GIUSTIZIA PRIVATA, VENDETTA PUBBLICA - I PALESTINESI MANIFESTANO PER L'UCCISIONE DEL GIOVANE MOHAMED - E IL GOVERNO NETANYAHU NON HA ANCORA DECISO LA RAPPRESAGLIA ‘UFFICIALE’: ENTRARE A GAZA O DEMOLIRE LE CASE DEI TERRORISTI?
1. UCCISO RAGAZZO ARABO, RIVOLTA A GERUSALEMME
Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
Le granate assordanti rimbombano nella moschea. Le preghiere non si fermano come gli scontri tra arabi e poliziotti israeliani che fuori vanno avanti da ore. Da quando nel quartiere di Shuafat sono cominciate a girare le voci che il corpo trovato carbonizzato nella foresta attorno a Gerusalemme sia quello di Mohammed, che il giovane palestinese sia stato ucciso per vendetta.
È quello che pensano i parenti: «È un crimine dei coloni, la rappresaglia per l’uccisione dei tre ragazzi israeliani», dice il cugino Said. È quello che ripete Abu Mazen, il presidente palestinese: «Sono stati loro, il premier Benjamin Netanyahu adesso deve dare la caccia ai responsabili». È quello che temono i politici israeliani che si affrettano a condannare ogni forma di ritorsione personale.
Gli amici avevano avvertito il padre di Mohammed all’alba: «È stato rapito, lo hanno costretto a salire su un’auto». Le telecamere sul negozio di famiglia hanno ripreso la scena, è uno degli elementi su cui lavora la polizia. Che per ora continua a mantenere aperte tutte le ipotesi: l’omicidio potrebbe avere motivazioni non politiche. «Mi hanno detto che pensano a una lite all’interno del clan, a questioni di onore — dice l’imam della moschea —. Non è possibile, l’ultima disputa tra cugini è stata due anni fa e sono stato io a mediare la riconciliazione».
Mohammed Abu Khudair aveva sedici anni. Ieri si è svegliato alle 3.30, ha consumato il piccolo pasto prima della preghiera, ha giocato al computer con il fratello, è uscito per andare in moschea. È stata l’ultima volta che la madre Suha lo ha visto. Un’auto sarebbe arrivata dalla direzione della colonia di Pisgat Zeev — dicono i testimoni — e avrebbe compiuto un’inversione per avvicinarsi al ragazzo. «Quando abbiamo capito che lo stavano portando via — ci siamo messi a urlare e abbiamo provato a inseguirli».
Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, promette di trovare i colpevoli di quello che John Kerry, segretario di Stato americano, definisce un «crimine efferato»: «Quelli che intraprendono azioni di vendetta finiscono solo per destabilizzare una situazione già esplosiva». Al tramonto le sirene sono suonate nel sud di Israele: la fine della giornata di digiuno per il mese di Ramadan è coincisa con i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza.
Il palo del cartello stradale usato come clava non basta a distruggere quel che resta della pensilina. Qui passa il treno leggero che attraversa Gerusalemme. Adesso sono solo fiamme e la nebbia dei gas lacrimogeni. I palestinesi sospettano che qualunque straniero o faccia sconosciuta possa essere un agente israeliano. Minacciano, fermano, perquisiscono. Gli scontri sono andati avanti fino alla notte, i feriti sono almeno settanta, l’asfalto coperto dalle pietre lanciate sembra bianco.
La casa di Mohammed sta in mezzo alla violenza. La madre nomina tutti i suoi figli, sette, uno dopo l’altro fino a quello che non tornerà. La polizia ha portato lei e il marito Hussein nella caserma in centro, ha prelevato la saliva per i test del Dna. Per riavere il corpo devono aspettare l’autopsia, i funerali sono previsti per oggi.
«I palestinesi non hanno bisogno di aspettare i risultati del medico legale — scrive Amos Harel sul quotidiano Haaretz —. A differenza degli investigatori non hanno dubbi su chi e perché abbia commesso l’omicidio». Martedì sera, dopo i funerali dei tre ragazzi israeliani uccisi in Cisgiordania, gruppi di estremisti ebrei hanno marciato per le strade di Gerusalemme gridando slogan razzisti e attaccando chi sembrava arabo.
2. DENTRO GAZA O DEMOLIRE CASE? ISRAELE È INCERTO SULLA RISPOSTA AD HAMAS
Da “Il Foglio”
“Entrare a Gaza o demolire le case dei terroristi?”. E’ la domanda che circola nell’establishment di sicurezza d’Israele nella risposta all’uccisione dei tre studenti, e pure l’incontro di ieri sera è risultato inconcludente. Il governo di Benjamin Netanyahu è diviso sulle misure contro Hamas, mentre a Gerusalemme est esplode la protesta araba dopo il ritrovamento del cadavere di un ragazzo palestinese di 17 anni.
