GABRIELLI-BELLONI, NE RESTERÀ SOLTANTO UNO - CHE LOTTA DI POTERE SI E’ SCATENATA AL VERTICE DELL’INTELLIGENCE! - LA SCINTILLA È STATA LA CANDIDATURA DI ELISABETTA BELLONI AL QUIRINALE. DA ALLORA FRANCO GABRIELLI E LA DIRETTRICE DEL DIS SONO IMPEGNATI IN UN DUELLO POLITICO AD ALTO LIVELLO - GABRIELLI SI IMMAGINA TITOLARE DEL VIMINALE IN UN DRAGHI-BIS E, IN FUTURO, RISERVA DELLA REPUBBLICA. MA PER ARRIVARE A QUESTO RUOLO SERVE PRESENTARSI E ACCREDITARSI COME IL GARANTE UNICO DELLA CONTINUITÀ OPERATIVA DELL’INTELLIGENCE…
-Andrea Muratore per https://www.tag43.it
«Diplomatici e membri dell’intelligence? Difficilmente vanno d’accordo». Una fonte qualificata vicino al mondo degli apparati strategici dello Stato spiega così, dialogando con Tag43, l’origine del dualismo tra il sottosegretario Franco Gabrielli, autorità delegata alla Sicurezza della Repubblica, e l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, direttrice del dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis) che coordina l’attività delle agenzie. «Ma il punto cruciale non è questo. Il vero tema è il potere», sottolinea la fonte che commenta le dinamiche che stanno dividendo, negli ultimi mesi, le due figure apicali dell’intelligence italiana.
Lo scontro sul documento pubblicato dal Corriere
Il culmine dello scontro si è avuto nelle scorse settimane. Il Corriere della Sera fa riferimento al Dis e ai servizi nel pubblicare un elenco di presunti “filorussi” attenzionati dagli apparati. Monta la maretta al Copasir e tra i servizi. Interviene Gabrielli, che a inizio giugno ha desecretato il documento del Dis, il cosiddetto Hybrid Bullettin, avvertendo di voler prendere provvedimenti contro le presunte “manine” interne che hanno fatto uscire le informazioni arrivate al quotidiano di Via Solferino.
Evidente il suo obiettivo. Gabrielli ha preso due piccioni con una fava, da un lato mostrando la sua capacità di coordinamento con le agenzie, dall’altro mettendo indirettamente in imbarazzo Belloni i cui analisti hanno prodotto un report formalmente secretato ma che non contiene più informazioni sensibili o strategiche di quante non ne avrebbe potute raccogliere un analista con un’attività di open source intelligence tra blog, gruppi Facebook, chat Telegram. Ora, in prospettiva, la sfida di potere tra i due alti esponenti dei servizi italiani guarda al futuro assetto delle istituzioni nazionali.
Belloni e la partita Quirinale
Gabrielli e Belloni hanno entrambi grandi ambizioni politiche per il loro futuro, una dinamica emersa in particolar modo nella prima metà del 2022. A fare il primo passo l’ex Segretaria generale della Farnesina, accettando di essere coinvolta nella partita del Quirinale su proposta di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle che ha cambiato notevolmente gli assetti di potere nel mondo dell’intelligence.
Un vero e proprio autogol per la donna che nei primi mesi del suo mandato era stata occhi e orecchie di Mario Draghi, venendo attivamente consultata nelle partite più calde per la normalizzazione dei servizi, come il delicato caso del pensionamento della “super-spia” Marco Mancini. Gabrielli ha inizialmente sofferto il protagonismo di una diplomatica divenuta zarina dell’intelligence capace di dare del “tu” al premier.
Accomunato a Belloni dalla formazione gesuita e dall’indole tecnocratica, ha poi dato attuazione al suo ridimensionamento. Mentre Draghi giocava, senza successo, la partita del Quirinale e Belloni coltivava l’ambizione di insediarvisi, Gabrielli, d’intesa con il Colle e il Partito Democratico, oltre che l’appoggio esterno di Matteo Renzi, ridimensionava le aspirazioni presidenziali dell’ambasciatrice. Le mosse di Belloni finivano quotidianamente sui giornali diventando pubbliche, così come quelle dei partiti che avevano provato a promuoverne la causa, il M5s e in second’ordine la Lega di Matteo Salvini, anche lui intestatario del progetto annunciato come “la prima volta di una donna al Quirinale”.
