1. IL GIUDICE (FALCONE) E IL SUO BOIA (BRUSCA) - UNA TRAGEDIA ALL’ITALIANA CHE VIENE DA LONTANO E SMASCHERA IL POTERE DI UN SISTEMA TRIBUNALESCO NATO DA MANI PULITE IN CUI VIGE ANCORA IL PENTIMENTO A OROLOGERIA PER FARE TABULA RASA DI UNA CLASSE POLITICA
2. NEI GIORNALI DI ‘’SBATTI IL MOSTRO’’ (POLITICO) IN PRIMA PAGINA IL KILLER Di FALCONE E DELLA SUA SCORTA A CAPACI E’ DIVENTATO IL PADRINO (RAVVEDUTO) DELLA COSCA ACCANTO
3. E IN ATTESA DELLA RIFORMA, CHE NON VERRÀ, ANCHE IL GIUDICE FALCONE FU VITTIMA DELLA GUERRA DELLE CORRENTI NEL CSM, PUGNALATO ALLE SPALLE DAI PM DI MILANO, SIMBOLO DI MANI PULITE, CHE DIFFIDAVANO DI LUI NELLA CORSA A PROCURATORE CAPO DI PALERMO
DAGONOTA
Dura lex sed lex. Ai media e ai molti postillatori (compresi i suoi ex colleghi di lavoro) basta una sentenza latina per voler mettere fine alla cupa tragedia che si è consumata alla vigilia delle festa della Repubblica (solo una lugubre coincidenza?): l’uscita dal carcere con il fine pena del killer mafioso del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta a Capaci.
Nonché il responsabile materiale di oltre 150 omicidi tra i quali lo scioglimento nell’acido di un bambino, Giuseppe Di Matteo, il cui padre Santino stava pentendosi in tribunale. Il profilo criminale di Giovanni Brusca, troverebbe una giusta collocazione in quell’atlante dei “mostri” classificato a suo tempo dal medico e antropologo, Cesare Lombroso.
E di tragedia si tratta in cui alla fine la vittima è soltanto la Giustizia. Neppure la trilogia di Eschilo scritta nel 460 a.C, avrebbe potuto mettere in scena un’Eumenidi in cui l’Aeròpago, l’istituzione tribunale che nonostante le furia accusatrice delle Erinni, oltrepassa l’antica legge del taglione per pronunciare infine un verdetto assolutorio per Oreste-Brusca a seguito dello scambio di ragionamenti razionali (pentimento e collaborazione).
“L’ingiustizia si sopporta con relativa facilità. Quel che fa male è la giustizia”, ammoniva il saggista americano Henry Louis Mencken. Una giustizia che a un quarto di secolo dall’inizio di Mani pulite, attraverso il rovesciamento degli stessi dieci comandamenti della Chiesa, ha promosso nell’immaginario collettivo (e con le accuse) il rubare (tangenti) a crimine penalmente forse più grave e rilevante dall’uccidere.
Lo stesso ordine delle pene e delle indagini è stato invertito: la presunzione d’innocenza sostituita con la carcerazione-confessione. E la gogna mediatico-giudiziaria è stata innalzata dai giornali dei poteri marci per fare tabula rasa di una classe politica e dirigenziale.
L’uscita dal carcere in semilibertà di Brusca non fa che allargare una ferità già apertasi sulla credibilità (perduta) nel nostro sistema giudiziario. Nel recente sondaggio Ipsos pubblicato dal “Corriere della Sera” nel giro di undici anni la fiducia nei magistrati è passata dal 66 al 39 per cento.
L’ultimo “potere” (o Casta) sopravvissuta alla cosiddetta “rivoluzione italiana” annunciataci via stampa e dalle tv. Un “potere” diventato tale, e non un ordine dello Stato indipendente come dovrebbe essere per la Costituzione e non come vorrebbero farci credere. Un “potere assoluto” che con il suo organo di autocontrollo (Csm) si autopromuove e si autoassolve nel gioco delle correnti o delle logge.
L’affaire Palamara-Davigo-Amara con i loro indecenti balletti in tv è soltanto l’ultimo atto delle lotte intestine tra le correnti al Consiglio superiore della magistratura. Un meccanismo-tritacarne che, vale la pena ricordarlo, nella stagione siciliana dei corvi ha stritolato pure il povero Giovanni Falcone, ch’è stato soltanto uno degli ispiratori della legge sui collaboratori di giustizia che ora manda libero il suo boia Brusca. A capo della procura di Palermo la corrente di sinistra di Magistratura democratica gli preferì Antonino Mele. Una coltellata alla schiena inferragli anche dai pm di Mani pulite.
«Tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale?”, ricorderà quella stagione tormentata Ilda Boccassini. E ancora: “Giovanni è morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano, che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati. Giovanni mi ha telefonato e mi ha detto: Non si fidano neppure del direttore degli Affari penali”.
Già, nel giorno dei rimorsi di Brusca per i media è meglio dimenticare la Palermo dei veleni, dei corvi e delle contrapposizioni. “Giusto pensare per iscritto” sosteneva Voltaire, ma il mestiere d’informare, aggiungeva il filosofo Jean Francoise Revel, “comporta obblighi precisi” anche per la stampa in un sistema democratico.
Ma anche sul “caso” Brusca è tutto uno sragionare in punta di diritto e di rovescio. “C’era la legge, ha funzionato”, azzarda l’ex pm Giuseppe Ayala perdendo di vista l’orrore della tragedia percepito dalla pubblica opinione.
Quasi a voler giustificare quella che, sempre per Revel attento osservatore della vita dei tribunali, è una giustizia che alla gente “appare impersonale, inumana e meccanica”. Ed è quello che pensa davvero il popolo. “Del pentimento di Brusca mi importa poco. E’ un patto con lo Stato che credo utile. Ma la più umiliante violenza per i morti di Capaci è che lui è libero e la verità prigioniera”, osserva tagliente Claudio Fava, il figlio di Pippo ucciso dalla mafia.
Le reazioni indignate dei familiari delle vittime di Cosa nostra, però, sono schiacciate sul Corrierone dal fiume di piombo del video-racconto di Giovanni Brusca. Camuffato come un narcotrafficante colombiano, il killer di Falcone chiede perdono ai parenti degli uccisi. Di che si tratta? Di un mea culpa spontaneo o di una messinscena imposta dal programma di collaboratore di giustizia?