FOSSE SOLO IL BLACKOUT IL PROBLEMA DI FACEBOOK... - L'ARROGANZA DI ZUCKERBERG CHE NON HA DATO SPIEGAZIONI DOPO IL BLOCCO DEI SOCIAL LASCIA TRASPARIRE LA SUA INCAZZATURA PER ESSERE PRESO DI MIRA DALLA POLITICA, CHE GLI RIMPROVERA DI VOLER STERMINARE LA CONCORRENZA (E INFATTI SI È PAPPATO WHATSAPP E INSTAGRAM CREANDO UN PERICOLOSO MONOPOLIO) E DI FAVORIRE LA DIFFUSIONE DELLA PROPAGANDA NO VAX - I REPUBBLICANI IN AMERICA NON GLI HANNO PERDONATO LA CENSURA A TRUMP...
-Estratto dell'articolo di Federico Rampini per “la Repubblica”
Erano le 8.40 del mattino di lunedì 4 ottobre, qui in California, quando il messaggio "Error" ha cominciato ad apparire a tratti su WhatsApp, Instagram, Facebook, Messenger. Prima sporadicamente, poi in modo sistematico, dal cuore della Silicon Valley il blackout informatico è dilagato nel mondo intero. Il centro del caos, il quartier generale di Facebook a Menlo Park, era in ginocchio.
Ingegneri informatici, esperti di tecnologie, tutto l'esercito di talenti che lavora per il più grande social media mondiale, era alle prese con problemi banali e sconfortanti: molti non riuscivano neppure a entrare negli uffici di Menlo Park perché il software della sicurezza interna era coinvolto nel blackout e non riconosceva i loro badge, i tesserini magnetici di riconoscimento.
Bloccati i calendari di appuntamenti e le piattaforme per il lavoro condiviso, perfino le email funzionavano a singhiozzo o non arrivavano. "Alto rischio": l'allarme lanciato dal centro di sicurezza globale di Facebook suonava come ovvio, tautologico e tardivo: tutti lo avevano già capito, il guaio era enorme e mondiale.
Mark Zuckerberg e il top management nell'emergenza dovevano affidarsi a una task force umana, non all'intelligenza artificiale: un gruppo di tecnici spediti d'urgenza in un centro di computer server a Santa Clara, sempre nella Silicon Valley, per un "reset manuale". Un lavoro da idraulici, insomma: e con tutto il rispetto per le eccellenze nella manualità.
Una lotta contro il tempo, per rimediare al disastro globale. Una fatica durata più di 5 ore, prima di riuscire a riattivare le piattaforme digitali. Al termine, la direzione del colosso digitale era costretta a un piccolo gesto di umiltà: usare un social media concorrente, Twitter, per annunciare urbi et orbi: "We are sorry". Ci dispiace e ci scusiamo per gli inconvenienti provocati.
Troppo poco, troppo tardi, e soprattutto una evidente avarizia di spiegazioni. Un'arroganza da parte di Mark Zuckerberg, forse collegata alla sindrome da stato d'assedio, per tutte le offensive che convergono su di lui simultaneamente.
Intanto in quel lunedì 4 ottobre le azioni di Facebook avevano perso quasi il 5% in Borsa, per quello che la stessa azienda definisce il peggiore blackout da 13 anni. Ma i paragoni con il passato ingannano. Il precedente accadde nel 2008 quando il social di Zuckerberg aveva solo quattro anni di vita e un ruolo minore nella nostra vita. WhatsApp non esisteva neppure.
Lunedì 4 ottobre la paralisi di oltre cinque ore ha coinvolto circa tre miliardi di utenti, la maggioranza dei quali ormai si trovano fuori dagli Stati Uniti: dall'Europa all'Australia e ben 400 milioni di utenti solo in India. Spicca l'eccezione solitaria della Cina, che è chiusa all'universo Facebook, usa social media e messaggerie autoctone come Weixin- WeChat.
Tutto il resto del mondo ormai dipende dall'ecosistema-Facebook come da una utility che fornisce servizi essenziali: il telegrafo di una volta, il telefono dei monopoli pubblici sulle linee fisse, la luce o l'acqua corrente. Il paragone non è esagerato, solo su WhatsApp transitano ormai 100 miliardi di messaggi al giorno. Un universo di piccole imprese ormai ha impostato i suoi rapporti con dipendenti, fornitori e clienti, sull'uso di queste messaggerie gratuite.
Molti Paesi emergenti hanno saltato a piè pari lo stadio delle infrastrutture fisiche pesanti per passare alla tappa successiva affidandosi quasi esclusivamente ai cellulari, come mezzo di comunicazione ubiquo per tutte le loro attività economiche.
Il danno del blackout all'economia mondiale è recuperabile velocemente, però è un campanello d'allarme. Come non pensare a uno scenario di guerra in cui quel tipo di paralisi nella comunicazione sia provocato da un attacco straniero? L'avarizia di spiegazioni da parte di Zuckerberg si spiega: il fondatore, chief executive e maggiore azionista del social media nel giorno cruciale del grande blackout aveva l'attenzione rivolta a un altro tipo di minaccia.
La politica in America si sta trasformando in un nemico, dopo che per anni era stato ossequiente fino al servilismo. Già nel Day After del blackout, i titoli dei media sono sull'altro fronte aperto contro Facebook. In primo piano c'è l'audizione al Congresso di Frances Haugen, la 37enne whistleblower o "gola profonda" che da giorni sta rivelando verità scomode.
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