ECCO IL PARTITO DEL QUIRINALE – IERI È NATO IL GOVERNO CONTE-BIS, QUELLO VERO. SALVINI E DI MAIO SI RINTANANO SU INSTAGRAM E AI BANCHI DEL SENATO IL PREMIER SI MOSTRA CON MOAVERO E TRIA, I MINISTRI TECNICI ATTORI DEL NEGOZIATO CON L’EUROPA, ICONOGRAFIA DEL NUOVO GOVERNO – LA “CAREZZA” DEL QUIRINALE E I COMPLIMENTI DI VISCO E MARIO MONTI (AUGURI) ALL’AVVOCATO DEL POPOLO
-Claudia Fusani per “TiscaliNews”
In qualche modo ce l’hanno fatta. Bruxelles ha fatto la dura ma salva l’Italia ed evita il terzo incendio in Europa dopo Parigi e Londra. Il governo può vantare un accordo che è una retromarcia clamorosa ma su cui fa premio la messa in sicurezza nei nostri conti. Entrambi, Roma e Bruxelles, portano a casa il risultato più importante: evitare la procedura.
Ma dopo quasi novanta giorni di battaglie, e sebbene manchi ancora il via libera finale, nessuna delle due forze di governo può essere veramente soddisfatta. Tranne il Presidente della Repubblica che in questi tre mesi ha esercitato quotidianamente la sua moral suasion per tutelare i conti dello Stato e il risparmio dei cittadini.
E il premier Conte che ieri, si può dire, ha definitivamente smesso i panni del portavoce un po’ grigio e incolore, a volte persino umiliato, del governo giallo verde e ha indossato quelli del Capo del governo. Forse da oggi un po’ più solo e anche visto con sospetto da chi gli ha aperto la porta di palazzo Chigi.
Il Conte-bis, quello vero
Ieri è nato il governo Conte-bis, quello vero. Con un drappello di ministri - Giuseppe Tria, Enzo Moavero, Elisabetta Trenta - “si è assunto l’onere e la responsabilità di riannodare i fili del dialogo con Bruxelles”, è riuscito a congelare per tre settimane i continui attacchi verbali dei suoi vice contro l’Europa, Juncker e la Commissione, ha scritto “una nuova manovra contabile” assai più realistica tagliando 10 miliardi di valore e poi è venuto in aula, davanti al Parlamento, mettendoci la faccia. La sua.
E non quella di Matteo Salvini e Luigi di Maio, i vicepremier che in tre mesi sono passati dalle balconate (Di Maio) e dai toni irriverenti (tra i tanti “spread a colazione” e “spezzeremo le reni all’Europa”) a salutare con un comunicato “la vittoria del buon senso” (Salvini) e “lo straordinario lavoro e il risultato portato a casa nel solo ed esclusivo interesse dei cittadini” (Di Maio). Ieri per i leader politici più social di sempre, niente dirette Facebook o interviste tv. Basso profilo. In fondo i rispettivi elettori, dai primi sondaggi, non sarebbero così contenti. Meglio stare un po’ low profile.
Con gli occhi del Presidente
La giornata va quindi “vista” dal Quirinale e spiegata con le parole che il Presidente Sergio Mattarella ha voluto riservare alle autorità del governo, delle istituzioni e della società civile ospiti nel salone delle Feste per la cerimonia dello scambio degli auguri per Natale e fine anno. Il Capo dello Stato ha valutato “molto positivamente il dialogo costruttivo avviato con la Commissione europea che ha portato alle soluzioni condivise di queste ore sulla manovra di bilancio”.