Le ambizioni dell’ex capo della protezione civile
Difficile non riconoscere dietro queste mosse la mano di Gabrielli, il quale ha, del resto, non minori ambizioni. Gabrielli, come ricordato nella presentazione del suo libro Naufragi e nuovi approdi tenutasi alla Luiss School of Government il 25 marzo scorso, ha avuto nella sua vita due grandi amori professionali: la Polizia e la Protezione Civile. In entrambi i casi il funzionario di punta dei servizi italiani ha avuto il potere di plasmare in forma verticistica e centralistica gli apparati da lui diretti.
Parlando a nuora perché suocera intenda, significa che l’ambizione sui servizi segreti è simile: verticalizzare la catena di comando, creare linee di fedeltà personale, consolidare un proprio “partito” nelle istituzioni. Cosa che, nel caso di Gabrielli, rappresenta il naturale proseguimento del sistema creato negli Anni 90 e 2000 dal suo predecessore Gianni De Gennaro. Il triangolo tra Polizia, servizi e consociativismo politico (vicinanza al centrosinistra ma apertura di credito notevole dal centrodestra) accomuna le due figure.
Ma Gabrielli vuole ribadire il suo predominio nei rapporti di forza con Belloni anche perché coltiva ambizioni maggiori. «In prospettiva», dice a Tag43 un attento conoscitore del sistema dell’intelligence italiana, «Gabrielli aspira a fare il Presidente del Consiglio o, almeno, il ministro dell’Interno». In quest’ultimo caso il modello di riferimento è quello di Marco Minniti, autorità delegata alla sicurezza della Repubblica con Renzi e titolare del Viminale nel governo di Paolo Gentiloni.
«Risponde a questa logica il suo sostegno al prolungamento dei mandati dei vertici di Aisi e Aise, che vuole avere come suoi alleati in questa scalata» dopo le elezioni del 2023. Gabrielli si immagina titolare del Viminale in un Draghi-bis e, in futuro, riserva della Repubblica. Ma per arrivare a questo ruolo serve presentarsi e accreditarsi come il garante della continuità operativa dell’intelligence, l’unico vero riferimento politico e operativo negli apparati e il portavoce degli interessi di sistema di fronte ai garanti dell’intelligence nazionale, gli Stati Uniti.
L’intelligence al centro del gioco politico
Troppo “europeista” Belloni, saldamente atlantico Gabrielli: questo uno degli schemi a cui si può aggrappare l’ex capo della Polizia per sgombrare il campo a suo favore. Ma in quest’ottica il dualismo tra i due insegna molto sullo stato di salute del potere italiano. Un Paese in cui l’intelligence diventa campo di battaglia, come troppo spesso è accaduto negli ultimi anni, è un Paese che va incontro a possibili riassestamenti del sistema politico-istituzionale e che deve cercare nuovi equilibri. L’intelligence rappresenta il potere delle informazioni sensibili, la porta dell’accreditamento internazionale e una garanzia d’influenza per chi, al suo interno, sa navigare con attenzione.
Ma va ricondotta nel quadro di un saldo controllo istituzionale. Già Minniti, che gestì gli apparati in via molto più defilata e pragmatica, vide le sue ambizioni di leadership nazionale ridimensionate proprio per i mal di pancia registrati sulla sua continuità con intelligence e apparati di sistema. Con Belloni è accaduto lo stesso principalmente per l’intervento di un avversario, Gabrielli, che coltiva ambizioni simili. Fino a quando sarà sostenibile un dualismo del genere non è dato sapersi.
Ma ora più che mai, mentre la posizione globale del Paese è messa a rischio per la guerra in Ucraina e le crisi economiche, energetiche e alimentari che si presentano all’orizzonte e mentre la sicurezza nazionale appare patrimonio comune della Repubblica e delle istituzioni l’unico obiettivo dei decisori dovrebbe essere la stabilità degli apparati e la loro corretta e serena operatività. Tertium non datur, pena un colpo ulteriore alla capacità d’azione del Paese nella tempesta che agita l’ordine mondiale.