DA GALEOTTO A MILIONARIO - PIETRO VARONE, LICENZIATO DA SAIPEM DOPO L’ARRESTO PER TANGENTI, PER IL GIUDICE DEL LAVORO DEVE ESSERE RISARCITO. CON 1,2 MILIONI!
Luigi Ferrarella per ‘Il Corriere della Sera'
Da licenziato a risarcito. Da arrestato (col timbro del giudice penale) a milionario (col timbro del giudice del lavoro). Almeno per ora. Perché Pietro Varone, l'ex direttore operativo di Saipem licenziato dall'azienda del gruppo Eni 7 mesi prima di essere arrestato il 28 luglio 2013 nell'inchiesta milanese su 197 milioni di tangenti italiane in Algeria, ha vinto in primo grado la causa di lavoro: il giudice Tullio Perillo ha «accertato e dichiarato illegittimo il licenziamento» e ha condannato l'azienda a versargli complessivamente 1,2 milioni di euro, e cioè nel dettaglio 423.000 «a titolo di indennità di mancato preavviso», 31.000 di «incidenza sul Tfr», e 741.000 «a titolo di indennità supplementare, oltre interessi e rivalutazione su tali importi dalla cessazione del rapporto al saldo effettivo».
Varone era stato prima indagato, poi licenziato e infine arrestato (4 mesi in carcere sino a fine 2013) nell'inchiesta della Procura di Milano che ipotizza «corruzione internazionale» nelle modalità con le quali Saipem acquisì 7 contratti d'appalto in Algeria del valore di 8 miliardi di euro (dai quali ricavare profitti per 1 miliardo) grazie al pagamento nel 2007-2010 di circa il 2,5% di tangente, cioè di 197 milioni di dollari di compenso a fittizie intermediazioni prestate da una società di Hong Kong del facoltoso Farid Bedjaoui, algerino di 44 anni ma con passaporto francese e residenza a Dubai, referente dell'allora ministro dell'Energia algerino.
I pm De Pasquale-Baggio-Palma, che hanno indagato anche l'amministratore delegato uscente di Eni Paolo Scaroni, e che ieri hanno interrogato come indagato in procedimento connesso Luigi Bisignani, da tempo percorrono due piste parallele. La prima sta inseguendo in mezzo mondo la scia di quali politici e pubblici ufficiali algerini abbiano incassato la fetta più grande della tangente, e in questo filone i pm si sono appena recati in rogatoria a Beirut. La seconda pista insegue invece la fetta minore, ma pur sempre consistente, che di quella tangente sarebbe rientrata in Italia, a cominciare da 10 milioni a Varone.
Nel frattempo, però, la Saipem l'aveva licenziato per giusta causa, accreditando con gli avvocati Giampiero Proia, Carlo Emanuele e Pietro Fioruzzi la tesi che le condotte ritenute dai pm illecite di Varone fossero ascrivibili esclusivamente alle sue iniziativa autonoma e responsabilità individuale; al contrario, Varone (con gli avvocati Sharmine Carluccio e Rosanna Santaniello) sosteneva che il proprio operato, comunque giudicabile, dovesse invece essere inquadrato nell'ambito delle disposizioni dei vertici societari.
Linea precisata negli ultimi interrogatori in cui aveva fatto riferimenti alla linea gerarchica sopra lui e in particolare a Scaroni, dal quale per reazione si era visto definire il 6 dicembre 2013 «un ladro che si è messo dei soldi in tasca, ho sollecitato io di mandarlo via da Saipem, perciò ha rancori contro di me».
Solo con la motivazione della sentenza tra 15 giorni si capirà se le ragioni dell'illegittimità del licenziamento abbiano riverberi sulla vicenda generale. Per ora una portavoce di Saipem dichiara che «il giudice del lavoro ha accolto solo una parte delle domande di Varone per 8 milioni verso Saipem, in quanto secondo il giudice il licenziamento sarebbe stato recapitato ad un domicilio diverso da quello indicato da Varone alla società. Saipem si appellerà e confida che le sue complessive ragioni di credito verso Varone vengano presto accertate anche a seguito di altre iniziative giudiziarie».