del leader tedesco, è «paziente… si abbandona a un profondo sospiro». Alzerà la voce quando arriverà la notizia del bombardamento di Roma. Hitler dal canto suo urlò e picchiò i pugni sul tavolo.
Il Duce venne sopraffatto. I due leader si incontrarono dopo l’attentato del 20 luglio 1944 da cui il capo tedesco si salvò per il rotto della cuffia. Ancora sconvolto per l’esplosione dell’ordigno, nel salutare Mussolini, gli disse: «Vi considero il mio migliore, e forse il solo amico che ho a questo mondo». Però il Duce, che a Salò era a capo della Repubblica Sociale italiana, di fatto era prigioniero di Hitler. Un’amicizia veramente diabolica.