IL GIOCO DEL ‘LOTTO’ - VI CHIEDETE PERCHÉ LE DONNE STIANO SCIOPERANDO OGGI? IL MOVIMENTO È NATO IN ARGENTINA ED È STATO GALVANIZZATO DALLE MARCE ANTI-TRUMP COL BERRETTO ROSA (GIÀ DIVENTATO OGGETTO DA PASSERELLA MISSONI). I SINDACATI ITALIANI SCOPIAZZANO SENZA UN VERO MOTIVO - MEZZI PUBBLICI FERMI E SCUOLE CHIUSE? UN DISASTRO PER LE DONNE CHE NON SI POSSONO PERMETTERE UN’AUTO O UNA TATA
1. 8 MARZO: E SE A SCIOPERARE FOSSERO GLI UOMINI?
Alley Oop per www.ilsole24ore.com
Per la festa dell’8 marzo, è stato indetto uno sciopero globale delle donne contro le violenze e le discriminazioni di genere. L’idea è stata lanciata dal movimento americano Women’s march (quello della marcia delle donne contro Trump); in Italia, il testimone è stato raccolto dalla rete Non una di meno, che ha incassato l’adesione di parecchie sigle sindacali tra cui la Cgil.
Un’idea nobile. Ma non sarebbe stato meglio se, contro le violenze di genere, a scioperare fossero stati solo gli uomini?
Le donne sono quelle che guadagnano di meno. Sono quelle che le violenze le subiscono. E poi? Non basta il danno, arriva anche la beffa: via con un giorno in meno di stipendio in busta paga. I diritti non hanno prezzo, è vero. Ma perché rimetterci anche economicamente? Un conto è una manifestazione, altro conto uno sciopero. Perché chiedere alle donne di scioperare contro la violenza? Meglio scendere in piazza o un’altra forma di protesta che non penalizzi economicamente.
L’obiezione corre fra un post e un commento sui social e sono soprattutto le donne a lamentarsi. ” Un giorno senza donne…ma con tante mamme ad occuparsi dei figli xchè sciopero asilo/scuola…ma che senso ha? Come si fa a prendere un giorno di permesso per un giorno dal ruolo di mamma?” commenta una. “Cioè mi state dicendo che mercoledì #ottomarzo le scuole scioperano, i mezzi scioperano per sostenermi come donna?” twitta un’altra. E la valanga è andata crescendo lungo la giornata.
L’8 marzo, poi, è il giorno dei diritti di tutte le donne. Non solo di quelle che economicamente possono permettersi lo sciopero. O si rischia di trasformare una protesta sacrosanta in un movimento classista. Come ha fatto notare Quartz, secondo il quale sciopereranno solo le donne privilegiate.
D’altra parte, pensiamo a chi è oggetto di violenze: se ha trovato le forze di rompere le catene ed è andata via di casa, si trova magari da sola o con figlia a doversi mantenere. Come permettersi otto ore di sciopero per poi magari far fatica ad arrivare a fine mese? Perché scegliere un metodo di protesta che non permette proprio alle vittime di protestare?
Fermiamoci un attimo, allora. Chiediamo agli uomini di scioperare al posto nostro. Sono loro gli autori della violenza contro le donne e forse una loro presa di posizione forte in questa direzione farebbe sentire isolati i violenti. E con un giorno in meno di busta paga, simbolicamente per un mese, accorceremo anche le distanze del gap salariale di genere. Due obiettivi con un solo atto.
2. SCIOPERO DELL’8 MARZO: TREMATE LE FEMMINISTE SON TORNATE
Lidia Baratta per www.linkiesta.it
Meno mimose, più lotte. Quest’anno l’8 marzo, giornata internazionale della donna, si festeggia con uno sciopero globale. Le donne di quasi 50 Paesi (le adesioni aumentano di giorno in giorno) incrociano le braccia e scendono in piazza per protestare contro la violenza e la disuguaglianza di genere.
Una rete femminista partita dall’Argentina, che in Italia ha accolto l’invito tramite il gruppo “Non una di meno”, nato in occasione delle manifestazioni di novembre dopo la contestatissima campagna di comunicazione del Fertility Day. Le ultime ad aderire sono state le americane della Women’s March contro il presidente Donald Trump.
