DUE LEGHE, DUE MISURE - DA UNA PARTE CI SONO I MINISTRI CHE HANNO VOTATO PER INTRODURRE IL GREEN PASS, DALL’ALTRA L’ALA CHE FLIRTA CON I NO-GREEN PASS PENSANDO DI RACCATTARE VOTI. MA COME DIMOSTRANO IL FLOP DELLE MANIFESTAZIONI DI IERI LA MAGGIORANZA SILENZIOSA DEGLI ITALIANI È FAVOREVOLE AL VACCINO E AL GREEN PASS - L’IRRITAZIONE DI DRAGHI, CHE IERI HA CHIAMATO SALVINI PER CAPIRE COSA È SUCCESSO IERI IN COMMISSIONE - DALLA LEGA SMENTISCONO: “NESSUNA TELEFONATA. NEI PROSSIMI GIORNI SI RIVEDRANNO PER CONCORDARE L’AGENDA DI RIFORME PER L’AUTUNNO…”
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1 - GREEN PASS: FONTI LEGA, NESSUNA TELEFONATA SALVINI-DRAGHI
(ANSA) - ROMA, 02 SET - Nessuna telefonata fra il premier Mario Draghi e il leader della Lega Matteo Salvini per commentare il voto sul Green Pass. I rapporti tra Salvini e Draghi erano e rimangono più che cordiali, e nei prossimi giorni si rivedranno per concordare e organizzare l'impegnativa agenda di riforme per l'autunno, da quella della Pubblica Amministrazione a quella degli appalti, dalla riforma fiscale a quella previdenziale. E' quanto riferiscono fonti della Lega.
2 - DRAGHI CHIAMA SALVINI: "COSÌ NON VA" GIORGETTI E I GOVERNATORI SPIAZZATI
Alessandro Barbera e Alberto Mattioli per “La Stampa”
Sulle prime Mario Draghi reagisce alla notizia con un misto di irritazione e stupore. In casi come questi il tempo che intercorre fra la riflessione e la telefonata è breve. Chiama al cellulare Matteo Salvini, in vacanza a Pinzolo. La distanza da Roma è sufficiente per offrire al leader leghista il margine per abbozzare una risposta rassicurante.
Il commento che trapela poco dopo dalle fonti ufficiali di Palazzo Chigi è la quintessenza del draghismo: «Non siamo particolarmente preoccupati per l'accaduto». Il commento in viva voce di Salvini è ancor più rassicurante: «Non si tratta di essere no vax o no Green pass, ho sia l'uno che l'altro».
Il caso del voto dei deputati leghisti in Commissione Affari sociali insieme a Fratelli d'Italia e alla pattuglia di fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle contro il passaporto vaccinale è già derubricato alla voce «Lega di lotta e di governo».
A Palazzo Chigi sapevano che le dimissioni imposte al sottosegretario Claudio Durigon sarebbero costate un prezzo politico, e così è stato. C'è di più: già da ieri mattina Draghi aveva convocato una conferenza stampa per oggi con i ministri della Sanità e della Scuola, Roberto Speranza e Patrizio Bianchi.
Quello sarà il momento in cui il premier ribadirà quel che va dicendo dal primo giorno a Palazzo Chigi: gli italiani hanno diritto alla normalità, le scuole devono riprendere regolarmente le lezioni, e le vaccinazioni dovranno procedere fino a quando il Covid non si trasformerà in un fenomeno influenzale.
Il passaporto vaccinale è funzionale a questi obiettivi, e dunque non è in discussione. Per Draghi il flop delle manifestazioni di ieri dei no vax è la dimostrazione che la gran parte degli italiani la pensa come lui. Se qualcuno fra i partiti che lo sostengono sposa quelle tesi, è solo per accreditarsi presso quella minoranza.
Salvini, il quale aveva dato pieno mandato ai suoi per votare quell'emendamento, sapeva benissimo che non avrebbe creato alcuna seria conseguenza politica al governo. Per paradosso il caso green pass sembra aver lasciato più scorie dentro alla Lega che nella maggioranza. Mezzo partito, quello al governo e dei governatori non ha gradito per nulla il voto alla Camera.
Ufficialmente nessuno si espone. «No comment» dal presidente friulano Massimiliano Fedriga, colui che da numero uno della conferenza dei governatori aveva lungamente trattato per ammorbidire il provvedimento. Non commenta nemmeno il veneto Luca Zaia, un altro opportunamente lontano dal lavoro al momento del fattaccio: sta rappresentando la Regione all'inaugurazione della Mostra del Cinema dove si proietta l'ultimo film di Pedro Almodovar.
Tace, come spesso accade in questi casi, anche il superdraghiano ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti. Eppure da molte fonti anonime trapela la sorpresa, per dirla con un eufemismo, per un voto che va contro quanto stabilito in Consiglio dei ministri e che, in un contesto diverso, avrebbe potuto mettere a rischio la stabilità del governo.
Ancora una volta, dopo la famigerata manifestazione di fine luglio contro il passaporto, si allarga fino a diventare un abisso il divario fra l'ala moderata e governativa del partito e quella movimentista dei Borghi, i Bagnai, coloro i quali vedono il Draghi I come una parentesi da chiudere il prima possibile.
L'irritazione dei primi è palpabile, sia pure declinata in formule di varia prudenza democristiana: «perplessità», «stupore», «disappunto» sono gli eufemismi ricorrenti, conditi dalla preoccupazione per la tenuta della maggioranza. Un importante leghista non di lotta ma di governo, sbotta: «Sono sbalordito. Evidentemente questi che votano contro il Green pass non hanno mai visto un reparto di terapia intensiva».
L'aspetto più delicato del voto di ieri in Commissione è squisitamente politico: dentro ai tre grandi partiti della larghissima maggioranza - Cinque Stelle, Lega e Partito democratico - convivono due anime sempre più in conflitto fra loro. Quando il conflitto non emerge fra di loro, uno degli altri partiti ne approfitta per sottolinearlo: «La Lega si è scissa», gongola il ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, fedelissimo di Giuseppe Conte.
E se nel caso della Lega l'anima movimentista è fuori del governo, per il Pd la faccenda è ancora più seria. E' di ieri mattina il caso del decreto delocalizzazioni, fortemente voluto dal ministro del Lavoro Andrea Orlando e sostenuto dal vicesegretario Beppe Provenzano. Se ne parla da settimane, eppure continua a slittare. In giornata una fonte di Palazzo Chigi lo precisa senza troppi giri di parole: «Contrariamente a quanto riportato da alcune agenzie di stampa, il Consiglio dei ministri non reca all'ordine del giorno provvedimenti in tema di delocalizzazioni». Se ne parlerà, forse, la prossima settimana. Il semestre bianco è appena iniziato e non sarà una passeggiata.