EURO-CRAC - IL ''CORRIERE'' SCHIERA LUCREZIA REICHLIN PER DIRE CHE ''L'EURO COSÌ COM'È NON FUNZIONA'', E NANDO PAGNONCELLI PER RIVELARE CHE GLI ITALIANI NON SI FIDANO PIÙ DELL'UNIONE EUROPEA, SEBBENE UNA MAGGIORANZA (RELATIVA) NON INTENDA MOLLARE LA MONETA UNICA - LA SPARATA DOMENICALE DI BERLUSCONI: ''FACCIAMO CIRCOLARE LA LIRA INSIEME ALL'EURO, COME NEL DOPOGUERRA''. E CHI SAREBBE COSÌ FESSO DA ACCETTARE LA CARTA STRACCIA CON UNA MONETA FORTE IN GIRO?
1.BERLUSCONI: ''FACCIAMO CIRCOLARE UNA LIRA INSIEME ALL'EURO''
Dall'intervista di Claudio Tito per ''la Repubblica''
«Quello che potremmo studiare però è la possibilità di una moneta italiana con una doppia circolazione di moneta, euro e lira, in modo da riacquisire una parziale sovranità monetaria. L’Europa, però, deve cambiare strada con urgenza altrimenti la fine non solo dell’Euro ma dello stesso sogno europeista sarà inevitabile».
È sicuro che l’idea di una moneta parallela sia praticabile?
«Ne ho discusso con tanti professori e economisti. Lei forse non ricorda che dopo la guerra in Italia c’era l’Am-Lira. Quando mia madre mi mandava a fare la spesa, pagavo con quella moneta. Funzionava benissimo»
Quindi una sorta di “Am-euro”?
«Oggi ovviamente si chiamerebbe lira e basta»
2.CAMBIAMO L' EURO PER SALVARLO
Lucrezia Reichlin per il ''Corriere della Sera''
L' Europa - la sua agenda politica e il suo futuro economico - è al centro delle campagne elettorali in corso nei maggiori Paesi dell' Unione. Sul fronte europeista, Angela Merkel ha parlato di modulo a «più velocità», Emmanuel Macron ha insistito sulla necessità di una maggiore integrazione; Matteo Renzi ed altri hanno dichiarato di volere un' Europa diversa e Paolo Gentiloni ha riconosciuto l' esigenza di accettare diversi gradi di ambizioni tra i partner.
È evidente che si tratti di una questione centrale per tutti ed è altrettanto evidente che le agende nazionali - a dispetto della demagogia sulla sovranità - si intreccino con l' agenda sul destino dell' Unione.
Cosa non si afferma con sufficiente chiarezza, però, è che il tema centrale per il futuro dell' Ue è l' euro.
L' indebolimento dei Ventotto - svelato in tutta la sua drammaticità dal voto in Gran Bretagna a favore della Brexit - è legato alla crisi del debito che ha imbrigliato i Paesi dell' eurozona (quei diciannove, per intenderci, che hanno adottato la moneta unica) in un lungo periodo di stagnazione economica, mettendo alle corde il modello di federalismo imperfetto che li governa. Il problema di credibilità e la conseguente incertezza strategica che vive l' Unione sono il prodotto indiretto di quella crisi.
È vero, la ripresa economica è finalmente arrivata - cresciamo, in media, più degli Stati Uniti -, ma portiamo i segni profondi di questi anni di crisi.
I costi sociali sono stati enormi, molti degli Stati membri dell' Unione monetaria sono ancora appesantiti dal debito pubblico e/o da quello privato.
Per questo - anche in Paesi con performance migliori delle nostre - l' euro ha perso popolarità. Tanto più in Italia, eterno malato dell' Unione.
L' euro non si tocca, assicurano Mario Draghi e Angela Merkel, ma la governance della moneta unica così come è ora - nonostante i progressi fatti negli ultimi anni - non funziona. Una dichiarazione, quindi, non del tutto credibile.
