I FIGLI DI ANDREOTTI: ‘QUALCUNO INCASTRÒ NOSTRO PADRE. NOI SAPPIAMO CHI MA NON LO POSSIAMO DIRE’ (VIDEO) - STEFANO E SERENA PARLANO CON PIGI BATTISTA E LABATE: ‘CHIARAMONTE LO AVVERTÌ CHE GLI STAVANO PREPARANDO ‘UN PACCO COLOSSALE’, OVVERO IL PROCESSO PER MAFIA. 'E POI NELLA DC SI SONO ACCODATI'
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Un archivio immenso, 3500 faldoni, di documenti, scritti, carteggi, considerazioni, biglietti, un patrimonio inestimabile che racconta la storia del nostro Paese: è quello di Giulio Andreotti, lo statista scomparso nel 2013, a cui i figli Serena e Stefano stanno rimettendo mano. Dalle carte su Moro al carteggio con Cossiga, fino alle rivelazioni inedite su chi voleva «incastrare» lo statista, sotto processo per 15 anni.
«L’archivio di mio padre è stato donato all’archivio Sturzo nel 2007 perché fosse consultato da chi voleva, e ora faticosamente stiamo cercando di rimettere in ordine in 3500 faldoni. Ne è stato inventariato un terzo, finora- racconta la figlia Serena a #Corrierelive- E nella sezione dedicata agli scritti, in un faldone, ho ritrovato l’originale di questo libro, che già visivamente mi aveva incuriosito: questo aveva, a differenza degli altri, un solo faldone. Era inedito». Quel libro è ora in libreria con il nome di «Il brutto cattivo», ma l’archivio promette di svelare moltissimi altri segreti.
Il «sequel» del vecchio libro
Stefano: «Lui aveva scritto, nel 1972, I minibigami, dedicato ai processi della Sacra Rota, criticato da una parte e dall’altra, divorzisti e antidivorzisti, perché sosteneva che gli annullamenti venivano dati con troppa leggerezza. Il libro è ambientato in una pensioncina dove mio padre e altre persone si riunivano ogni anno per le vacanze, e tutte le sere affrontavano un argomento. In questo, che è il seguito nell’anno successivo, tornano a parlare del divorzio. Noi pensiamo che nostro padre negli anni, vista la grande polemica, non volesse esasperare gli animi.Papà dormiva pochissimo, 4 o 5 ore a notte, e scriveva sempre: mentre era con noi a guardare la tv, mentre era alla Camera, non si fermava mai».
Le lettere post-mortem
Stefano: «Lui aveva scritto diverse lettere post-mortem, e in tutte aveva detto di aver avuto tanti onori, tanti riconoscimenti, molto più di ciò che desiderava. Nella lettera che ci aveva lasciato dopo il rapimento di Moro, lui diceva che, qualsiasi cosa gli sarebbe accaduto, noi non avremmo dovuto serbare rancore per chi gli aveva fatto del male, e perdonare, anche se fossero state le Brigate Rosse. Lui era il primo obiettivo in quel momento, e i brigatisti stessi dissero che il motivo per cui avevano rapito Moro era che da quella casa era più facile scappare, mentre noi abitavamo in centro, e sarebbe stato più complicato districarsi».
I periodi difficili
Serena: «Il periodo di Moro è stato un dolore per papà, un dolore profondo di non poter scegliere un’altra strada». «Forse ha avuto qualche dubbio- aggiunge Stefano- ma ha sempre detto che dovevamo pensare alla fine che avevano fatto gli uomini della scorta, e non sembrava onesto trattare con chi li aveva uccisi. Dopo il primo avviso di garanzia, papà per mesi è stato male, e mia mamma ha preso una depressione fortissima, piangeva tutto il giorno, per anni. Poi c’è stata la condanna in secondo grado per l’omicidio Pecorelli. Io il giorno dopo sono andato tutti i giorni a lavorare, anche se dentro morivo, perché sapevo che era una cosa che non stava né in cielo né in terra. Mio padre massacrato per 15 anni, ma abbiamo continuato a vivere normalmente: qualcuno lo avvisò che gli stavano preparando il pacco, che volevano incastrarlo».
Il film di Sorrentino
«Il divo? Lo considerò una mascalzonata», dice Serena. «Ci sono due aspetti, uno privato e un altro pubblico: quello rappresentato non è mio padre - dice Stefano- perché viene rappresentato come una persona dura, cinica, e invece lui era dolcissimo, dal cuore d’oro. L’aspetto pubblico è una questione di come si vuol far vedere la figura di mio padre».
Berlusconi
Stefano: «L’unica cosa che a mio padre non piaceva di Berlusconi era il distinguo che faceva coi politici: li chiamava voi politici, e mio padre si chiedeva perché, visto che ormai erano anni che era in politica». Renzi? «C’erano degli inviti nella corrispondenza, che risalivano al periodo in cui Renzi era presidente della Provincia, ma solo cose istituzionali», racconta Serena.
Gli scheletri nell’armadio
«Sul caso Moro posso dire con certezza, perché le ho ordinate io le carte, che c’è moltissimo materiale, anche inedito, perché ci sono tutte le relazioni sulle indagini. La commissione Moro è venuta, hanno mandato un collaboratore che ha cercato. Papà ha avuto rapporti con la figlia Maria Fida fino alla morte, col resto della famiglia no».
Cossiga
Serena: «Spesso veniva a far visita, si vedevano spesso, anche se hanno avuto momenti difficili: nel 2018 dovrebbe uscire il carteggio tra Andreotti e Cossiga. Ma è un carteggio che risale a quando Cossiga era presidente della Repubblica, nella parte Moro ci sono documenti di Cossiga, senz’altro, ma da quelle carte non traspare una fermezza maggiore nell’uno o nell’altro, emerge solo la stanchezza della ricerca».