«Nel mondo si sta facendo largo un inedito ciclo di lotte il cui fulcro è il pensiero femminista, in tutte le sue mille sfaccettature», spiegano da “Non una di meno”. Le richieste sono trasversali, coinvolgendo diversi settori, da quello sanitario a quello culturale. Nel documento degli 8 punti per l’8 marzo si ribadisce «il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessimo, razzismo, omo e transfobia».
Il tema non è solo la violenza maschile, per la quale l’Italia è stata appena condannata dalla Corte europea dei diritti umani per non aver agito con rapidità per proteggere una madre e un figlio. Si chiede più sostegno ai centri antiviolenza, ma anche la piena applicazione della legge 194 sull’aborto, l’accesso alla pillola abortiva Ru486, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro (in Italia tra le più basse d’Europa). Allo sciopero hanno aderito diversi sindacati, dai Cobas alla Flc Cgil, con l’astensione dal lavoro nel settore pubblico e privato, che riguarderà anche i trasporti. Sono coinvolti anche gli studenti delle scuole e delle università.
Si terranno cortei, flash mob e assemblee nelle piazze, da Nord a Sud, negli ospedali e nei luoghi di lavoro. Nessun centro antiviolenza, in prima linea nella lotta alla violenza sulle donne e spesso senza sostegno pubblico, accetterà gli inviti istituzionali delle manifestazioni rituali dell’8 marzo. «Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo», è lo slogan.
Il movimento internazionale nasce dall’Argentina dove, dopo lo stupro ripetuto e l’uccisione della 16enne Lucia Perez, a ottobre migliaia di donne hanno proclamato lo sciopero. E lo stesso è successo in Polonia contro la legge anti-aborto votata dal Parlamento. Il nome del movimento italiano “Non una di meno” deriva proprio dal gruppo argentino Ni una menos. Le giornate del 26 e 27 novembre a Roma sono state il primo test, con un corteo e un’assemblea nazionale organizzati da tre associazioni femminili italiane: la rete romana “Io Decido”, l’associazione Dire dei centri antiviolenza e l’Udi, Unione donne in Italia.
Il summit è proseguito poi il 4 e 5 febbraio scorsi a Bologna, dove nelle aule dell’università sono arrivate quasi 2mila donne – studentesse, lavoratrici, mamme – per la riscrittura dal basso di quello che chiamano il “piano femminista contro la violenza”, alternativo al piano straordinario scritto dal governo. E dopo lo sciopero dell’8 marzo, si daranno di nuovo appuntamento a Roma il 22 e 23 aprile per elaborare entro giugno un testo unico. Che però non diventerà una proposta di legge, precisano.
«Assistiamo a una ripresa straordinaria del femminismo degli anni Settanta», ha spiegato Lea Melandri, presidente della Libera Università delle donne in occasione della presentazione delle manifestazioni milanesi. «Esigenze radicali riguardanti la sessualità, l’aborto, la salute riproduttiva, il lavoro tornano a emergere con maggiore concretezza rispetto al passato.
E una nuova generazione di giovani donne compare sulla scena pubblica in maniera imprevista, riuscendo a tenere insieme le tematiche che finora hanno visto il femminismo frammentato e a trovare per la prima volta i nessi tra la violenza maschile privata e la sfera pubblica. C’è un richiamo alle pratiche e alle teorie del femminismo. Magari le giovani non le conoscono, ma è la radice della loro libertà». Con la novità «che non c’è uno scontro generazionale come negli anni Settanta, ma si lavora insieme».
Nelle assemblee si parla di «patriarcato». Le studentesse chiedono «una rivoluzione culturale contro il sistema patriarcale» e un’educazione alle questioni di genere. Si vede anche sventolare qualche pugno chiuso. Si recitano e si preparano slogan e cori. Accanto alle venti-trentenni, siedono quelle con i capelli bianchi che in piazza sono scese tante volte.
