DUE MILA MILIARDI BUTTATI NEL CESSO - DA QUANDO GLI STATI UNITI HANNO MESSO PIEDE IN AFGHANISTAN, NEL 2001, "LA GUERRA CHE NON SI POTEVA VINCERE", COME ORA LA DEFINISCONO IN TANTI, È COSTATA 2.313 MILIARDI DI DOLLARI - IN 20 ANNI SONO MORTI OLTRE 47 MILA CIVILI AFGANI, 2.442 AMERICANI IN DIVISA - SPESI 143 MILIARDI SOLO PER L’ADDESTRAMENTO DELLE TRUPPE, LA COSTRUZIONE DI STRADE, SCUOLE E ALTRE INFRASTRUTTURE… TUTTO QUESTO, PER COSA?
-Marilisa Palumbo per il “Corriere della Sera”
La guerra che non si poteva vincere, come ora la definiscono in tanti, è costata agli Stati Uniti, dall’invasione del 7 ottobre del 2001 a oggi, 2.313 miliardi di dollari: una cifra che si fa fatica anche solo a immaginare. Non che il Congresso se ne sia preoccupato più di tanto: cinque sono le volte che il tema è stato sollevato dai membri della sottocommissione per gli stanziamenti alla Difesa.
Le spese non sono finite
Nella maggior parte delle ricostruzioni il «prezzo» del conflitto si ferma a 815,7 miliardi di dollari, perché quello è l’ultimo report del 2020 del dipartimento della Difesa. Una cifra che copre le spese operative, dal cibo per i soldati al carburante dei mezzi, dalle armi alle munizioni, dai carri armati agli aerei.
Ma non conta gli interessi già pagati sugli ingenti prestiti che Washington ha contratto per finanziare le operazioni, l’assistenza ai reduci — costi che continueranno a crescere negli anni a venire — i miliardi in aiuti umanitari e soprattutto la spesa per il «nation building».
Dall’addestramento delle truppe alla costruzione di strade, scuole e altre infrastrutture, questa parte ha richiesto 143 miliardi dal 2002 a oggi, secondo lo Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (Sigar).
Proprio il rapporto dell’ispettore generale spiega come tanti di questi soldi e progetti siano andati in fumo — scuole e ospedali vuoti, autostrade e dighe in rovina — per l’incapacità del governo americano di affrontare la piaga della corruzione degli alleati afghani, da Hamid Karzai all’ultimo presidente Ashraf Ghani (che non a caso è scappato con un gigantesco malloppo appena Kabul è caduta).
Il conto delle vittime
Dal 2001 a oggi sono morti oltre 47 mila civili afghani (domenica se ne sono aggiunti dieci, colpiti molto probabilmente dall’attacco «mirato» americano contro un membro dell’Isis-K). Tra i 66 e i 69mila invece i poliziotti o militari afghani e oltre 51 mila talebani e terroristi di varie sigle. Le cifre sono state raccolte mettendo insieme diverse fonti, dal Pentagono alle Nazioni Unite, dal progetto Costs of War della Brown University.
Nel 2011, all’apice dello sforzo militare, durante la cosiddetta «surge» imposta a Obama dai generali, c’erano in Afghanistan 130mila truppe alleate, a febbraio scorso erano 14mila, prima che Joe Biden mandasse i rinforzi per le evacuazioni erano 2.400.
In tutto 800mila americani hanno partecipato a questa guerra, di questi hanno perso la vita 2.442 uomini e donne in divisa e sei civili del dipartimento della Difesa, a cui si aggiungono i tredici giovanissimi uccisi nell’attentato kamikaze di giovedì a Kabul. Ventunomila almeno i feriti. La coalizione di 40 Paesi alleati ha registrato 1.144 perdite, tra cui 457 britannici (secondi per vittime dopo gli Usa) e 53 italiani.
Poi c’è una cifra di cui si parla meno, perché il Pentagono non la comunica: quella dei contractor americani morti, che sarebbero circa 3.800. I giornalisti uccisi sono almeno 77, gli operatori umanitari 444. Secondo i dati delle Nazioni Unite, 2,7 milioni di afghani sono scappati tra Iran (780 mila), Pakistan (1,4 milioni) ed Europa.
La cifra però non comprende i migranti irregolari. Né i centomila evacuati in questi giorni e i tanti che stanno provando a uscire dal Paese e continueranno a farlo nei mesi a venire. E poi ci sono i profughi interni: qui si parla di tre-quattro milioni di persone per un Paese di circa 38.
Le cose da salvare
Otto anni non sono pochi: di tanto — da 56 a 64 — è cresciuta l’aspettativa di vita dal 2001 a oggi in Afghanistan, secondo i dati della Banca mondiale. La mortalità per parto si è più che dimezzata: l’indice di alfabetizzazione è schizzato dall’8 al 43 per cento; i matrimoni precoci sono diminuiti, dicono i dati dell’Onu, del 17 per cento. Almeno nelle città l’accesso all’acqua potabile è arrivato all’89 per cento rispetto al 16 di vent’anni fa.
Sempre secondo la Banca mondiale la mortalità infantile si è dimezzata, così come il numero dei bambini sottopeso. E metà della popolazione ha accesso alle cure mediche, contro il 25 per cento dell’inizio degli anni Duemila.
Il Financial Times, che qualche giorno fa ha messo insieme in una serie di grafici i dati su questi miglioramenti, riporta che si contano nelle scuole 8,2 milioni di bambini in più rispetto al 2001. Il problema è che gran parte dell’economia afghana, una delle meno sviluppate al mondo, si basava sugli aiuti internazionali, già diminuiti nell’ultimo decennio e al momento congelati.
Con i talebani al governo, quante di queste conquiste resisteranno e quante svaniranno con la velocità con la quale gli estremisti si sono ripresi il Paese? Se sono stati vent’anni «inutili» o no molto dipenderà da quanto continueremo ad occuparci della sorte di chi resta da domani in poi.