Le prime parole di conforto per il premier Conte, seduto in prima fila, dopo che in aula al Senato le opposizioni, all’ora di pranzo, non avevano avuto pietà. “Avete fatto il gioco delle tre carte”, “un po’ di rispetto anche per la propaganda”, “manovra scritta a Bruxelles a un governo con il cappello in mano e le braghe calate” ha attaccato Vasco Errani (Leu). “Avete ingaggiato un inutile braccio di ferro durato tre mesi che ci è costato almeno un miliardo e mezzo. Chi chiede scusa e chi paga per questo?” ha detto Ferrari (Pd). Un crescendo fino al micidiale: “L’unica cosa che avete abolito è la verità” (Urso, Fdi).
La prima vera “carezza” di giornata per Conte arriva quindi dal Colle. In serata saranno ottime conferme anche lo spread a 253 e il +1,6 della borsa. Nell’occasione piena di coincidenze - via libera da Bruxelles, sei mesi di governo, bilancio di fine anno - il Capo dello Stato ha tirato le fila di questi primi sei mesi di governo.
Scegliendo una parola chiave: pluralismo, “nell’assetto dell’ordine istituzionale”, “della società civile” e nel “rispetto assoluto della libertà dell’arte e della scienza, dell’università, dell’iniziativa economica e dell’informazione e delle sue molteplici voci tutte da salvaguardare perchè rappresentano un presidio irrinunciabile dello stato democratico”. Pluralismo, contro chi magari pensa, una volta al governo, di poter mettere mano su tutto, dall’informazione allo sport passando per l’impresa, la finanza e persino la scienza.
“Rivolgo ai componenti del Governo - ha detto Mattarella - un ringraziamento e un augurio affinché possano accompagnare l’adempimento dei propri compiti con il rispetto dei limiti del potere che la nostra Carta indica a chi è chiamato ad esercitarlo”. Servono orecchie un po’ raffinate per capire. Chissà. Assente Salvini (aveva la recita a Milano della figlia Mirta), tutti gli altri erano presenti, Lega e 5 Stelle in parti uguali, Di Maio e Fico passando per Giorgetti e Buongiorno.
Un brindisi in ordine sparso
I ricevimenti nel salone dei Corazzieri al Quirinale sono sempre un ottimo punto di vista per capire come sta la legislatura, il potere del momento e le dinamiche in corso. Il salone ieri sera era zeppo da non poter camminare. Segno che la situazione è fluida e nulla è scontato. Vertici delle forze dell’ordine, delle forze armate, della magistratura (al debutto il vicepresidente del Csm David Ermini) e dell’intelligence in osservazione attenta.
La star è Giuseppe Conte che s’intrattiene a tu per tu con Mattarella ( i due si sentono in realtà ogni giorno ma ieri era un giorno molto particolare per entrambi) mentre il presidente di Bankitalia Visco e l’ex premier Monti si complimentano per l’accordo raggiunto. Gelo e distanza invece - occupano due sezioni lontane del salone - tra i 5 Stelle, presenti in massa da Di Maio, abbastanza defilato, in giù, e le truppe leghiste capitanate dal sottosegretario Giorgetti. “La coalizione con i 5 Stelle è oggettivamente complicata” dirà più tardi Giorgetti intervistato su Skytg24.
“Ma se ci dovesse essere una crisi si va al voto, no ribaltoni con i responsabili, sono vecchia politica e i lettori ci punirebbero” ha precisato il sottosegretario tra i più soddisfatti per l’accordo strappato in extremis e sempre più nel mirino dei pentastellati. In fondo, in questa partita, un pezzo di vittoria spetta anche a Giorgetti.
Dopo l’accordo sulla manovra, è il destino della coalizione il tema più dibattuto nei vari capannelli tra un assaggio di panettone e un flute di champagne o un calice di rosè. Argomento su cui fa la sua parte anche Silvio Berlusconi presente al Quirinale con Gianni Letta, i capigruppo Gelmini e Bernini, la vicepresidente della Camera Mara Carfagna, Maurizio Gasparri e i fedelissimi senatori Licia Ronzulli e Alberto Barachini.
