Marilisa Palumbo per www.corriere.it
Già nel lontano 2005 l’allora junior senator Barack Obama scriveva a uno dei blog (era l’epoca in cui facevano furore!) più letti del mondo della sinistra, il Daily Kos, per avvertire dei rischi di quello che in quel momento era il molto celebrato mondo nascente della politica sul web: rinchiudersi in bolle sempre più ristrette, per finire a parlare solo con chi la pensa come noi.
Si allarga la partecipazione, si riduce lo spettro del dibattito. Obama studiava le trasformazioni dell’informazione digitale e citava un fenomeno analizzato dai sociologi: la cyberbalcanizzazione, l’aggregarsi in Rete in tribù che non si parlano e non si capiscono, con effetti devastanti anche nel mondo reale.
Potere e controllo
barack obama alla barack obama alla cop26 di glasgow 11
Diciassette anni dopo, e due mandati da presidente più tardi, quei nodi legati alla comunicazione online si sono fatti ancora più intricati, e più gravi i pericoli per la tenuta della società e della democrazia, anche perché si sono intrecciati con la diffusione consapevole di false informazioni – propaganda o fake news, chiamiamole come vogliamo – da parte di attori che proprio quelle fratture nelle nostre comunità vogliono sfruttare a fini di potere e controllo.
Il discorso e le letture
Di tutto questo il 21 aprile Obama parlerà in un discorso ai ragazzi di Stanford, ma nel frattempo, da buon professore – insegnava diritto costituzionale a Chicago prima di entrare in politica – scrive sul suo profilo Twitter di aver «letto, incontrato accademici, ricercatori, leader del settore, ex regolatori…» e offre una reading list che si può consultare qui.
L’asse
Il viaggio odierno nella Silicon Valley segna anche un cambio di passo e un ripensamento rispetto al tecno-ottimismo delle sue campagne presidenziali, giocate moltissimo sull’asse con il Big tech americano, che lo aveva aiutato non solo generosamente nella raccolta fondi, ma anche in quella dei dati per declinare e «consegnare» in modo sartoriale il suo messaggio agli elettori. La sua campagna digitale era guidata dal co-fondatore di Facebook, Chris Hughes , e quasi tutta l’industria lo sosteneva, come lui sosteneva loro, senza grandi preoccupazioni sulle regole.
Il ripensamento
«Credo di aver sottovalutato fino a che punto le democrazie fossero vulnerabili (alla disinformazione, ndr), inclusa la nostra», ha ammesso Obama durante un recente dibattito organizzato dall’Atlantic Council e dalla University of Chicago. Oggi, come molti suoi colleghi democratici, è pronto a fare una battaglia per chiedere che i giganti dei social media, lasciati correre liberamente per quasi vent’anni, siano sottoposti a regole più stringenti, per il bene della democrazia: «Credo che sia ragionevole avere una discussione e mettere insieme una combinazione di misure regolatorie e norme industriali che lascino intatta l’opportunità per queste piattaforme di fare soldi, ma indichino che alcune delle loro azioni non sono positive per la società».
Strada in salita
BARACK OBAMA INCONTRA I CAPI DELLA SILICON VALLEY YAHOO TWITTER FACEBOOK MICROSOFT NETFLIX GOOGLE APPLE
Non sarà facile, però. Nel frattempo c’è stato Donald Trump, le bugie che l’hanno portato alla vittoria e la «grande bugia» dell’elezione rubata alla quale crede ancora la maggioranza degli elettori repubblicani; ci sono stati il negazionismo e le falsità sulla pandemia che sono costati anche delle vite umane. Quelle conseguenze pericolose per la tenuta delle nostre comunità si sono già realizzate e non sarà facile tornare indietro: i democratici ci provano, ma i repubblicani gridano alla censura. E chiusi nelle rispettive bolle, gli uni non ascoltano e non capiscono gli altri.
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