«Il femminismo non è morto», dicono, «ma non deve fermarsi all’8 marzo». L’hashtag scelto per i social è #lottomarzo. «Non sarà una giornata di festa, ma di lotta». Da Nord a Sud, a poche ore dalla festa delle donne, nuove città si aggiungono alla lista delle adesioni. E alle 18, allo stesso orario, in tutta Italia partiranno i cortei. «Una manifestazione serale per tenere insieme le esigenze di tutte le lavoratrici», dicono, «anche quelle precarie, che non possono permettersi una giornata di sciopero». Se di nuovo femminismo si tratta, sta di sicuro con i piedi per terra.
Nei video realizzati dalla creative producer Chloé Barreau si immagina come sarebbe il mondo se le donne si fermassero. Ecco un esempio:
3. L’INFERIORITÀ DELLO SCIOPERO
Filippo Facci su Facebook
Stiamo per scrivere una cosa banale, ma meno banale dell'ideona lanciata da «Lotto marzo» per la Giornata internazionale della donna: uno sciopero generale.
In teoria è una roba internazionale organizzata soprattutto da Women’s March, il movimento responsabile delle proteste contro Donald Trump del 21 gennaio scorso, ma a noi interessa la versione italiana, a cura del gruppo «Non una di meno». L'idea di fondo naturalmente è sempre la stessa, e andrebbe benissimo: ossia protestare contro le disuguaglianze presenti nel mondo, più o meno. Però, soprattutto in Italia, le donne (certe donne) non lavoreranno e non compreranno nulla, questo ufficialmente per evidenziare il loro lavoro e i loro consumi: uno sciopero, appunto.
Senza voler eccepire a tutti i costi, e senza entrare in particolarismi, si può aderire a tutte le battaglie genericamente messe sul tappeto, anzi è un dovere: il divario sessuale tra gli stipendi, i boicottaggi a chi vuole accedere all'interruzione di gravidanza, la violenza specifica degli uomini contro le donne, eccetera. Se invece si vuole eccepire, ed entrare in particolarismi, girano subito le palle perché alla fine si risolverà tutto in qualche corteo cui hanno già aderito i Cobas, Slai Cobas, Sial Cobas, Confederazione dei Comitati di Base, Usi, Usi-Ait, Usb, Sgb, Flc e naturalmente Cgil.
Il tutto con tutte le conseguenze che siamo abituati ad associare a uno sciopero, a qualsiasi sciopero: caos nei trasporti e un po' di insegnanti a spasso. Grande novità. Come ha già scritto Simona Bertuzzi, l'astensione dal lavoro porterà un sacco di lavoro soprattutto a supplenti e babysitter, questo mentre altre sfileranno «smutandate in passamontagna» come in un locale di scambisti.
Il tutto senza contare il formidabile potere divisivo di certe sigle: milioni di italiani, per dire, non scenderebbero in piazza con Cgil e Cobas neppure se ci fosse da opporsi all'invasione marziana della Terra. Il problema è vecchio, e il modo di non farsi metabolizzare dalle sigle che aderiscono a una manifestazione si può sempre trovare, o provarci: non l'hanno fatto, ci pare.
In ogni caso: va bene che certe sigle rispondono «sciopero» anche se chiedi che ore sono, ma che vuol dire uno sciopero? In genere, uno sciopero, lo fai contro un datore di lavoro per richiedere dei diritti negati, e serve a creargli dei danni economici o pratici. In questo caso la controparte qual è? Lo Stato? Il sistema? Gli uomini? In teoria siano noi tutti, perché i danni potremmo subirli tutti, tutta la cittadinanza: così, per non sbagliare. Insomma , non è chiaro se sia uno sciopero camuffato da manifestazione o una manifestazione camuffata da sciopero.
Per il resto, ci limitiamo a queste poche obiezioni per non incedere in vecchie banalità: tipo il dubitare, fortemente, dell'utilità di certe manifestazioni alla causa che promuovono. L'emancipazione della donna è e resterà inarrestabile, ma avrà tempi che non saranno certo i residuali femminismi ad accelerare, bensì la pratica quotidiana e i comportamenti. In Italia le donne hanno raggiunto parità di presenza (o superato gli uomini) in professioni come magistratura, avvocatura, medicina e, con il discutibile aiuto delle quote rosa, anche in politica e nei consigli di amministrazione delle società di Borsa. Come tanti uomini, se ingolfate dal millesimo sciopero, oggi malediranno l'asessuata idiozia del genere umano.