EXPO NON È INIZIATA ME È GIÀ FALLITA: “AREXPO SPA”, LA SOCIETÀ CHE HA COMPRATO LE AREE PER L’ESPOSIZIONE, NON RIESCE A RIPAGARE IL DEBITO DI 160 MILIONI DI EURO CON LE BANCHE - ORA CHI PAGA? E CHE FINE FARÀ L’AREA EXPO, UNA VOLTA FINITA L’ESPOSIZIONE?


Gianni Barbacetto per il “Fatto quotidiano”

 

LETIZIA MORATTI

Expo non è ancora iniziata, ma a 83 giorni dall’apertura dei cancelli si può dire che da un punto di vista tecnico-finanziario è già fallita. O almeno che è a un soffio dal crac. Non parliamo dell’esposizione, dei visitatori, dei biglietti, dei Paesi ospiti, degli sponsor: i conti di Expo spa si faranno alla fin della fiera, cioè il 31 ottobre 2015. Parliamo invece della grande operazione immobiliare realizzata da Arexpo spa, la società che ha comprato le aree per l’esposizione.

 

Roberto Formigoni

Per acquistarle, Arexpo si è indebitata per 160 milioni di euro con le banche. Secondo un primo programma di rientro, doveva pagare la prima rata (50 milioni) a dicembre 2014 e il resto ad aprile. Trovare cioè in un paio di mesi i 110 milioni della seconda rata, più i 50 della prima non pagata, oltre ad altri 75 milioni da dare a Expo spa come contributo per le infrastrutture. In più ci sono da pagare tutti i costi di gestione, le imposte, gli oneri finanziari. Questi soldi non ci sono. Quale imprenditore, quale operatore, quale società sarebbe tranquilla, in questo scenario da incubo? In che cosa si può sperare? Nell’arrivo di un benefattore, in un miracolo?

 

È la conseguenza del peccato originale di Expo: invece che fare l’esposizione su terreni pubblici, nel 2008 i padroni di Expo, e cioè l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti e l’allora presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, decisero di realizzarla su un’area sghemba al confine nord-ovest di Milano, tra l’autostrada dei Laghi e quella per Torino, un Triangolo delle Ber-mude racchiuso tra la nuova Fiera di Rho, il carcere di Bollate e il Cimitero Maggiore.

 

AREXPO

Era in gran parte di proprietà della Fondazione Fiera, allora feudo ciellino, che con la vendita dei suoi 404 mila metri quadrati ha incassato nel 2011 ben 66 milioni di euro (li aveva comprati nel 2002 a soli 15 milioni). E ha così potuto sistemare i conti disastrati della controllata Fiera Milano spa. Altri 260 mila metri quadri dell’area sono stati acquistati, per 49,6 milioni, dal Gruppo Cabassi.

 

Il compratore, cioè Arexpo, ha per soci il Comune di Milano (34,67 per cento), la Regione Lombardia (idem) e la Fondazione Fiera (27,66 per cento), oltre che la Provincia di Milano (2 per cento) e il Comune di Rho (1 per cento). A metterci la gran parte dei soldi sono il Comune e la Regione, che versano 32,6 milioni ciascuno, mentre Fondazione Fiera Milano (venditore e compratore nello stesso tempo) conferisce una parte dei suoi terreni (158 mila metri quadrati) e la parte rimanente (404 mila) la vende e incassa.

AREXPO

 

A metterci i soldi veri sono naturalmente le banche: una cordata con Intesa Sanpaolo come capofila, più Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Banca Popolare di Milano e Banca Imi. Con questi istituti Arexpo ha sottoscritto un contratto con rilascio di garanzia ipotecaria sulle aree.

 

Nel primo progetto , Arexpo (cioè i soci pubblici) avrebbe dovuto rientrare della spesa rivendendo l’area entro il novembre 2014, a un operatore disposto a metterci ben 314 milioni, con in cambio la possibilità di costruirci 480 mila metri quadrati, più o meno l’equivalente di 16 grattacieli Pirelli. La gara però, in tempi di crisi del mercato immobiliare, è andata deserta. Non si è materializzato lo “sviluppatore” capace di lavare il peccato originale di Expo e restituire al Comune di Milano e alla Regione Lombardia i loro soldi.

 

A questo punto è saltato il piano di rientro. Le banche però pretenderanno 30 milioni a fine 2016, altri 30 a fine 2017 e altrettanti a fine 2018. Chi li pagherà? E ancora: che fine farà l’area sghemba dell’Expo, una volta finita l’esposizione universale e smontati i padiglioni?

 

AREXPO

Dopo che l’asta di novembre è andata deserta, si è aperto il rebus del dopo-Expo. Le idee non mancano: sull’area si può ipotizzare di tutto, università e musei, parchi e orti botanici, auditorium e sale concerti, stadi e impianti sportivi, senza dimenticare gli incubatori tecnologici e le imprese innovative, che come il grigio stanno su tutto e fanno tanto chic. Tanto le idee non costano niente.

 

Ma il problema resta uno: chi ci mette i soldi? L’operazione era stata pensata in tempi in cui la crisi immobiliare ancora non mordeva e si sperava nell’arrivo dell’operatore contento di un indice d’edificabilità dello 0,52, che vuol dire poter costruire residenze, alberghi e spazi commerciali pari, appunto, a 16 grattacieli. Non è arrivato nessuno, anche per i vincoli posti dal Comune nel bando.

 

AREXPO

E adesso? Il presidente della Regione, Roberto Maroni, avrebbe voluto lo stadio, ma il Milan lo farà altrove, sui terreni dove un tempo sorgevano i padiglioni della vecchia Fiera Campionaria e lo stabilimento dell’Alfa Romeo Portello. Il presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, ha lanciato il progetto Nexpo, “una Silicon Valley italiana che sfrutti le eccezionali condizioni infrastrutturali e di digitalizzazione del sito Expo”.

 

Ora l’idea che tira di più è il polo universitario. È stata Arexpo, presieduta da Luciano Pilotti, a chiedere a due eccellenze milanesi, l’Università Statale e il Politecnico, di diventare advisor ideali per pensare il futuro dell’area Expo. Poi però ci si è accorti che Arexpo, società pubblica, non può dare incarichi diretti e deve indire una gara con un bando di evidenza pubblica. Della questione si sta occupando l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, a cui Arexpo ha rivolto un interpello.

 

raffaele cantone

Intanto è maturato il progetto finora più concreto: il Rettore dell’Università Statale, Gianluca Vago, da tempo stava pensando come ristrutturare le facoltà scientifiche di Città Studi (250 mila metri quadri). Si è reso conto che sarebbe più conveniente costruire da zero una nuova Città Studi sull’area Expo: con fondi Bei e Cassa depositi e prestiti e vendendo i terreni e i vecchi edifici di Città Studi. Per ora è solo una proposta. Buona anche per salvare Expo dal crac.