“Resta da capire se sia un gesto criminale o nazionalistico”, ha detto il ministro della Sicurezza, Yitzhak Aharonovich. Ma la condanna dell’atto è stata unanime, gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione molto dura, anche il governo israeliano ha detto che nessuno deve pensare di poter far giustizia da sé. Il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e quello dell’Economia, Naftali Bennett, vogliono una operazione militare contro Hamas a Gaza “sulle stesse linee della campagna di Jenin”, che nel 2004 pose fine agli attentati suicidi. Ovvero entrare a Gaza.
Altri ministri, per ora maggioritari e guidati da Yair Lapid e Tzipi Livni, vogliono una “punizione mirata” come deterrente per futuri tentativi di rapimento e la fine dei lanci di razzi. Il commento di ieri di Debka serve a capire l’umore dei falchi: “Il bombardamento di edifici vuoti a Gaza darà a Hamas un assegno in bianco per rapire altri israeliani e lanciare missili, non convincerà Abu Mazen a rompere il patto di unità con Hamas e a garantire la sicurezza a un milione di israeliani sotto i razzi”.
Il governo ha deciso di peggiorare le condizioni nelle carceri per i prigionieri di Hamas. E valuta la deportazione dei capi del terrore dalla Cisgiordania a Gaza. Il ministero della Giustizia e la Corte suprema hanno dato parere positivo, anche se la Convenzione di Ginevra vieta i trasferimenti. Israele aveva sospeso questa misura persino durante i giorni più sanguinosi della Seconda Intifada.
“Se Israele dovesse riprenderla oggi, avrebbe difficoltà a difenderne la legalità”, dice Aeyal Gross, giurista all’Università di Tel Aviv. La deportazione è un’arma a doppio taglio: in esilio, i capi del terrore sono più liberi di organizzare attentati, senza la vigilanza dello Shin Bet. Per adesso, ci si concentra così sulla demolizione delle case.
Ieri l’esercito è tornato a usare le ruspe contro le case dei terroristi. Non accadeva dal 2005, quando un documento dell’esercito le reputò “controproducenti e illegali”. Ieri è stata demolita la casa di Ziad Awad, il terrorista che ha ucciso Baruch Mizrahi lo scorso 14 aprile. Poi è saltata in aria la casa di Marwan Kawasme, uno dei terroristi di Hamas accusati di aver ucciso i tre ragazzi israeliani. Come ha detto Joel Singer, già consulente legale dell’esercito, “alla fine della giornata, qualunque cosa tu faccia, devi bilanciare legalità e deterrenza, in modo da avere la botte piena e la moglie ubriaca”.
La politica di abbattimento delle case fu avviata dall’ex premier Yitzhak Rabin, che disse: “Chi ci attacca deve sapere che mette a repentaglio la sua famiglia”. Israele ha demolito 669 case finora come punizione per attacchi terroristici, fino a quando la pratica è stata interrotta nove anni fa. Allora il ministero della Difesa, su suggerimento del generale Udi Shani, disse che le demolizioni non avevano un effetto deterrente ma anzi, fomentavano odio.
IL SOSTEGNO ECONOMICO AL TERRORE
Non è d’accordo il governo Netanyahu. “C’è un intero sistema di sostegno economico per il terrorismo”, ha detto ieri un funzionario del gabinetto di Sicurezza. “Una casa può essere ricostruita, ma livella un po’ il campo da gioco”. L’esercito ha descritto la demolizione delle case come “un messaggio ai terroristi: il prezzo sarà pagato da tutti”.
Famiglie comprese. Shai Nitzan, che ha difeso le demolizioni presso la Corte suprema, ha affermato che “la famiglia è un fattore centrale nella società palestinese” e colpirla scoraggia i terroristi. Spiega Daniel Byman, autore di “A high price”, “il dolore delle distruzioni di case è considerevole. In una zona povera, perdere una casa significa perdere tutto”. Ma per il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, le demolizioni sono efficaci solo se Israele controlla il territorio.
Altrimenti i gruppi armati ricostruiscono una casa più grande per la famiglia, e il presunto deterrente diventa un incentivo. Il danno di immagine per Israele è alto. Il ministro della Giustizia Yosef “Tommy” Lapid, padre dell’attuale leader politico Yair, disse: “Ho visto in televisione una vecchia tra le macerie della sua casa a Rafah alla ricerca di una medicina. Mi ha ricordato mia nonna cacciata di casa durante l’Olocausto”. Così spesso Israele anziché demolire le case, le riempie di mattoni e malta, rendendole inutilizzabili.