Il Cavaliere è convinto che la coalizione non possa andare avanti. Gennaio sarà “un passaggio critico” perchè sarà allora che la manovra dovrà iniziare a camminare e a dare qualche risultato. E se Mattarella nel suo discorso ha voluto ricordare come “dopo il 4 marzo la legislatura ha preso le mosse sulla base di un accordo tra le due forze politiche disponibili a dar vita all’unica maggioranza parlamentare possibile”, il Cavaliere si tiene lontano dalle polemiche (ha sempre rivendicato che toccasse al centrodestra, con il 37%, l’onere di provare a trovare una maggioranza) osserva come “non è detto che ciò che all’epoca era l’unica opzione non possa oggi cambiare”. Nessuna stretta di mano tra Berlusconi e i 5 Stelle. Così come tra Lega e 5 Stelle. Tutti in ordine sparso. Tranne Conte, Tria e Moavero, gli unici “vincitori”.
Il capolavoro della Trinità
Sono loro i veri artefici del compromesso vittorioso che ha messo l’Italia al riparo dalla procedura d’infrazione. Il banco del governo, al Senato, occupato da Conte al centro, Moavero sulla destra e Tria sulla sinistra, è l’iconografia del “nuovo” governo. Dal 2 dicembre hanno avuto mandato pieno a trattare. Missione compiuta.
Giuseppe Tria cammina un metro da terra visto che i saldi finali della nuova manovra sono esattamente quelli da lui indicati già il 27 settembre. Magra consolazione dopo mesi passati sulla graticola, “minacce” varie e inviti espliciti a lasciare il vertice del Mef. Cosa che ieri ha fatto il capo di gabinetto Roberto Garofoli, il suo braccio destro che i 5 Stelle dissero di “voler passare per i coltelli”. Conte citerà Tria più volte nel discorso al Senato ringraziandolo per la cura e la pazienza.
Visibilmente soddisfatto, anche nel pomeriggio al Quirinale, il ministro degli Esteri Enzo Moavero, in genere e finora abbastanza defilato rispetto alle peripezie della maggioranza. A lui il merito, forte delle conoscenze e delle capacità diplomatiche, di aver tenuto aperti i canali del dialogo anche nei momenti più difficili. Quando, ad esempio, Salvini dava dell’ubriacone a Juncker. Ieri l’ultimo capolavoro. Fino all’ultimo il ministro degli Esteri e capo della nostra diplomazia ha potuto limare le parole delle lettera di Bruxelles. Evitando così, ad esempio, che certe asperità risultassero poi scritte nella lettera finale. Ieri mattina il vicepresidente Ue Valdis Dombrovskis ha detto che “se qualcosa va male (circa la manovra, ndr) possiamo tornare sulla questione a gennaio, la scadenza per decidere sulla procedura è a febbraio. Su questo siamo stati molto chiari nella risposta all’Italia”. Un ammonimento del tutto scomparso nella lettera poi recapitata a palazzo Chigi e sostituito da un più generico “monitoraggio”.
L’emendamento
Posati i calici, si torna tutti a lavorare. La Ragioneria generale dello Stato definisce il testo dell’emendamento con la “nuova manovra” intorno alle 22. La Commissione Bilancio deve lavorare senza soste fino alle 17 di venerdì quando la Manovra andrà in aula per essere votata la sera stessa o la mattina dopo con la fiducia. Il terzo, e finale, passaggio alla Camera è rinviato al 27-28 dicembre. Tempi molto compressi. Il ruolo negato del Parlamento è un altro dei temi cavalcati dalle opposizioni che rivendicano il diritto costituzionale di studiare, valutare e discutere quella che è la legge più importante dello Stato.
L’emendamento conta una trentina di pagine e contiene i nuovi saldi e il dettaglio di nuove entrate, investimenti e nuovi tagli. Un capitolo di cui Conte in mattinata aveva dato un corposo assaggio.
