GIORGIA MELONI NON CONTA UN CAZZO IN EUROPA DOVE CONSIDERANO PIU’ AFFIDABILE LA POLONIA! DIETRO L’ESCLUSIONE DELLA DUCETTA DAL VERTICE DI BERLINO SULL’UCRAINA C’E’ LA DIFFIDENZA CHE LA DUCETTA SUSCITA A PARIGI, BERLINO E VARSAVIA. MACRON HA IL DENTE AVVELENATO CON MELONI DOPO L’ASSENZA DELLA PREMIER ITALIANA AL VERTICE SULL’UCRAINA DEL 26 FEBBRAIO ORGANIZZATO DALLA FRANCIA (ANCHE IL G7 A GIUGNO IN ITALIA HA CREATO MALUMORE ALL’ELISEO) – IL PREMIER POLACCO TUSK NON DIMENTICA CHE LA PREMIER È ALLEATA IN EUROPA DEL SUO NEMICO MORAWIECKI. E SCHOLZ SI FIDA POCO DI UNA LEADER CHE CORTEGGIA GLI IMPRESENTABILI ORBÁN E ZEMMOUR. IN EUROPA LA FURBIZIA E I BLUFF DELLA MELONI NON PAGANO – IL BLA BLA SULLE ARMI ALL’UCRAINA DELLA DUCETTA: DAGOREPORT
DAGOSPIA
Anais Ginori,Tonia Mastrobuoni per la Repubblica - Estratti
«Il triangolo Parigi-Berlino-Varsavia riceverà un’attenzione crescente. Penso che le tre capitali abbiano il compito e il potere per mobilitare l’Europa intera». Gli equilibri nel continente stanno cambiando. Parola di Donald Tusk. E c’è da fidarsi: il premier polacco è un asso della diplomazia.
(...) Ora che Tusk è di nuovo premier, vuole anche tornare nel cuore dell’Europa, e il rilancio del formato Weimar serve anzitutto a questo. Ma a Roma, come dimostra l’irritazione del ministro della Difesa Guido Crosetto trapelata nell’intervista a Repubblica, una coalizione che escluda l’Italia, e per giunta nell’anno della presidenza del G7, non piace affatto.
Un tempo, quando Francia e Germania litigavano, all’Eliseo guardavano in direzione dell’Italia. Ora Macron ha preferito chiamare la Polonia, Paese considerato ben più strategico nell’attuale contesto geopolitico. Non ci sono problemi con il governo Meloni, ripetono all’Eliseo. Se in questa fase i due leader fanno attenzione a non attaccarsi frontalmente, i punti di attrito restano. E persino l’organizzazione del G7 a giugno in Italia ha creato malumore a Parigi: il summit è stato fissato una settimana dopo le cerimonie previste per l’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia. Il 6 giugno Macron ha invitato una ventina di capi di Stato e di governo ma la presenza di Joe Biden non è ancora confermata. Difficile che il presidente americano possa partecipare a due trasferte in Europa a così stretto giro, né è pensabile che in piena campagna elettorale si assenti per una settimana dagli Usa.
L’esclusione dell’Italia nelle discussioni del formato Weimar può anche essere considerata come la conseguenza dell’assenza della premier italiana al vertice sull’Ucraina del 26 febbraio organizzato dalla Francia. Proprio il summit in cui Macron ha formalizzato la sua «ambiguità strategica» sulla Russia, con il «non escludere » l’invio di truppe sul territorio ucraino. Il punto è che Giorgia Meloni suscita diffidenza a Parigi, Berlino e Varsavia. Tusk non può dimenticare che la premier è presidente dei Conservatori europei e stretta alleata del suo acerrimo nemico, quel Pis che lo ha sempre accusato di essere una “spia tedesca”. E a Berlino la Spd di Olaf Scholz non fa mistero di fidarsi poco di una leader che flirta con i Popolari di Weber e corteggia allo stesso tempo gli “intoccabili” Orbán e Zemmour. In Europa la furbizia non paga. È sinonimo di inaffidabilità. E con un nemico sempre più minaccioso alle porte, ossia la Russia, la politica dei due forni preoccupa.
