1. ESAURITE LE VELINE DI CASALINO, POSSIAMO DIRLO: NON HA VINTO CONTE, MA LA MERKEL
2. È LEI AD AVER GESTITO IL NEGOZIATO, PLACATO RUTTE E PORTATO A CASA IL RISULTATO. CONTE HA POTUTO FARE IL DURO PERCHÉ AVEVA LE SPALLE COPERTE DA FRANCIA E GERMANIA
3. NELL'ATTESA DI RICEVERE LA PRIMA TRANCHE DEI FONDI, CHE SI FA? NELLE CASSE PUBBLICHE, NON C'È UN EURO E CONTE RINVIA ANCORA SUL MES: GUALTIERI HA DAVANTI TRE STRADE...
4. CHI LI GESTIRÀ IL RECOVERY? ZINGA VORREBBE AFFIDARLI AI SINGOLI MINISTERI SOTTO IL COORDINAMENTO DI GUALTIERI. CONTE NATURALMENTE LI VUOLE GESTIRE PERSONALMENTE. DI MAIO VORREBBE AFFIDARLI A FRACCARO CHE GIOCA SU DUE TAVOLI: GIGGINO E PEPPINO...
DAGONEWS
Oggi ovviamente è il giorno della celebration per Peppino Conte, e chi non si unisce al coro viene accusato di essere un rosicone con la dentiera avvelenata. A noi i cori non piacciono molto e corriamo il rischio: il vero vincitore della trattativa sul Recovery Fund si chiama Angela Merkel. Ogni proposta e ogni mediazione passava da lei, era lei a tenere i rapporti con i "frugali" Rutte e Kurz.
È lei che ha insistito con gli altri paesi che sostenevano il suo piano, presentato con Macron (e non quello originario Gentiloni-Breton, che era da 1500-1600 miliardi, più del doppio) facendo capire loro che in Olanda ci saranno le elezioni nei prossimi mesi e che piuttosto di rischiare una vittoria dell'ultra-sovranista Wilders, bisognava accontentare Rutte.
E il frugoletto olandese ha portato a casa anche più dell'Italia: non solo l'aumento dei famigerati rebate, gli sconti sui contributi al bilancio dell'Unione Europea che dovevano sparire con la Brexit e che invece sono stati potenziati (a spese di Francia, Italia e Spagna), ma ha incassato anche il cosiddetto ''freno di emergenza'', ovvero la possibilità per un singolo stato membro di portare davanti al Consiglio e alla Commissione il comportamento ''irregolare'' di un altro.
Si tratta di una ulteriore vittoria per la Merkel, che ha finto di accontentare Rutte controvoglia ma in realtà è ben felice di avere un potente fischietto per ammonire (o cacciare) chi dovesse fare il mattacchione con i conti pubblici o nel rapporto con Bruxelles. Su quel fischietto ci sono incisi vari nomi, primi tra tutti Salvini e Le Pen. Già, perché il Recovery Fund sarà spalmato su 10 anni, quindi ci saranno molte occasioni per minacciare di chiudere i rubinetti a chi dovesse fare la pipì fuori dal vasino europeista.
Dunque è vero che Conte è andato a Bruxelles e ha fatto il duro, ma ha potuto farlo perché aveva le spalle coperte da due tipini che si chiamano Merkel e Macron. Se fosse andato da solo avrebbe preso solo schiaffi, proprio come quando presentò la prima e ultima manovra giallo-verde nell'autunno 2018 e dovette accontentarsi di quel ridicolo 2,04% di deficit.
Non è che il discepolo di Guido Alpa e seguace di Padre Pio Travaglio si sia trasformato per magia, nel giro di un anno e mezzo, nel re dei negoziatori. È che al tavolo della trattativa aveva accanto due manganellatori che alla fine avrebbero ottenuto quello che volevano (pena la fine dell'Europa unita).
È stata Angelona a buttare fuori dalla sala riunioni i ''frugali'' e a far scattare quella foto con Giuseppi, von der Leyen, Macron e Sanchez, per far capire ai riottosi paesi del Nord che in quella stanza c'erano i due terzi della popolazione e del pil europei e che quel negoziato sarebbe arrivato a una svolta in un modo o nell'altro.
La vittoria è di Merkel e dell'Unione Europea. L'Italia si può considerare trionfatrice per un paio di giorni o nelle veline di Casalino, ma la verità è che appena tornato a Roma il premier si è trovato Gualtieri ad aspettarlo, ed è stato messo davanti al problema principale del governo: i fondi.
Essì, perché se Conte ha riferito a Mattarella l'intenzione di rinviare la decisione sul Mes a ottobre, dopo le regionali, per evitare l'implosione dei 5 Stelle, la cassa pubblica ha già raschiato il fondo del barile.
L'unica cosa che potrebbe cambiare sull'ex fondo Salva-Stati è se la Spagna, che si trova decine di nuovi focolai e potrebbe trovarsi costretta a chiedere i fondi.
Il ministro del Tesoro sta preparando l'extra-deficit da 20 miliardi da sottoporre al Parlamento, ma perché credete che il governo sia andato allo scontro con i commercialisti – in sciopero contro le tasse, una cosa mai vista – pur di confermare la scadenza fiscale del 20 luglio? Perché non c'è più il becco di un quattrino.
Il duo Conte-Gualtieri ha preferito fare la figura barbina di un rinvio di 20 miseri giorni delle scadenze fiscali, e ha spremuto le partite Iva pretendendo l'anticipo su un 2020 che finora è stato un bagno di sangue, il tutto per non dover ammettere, nel pieno delle trattative sul Recovery, che l'Italia non poteva permettersi di rinunciare a quegli F24.
Se non sarà prorogato lo stato di emergenza, mancando i presupposti legali, non saranno prorogati neanche il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione, e la bomba sociale – che la ministra Lamorgese ogni giorno agita davanti agli occhietti del governo – è lì pronta a esplodere.
Senza Mes e in attesa dei soldi del Recovery che arriveranno nel 2021, che può fare il governo? Gualtieri ha davanti tre strade:
- Chiedere un anticipo dal bilancio dell'UE;
- puntare su rapide nuove tasse europee che non puniscano i cittadini ma le ricche multinazionali (americane), vedi la web tax;
- emettere subito altri titoli di Stato.
Ursula von der Leyen è favorevole ai bond ''perpetui'' (pagano gli interessi ma il capitale non viene mai restituito), perché non andrebbero ad accrescere il debito pubblico. Ma i soliti frugali si oppongono: se non possono usare la leva del debito eccessivo, non hanno più armi da usare contro Italia e soci.
Probabilmente il ministro del Tesoro dovrà ricorrere a un mix di queste tre opzioni. Ma il punto centrale è che la questione dei fondi non è affatto risolta. La domanda principale è chi li gestirà?
Zingaretti vorrebbe affidarli ai singoli ministeri (in particolare lo Sviluppo Economico di Patuanelli, la Pubblica Istruzione di Azzolina, la Salute di Speranza, l'innovazione di Pisano), sotto il coordinamento del dalemone Gualtieri. Conte naturalmente li vuole gestire personalmente.
In mezzo c'è Di Maio che vorrebbe che fossere affidati al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Fraccaro o, come lo chiamano tra i 5 Stelle, Fraccazzo da Velletri, un tipino che gioca su due tavoli: Giggino e Peppino.