Il valore della Manovra passa da 37 a 27 miliardi, dieci in meno. Il deficit da 2,4 a 2,04%, il deficit strutturale (che pesa veramente sul debito) da +0,8 diventa zero, ed è stato questo l’ultimo e più difficile ritocco. Il pil passa da +1,5% a uno. Il primo schema di Tria e del Mef. Tre mesi buttati.
Per quanto, senza nemmeno crederci, Conte abbia ribadito che “tutto cambia ma nulla in realtà cambia perché prima avevamo sbagliato conti e previsioni”, sono molti in realtà i cambiamenti. Il Reddito di cittadinanza sarà effettivo dal primo aprile.
Le pensioni tra aprile e giugno, una parte a ottobre (quelle pubbliche) e come al solito anche ieri Tria ha detto una cosa, Conte un’altra e Di Maio una terza ancora. Saranno due diversi decreti pronti a gennaio a definire tempi e modi. Intanto si sa che dei 9 miliardi destinati al Reddito ne sono rimasti 7 e 100 milioni. Dal Fondo per Quota 100 (6 miliardi e 400), sono stati tolti due miliardi e 700 milioni 32, molto più che al Fondo per il reddito di cittadinanza. Quasi dimezzato. Salvini non sarà contento.
Il mistero dei 2 miliardi “accantonati”
Il grosso delle nuove risorse - tra tagli e nuove entrate devono sommare 10 miliardi - arriva da un non meglio identificato fondo accantonamenti dove figurano ben due miliardi che però al momento nessuno sa dire da dove arrivino. “Diciamo che sono stati congelati lì in attesa di essere scongelati se dovessero servire. Cioè figurano ma non ci devono realmente essere” spiega una fonte di governo.
Un trucco contabile, non un falso per carità, che è stato decisivo per sbloccare la trattativa con Bruxelles. Ecco finalmente la verità dal blocco pensioni: dal blocco degli aumenti automatici delle pensioni arrivano 250 milioni, mentre dal “contributo volontario” dalle pensioni più ricche ne arrivano 76. La tassa sui ricavi dei grandi operatori come Google e Facebook (webtax) dovrebbe dare 150 milioni nel 2019. Altri tagli: 113 milioni da Irap, 204 da abolizione (parziale) Industria 4.0, 118 da Ires, 600 dai Fondi delle Ferrovie dello Stato, 800 milioni dal Fondo sviluppo e coesione sociale utile soprattutto al sud per garantire lavoro nelle zone più povere.
Probabilmente i 5 Stelle sono convinti da sostituire, tra qualche mese, un lavoro socialmente utile come l’autista di un bus per la scuola con i reddito di cittadinanza erogato per stare a casa. Altri 100 milioni arrivano dal rinvio a novembre 2019 delle assunzioni nella Pubblica amministrazione.
Alla voce “nuove entrate”, si trovano 450 milioni per la maggiore tassazione dei giochi on line; 950 milioni dalla vendita di immobili dello Stato; 150 milioni di maggior gettito fiscale grazie al reddito di cittadinanza che farà “consumare” i cittadini raggiunto dal reddito e alle assunzioni nei centri per l’impiego. Matteo Renzi appena legge l’emendamento posta su Facebook: “Alle 22 sono finalmente arrivate le correzioni. Si vede che hanno impiegato molto a scaricare il file da Bruxelles. Tagliano su tutto, anche sugli investimenti pubblici. Mi metto a studiare per bene e vi tengo informati”.
Intanto ieri sera cambio di programma fuori dal Senato: spariti gli Ncc, gli arrabbiatissimi autisti privati, sono arrivati i tassisti. E’ corsa voce che una manina sia entrata in azione in Commissione e abbia tolto l’emendamento che riguardava gli autisti privati. Così, contenti loro, si sono arrabbiati i tassisti che invece avevano avuto rassicurazione dalla giunta Raggi di porre fine alla “concorrenza sleale” degli Ncc. E’ la manovra del cambiamento. Ma non cambia mai nulla.