E, a proposito di nemici alle porte: anche la prospettiva di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca costringe gli europei a serrare i ranghi. Una parte delle mosse di Macron anticipano già il sisma che potrebbe crearsi con il ritorno di Trump alla Casa Bianca. E anche lì il governo a Roma non offre particolari garanzie. Matteo Salvini si è già schierato con il leader repubblicano. E in Fratelli d’Italia molti hanno fatto lo stesso. In teoria, Meloni potrebbe fungere da mediatrice con l’erratico Trump, come ha fatto con Orbán durante la recente trattativa per l’avvio dei negoziati sull’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Ma in Europa le alleanze si rinsaldano sulle affinità, e quelle scarseggiano tra il triangolo di Weimar e Roma.
RISERVE AL LIMITE E NESSUN CONTRATTO NUOVO LO STALLO DELL’ITALIA SULLE ARMI ALL’UCRAINA
Antonio Fraschilla per la Repubblica - Estratti
Abbiamo dato mezzi in gran parte vecchi, ma utilissimi all’inizio della guerra. Poi abbiamo dato pochino, se non un sistema antimissilistico di nuova generazione. Ma il futuro prevede praticamente il nulla, considerando che siamo al limite con le riserve di armamenti e non abbiamo in corso contratti con produttori del settore per dare mezzi e materiale a paesi terzi. Il supporto dell’Italia all’Ucraina sul fronte militare si sta riducendo e non ci sono cambi di scenario a breve.
Di certo c’è che a oggi negli otto pacchetti di aiuti all’Ucraina inviati dai governi Draghi e Meloni in Parlamento non è stata prevista alcuna spesa aggiuntiva per il bilancio dello Stato: ma l’utilizzo di materiale già in possesso di esercito, marina e aeronautica per un valore, stimato da fonti non ufficiali, di circa 2,2 miliardi di euro. Soldi che saranno coperti in parte dall’Europa che ha destinato un pacchetto di aiuti da 5,5 miliardi di euro per rifornire i magazzini dei Paesi Ue che hanno dato sostegno all’Ucraina.
Nel 2022, con il governo Draghi, sono stati dati mezzi datati ma che nell’emergenza della guerra erano molto utili: un centinaio di semoventi ammodernati con l’aiuto degli americani, lanciarazzi e cannoni in dotazione all’esercito da venti e trent’anni.
(...)
Ma dal 2023 la linea ribadita dal governo italiano è stata quella di «non dare mezzi offensivi ma solo di difesa». Così oltre ad equipaggiamento per attacchi chimici e nucleari e ai missili per la contraerea Aspide terra-aria e lanciarazzi di tipo Milan, l’Italia non ha dato altro. Anche perché per non andare sotto le riserve minime da garantire all’interno del sistema Nato, altro non abbiamo nei magazzini. «Il problema è che non abbiamo risorse illimitate — aveva già detto il ministro Guido Crosetto lo scorso dicembre prima di portare in Parlamento l’ottavo, e al momento ultimo, pacchetto di aiuti — e l’Italia ha fatto quasi tutto ciò che poteva fare e non esiste molto ulteriore spazio».
Il problema dunque riguarda il futuro. A oggi non è in discussione in Consiglio dei ministri un pacchetto di aiuti che preveda anche investimenti con l’avvio di contratti per l’acquisto di armi. Inghilterra, Francia, Germania e Finlandia stano investendo centinaia di milioni per produrre armi da destinare all’Ucraina rendendo anche pubblici gli elenchi. L’Italia al momento no: ed è l’unico grande paese Ue che non ha contratti in corso per la produzione di armi da destinare a Kiev né ha mai reso pubblici gli elenchi con il dettaglio dei rifornimenti allegati agli otto pacchetti di aiuti già approvati dal 2022 a oggi.