Durante la crisi abbiamo visto come la vulnerabilità anche di piccoli Paesi abbia reso instabile l' intera regione e sperimentato l' impossibilità dell' Europa ad agire poiché ogni intervento avrebbe comportato trasferimenti di risorse da un Paese all' altro, cosa non legittimata da una democrazia politica a livello europeo. In questi anni la Banca centrale europea - sola istituzione federale con un reale potere di intervento - ha evitato il peggio e ci ha portato lentamente verso la ripresa.
Oggi, quel periodo di instabilità finanziaria è ben lontano, ma l' euro non è al sicuro. In parte - e forse soprattutto - per la fragilità dell' Italia.
Con il normalizzarsi dell' economia, la politica monetaria della Bce dovrà gradualmente riassorbire lo stimolo prodotto dall' acquisto sul mercato dei titoli sovrani.
L' Italia perderà, quindi, il vantaggio di tassi d' interesse eccezionalmente bassi e ritornerà sotto pressione. Le prime avvisaglie sono evidenti: il mercato ha ricominciato a prezzare il maggior rischio del debito italiano. L' Italia potrebbe diventare di nuovo un fattore di instabilità dell' euro.
Soluzioni tecniche ci sono ma tutte comportano una forma di condivisione del rischio tra Paesi e sono quindi impossibili senza un salto di democrazia politica europea. È credibile che questo avvenga oggi, quando una gran parte sempre più agguerrita dell' elettorato europeo chiede esattamente il contrario, più sovranità nazionale e meno Europa? E se non è possibile, qual è la strategia al di là di interminabili negoziati tra le capitali dell' Unione e Bruxelles, negoziati che stanno erodendo la credibilità dell' Unione e che potrebbero comportare incidenti di percorso e una generale crisi di fiducia?
L' Europa non è una prigione ma - potenzialmente - uno straordinario strumento di progresso per i suoi cittadini e per l' economia globale.
Chi oggi pensa questo deve avere il coraggio di affrontare il problema dell' euro e ammettere la necessità di ripensarne l' architettura non solo economica ma anche politica.
Il successo di Martin Schulz in Germania e di Emmanuel Macron in Francia fa sperare che questa non sia solo una posizione velleitaria.
Tuttavia, per l' Italia sarà difficile essere protagonista di un' evoluzione politica del genere. Realisticamente qualsiasi riforma dell' euro che vada nella direzione di una progressiva integrazione delle politiche di bilancio dovrà necessariamente comportare trasferimenti a favore del nostro Paese e probabilmente una parziale mutualizzazione del suo debito. Non solo questo richiederà contropartite, ma ci renderà politicamente deboli. Tuttavia, lo spazio per far sentire la nostra voce esiste. È legato a due cose. In primo luogo bisogna chiarire la nostra posizione sulla questione del governo della moneta unica.
Qual è l' alternativa all' impianto di Maastricht a cui vogliamo aspirare? Il generico lamento sull' Europa dell' austerità è vacuo, inutile, controproducente. In secondo luogo è necessario rendere credibile e chiara la nostra agenda nazionale. Questo impone gambe politiche per farla avanzare, ma soprattutto stabilire le priorità e l' orizzonte entro cui realizzarle. Sarebbe bello sentirne parlare in questa stagione pre-elettorale.
3. CADE LA FIDUCIA NELL' UNIONE MA PREVALE IL SÌ ALL' EURO - L'«EXIT» VINCE TRA CHI VOTA CENTRODESTRA E 5 STELLE
Nando Pagnoncelli per il ''Corriere della Sera''
Il rapporto con l' Europa sta diventando uno dei principali argomenti del dibattito politico. È un tema molto cavalcato per accrescere il consenso nell' elettorato, facendo leva sul progressivo calo di popolarità dell' Unione tra i cittadini.
Oggi, infatti, la maggioranza assoluta (59%) dichiara di non avere fiducia nell' Ue mentre solamente un italiano su tre (36%) manifesta un' opinione positiva. Dal 2008 l' indice di fiducia si è dimezzato, passando da 75 a 38. Analizzando la serie storica dei dati si osservano due momenti in cui il calo è risultato particolarmente brusco: nel 2002, dopo l' introduzione della moneta unica e la disillusione rispetto all' attesa di un miglioramento delle condizioni di vita, e nel 2012, dopo la prima crisi greca e l' affermarsi di un' Europa considerata poco indulgente nei confronti degli stati membri in difficoltà.
La fiducia prevale soprattutto tra gli elettori del Pd (77%) mentre gli atteggiamenti negativi sono largamente diffusi tra quelli di Forza Italia (77%), del M5S (75%) e, soprattutto, della Lega (89%).
Il clima mutato
Nel volgere di tre lustri l' opinione pubblica è passata dall' entusiasmo allo scetticismo per l' Europa. Prima si guardava ad essa come fattore di modernizzazione dell' Italia e la fiducia elevata rappresentava spesso un riflesso della sfiducia per la politica e le istituzioni italiane. Negli ultimi tempi le opinioni si sono rovesciate: laddove il vincolo esterno era considerato un' opportunità di cambiamento per il nostro Paese oggi è vissuto come un limite, un freno alla crescita imposto da un' Europa considerata arcigna, tecnocratica e sempre più distante dalla vita dei cittadini e dai loro bisogni.
I più recenti dati dell' Eurobarometro offrono molti spunti di riflessione sulle cause dell' appannamento dell' immagine dell' Europa, a partire dal senso di esclusione dei cittadini: solo il 21% degli italiani ritiene che la propria voce sia ascoltata in Europa, collocando l' Italia al 25° posto tra i 29 paesi in cui viene realizzata l' indagine.
La netta sfiducia manifestata dagli italiani non significa tuttavia la volontà di uscita dall' Unione Europea o l' abbandono dell' euro: infatti un cittadino su due (49%) considera l' ipotesi di «Italexit» uno svantaggio, mentre il 36% si mostra non particolarmente preoccupato, anzi, intravede possibili vantaggi.
Nonostante l' articolo 75 della nostra Costituzione precluda la possibilità di indire un referendum per abrogare leggi di ratifica di trattati internazionali, nel sondaggio odierno abbiamo voluto verificare gli orientamenti di voto nel caso di una consultazione sulla moneta unica e la nostra permanenza nell' Unione.
In entrambi i casi prevale il mantenimento dello status quo: il 41% voterebbe per conservare l' euro (mentre il 33% vorrebbe tornare alla lira) e il 49% opterebbe per restare nell' Ue (contro il 25% che preferirebbe uscire).
Gli orientamenti
Le opinioni sono fortemente influenzate dall' orientamento politico: infatti solo gli elettori del Pd e i centristi si mostrano eurofili, mentre a favore dello «strappo» risultano in misura molto netta i leghisti e i pentastellati e in misura più contenuta gli elettori di Forza Italia.
Ciò spiega il crescente innalzamento dei toni contro i leader e le istituzioni europee da parte degli esponenti dei partiti di opposizione, alcuni dei quali sono stati definiti «sovranisti»: attaccare l' Europa rende molto, compatta l' elettorato e consente di individuare un bersaglio comune su cui riversare l' insoddisfazione per le condizioni economiche e occupazionali in cui versa il nostro Paese e le responsabilità della gestione dei flussi migratori.
Per costoro da tempo si è rotto un tabù e l' uscita dall' Europa non rappresenta motivo di preoccupazione, probabilmente anche a causa delle conseguenze meno drammatiche del previsto subite dalla Gran Bretagna a seguito della Brexit.
Dunque la maggioranza degli italiani è insoddisfatta ma non vede vie d' uscita e si mostra rassegnata ad una sorta di appartenenza «forzata»: insomma, in Europa non possiamo non esserci se vogliamo evitare il peggio.
Il peso degli indecisi
Ma una convivenza priva di entusiasmo rischia di non durare a lungo e, a questo proposito, non va sottovalutata la quota di cittadini (il 26%, circa 12,5 milioni) che oggi sta alla finestra e tra la permanenza e l' uscita sceglie di non scegliere. E il silenzio generalizzato nel dibattito pubblico sul significato dell' Europa e le ragioni della nostra appartenenza, a poco più di un mese dal 60° anniversario dei Trattati di Roma, non contribuisce a cambiare le opinioni.