GOD SAVE BANANA! GLI UTILI DEL “FATTO” SALGONO SOLO QUANDO SILVIO E’ IN FORMA
Franco Bechis per liberoquotidiano.it
Ah... quando c'era Lui, caro lei! Che rimpianto per Silvio Berlusconi a palazzo Chigi: fino all'ultimo giorno ci ha fatto fare affari meravigliosi. Eravamo gasatissimi, i nostri conti correnti lievitavano. Poi un triste giorno di novembre 2011 è finito tutto. Così siamo andati in depressione come tutti gli italiani, ma quelli che ci compravano più di ogni altro.
Addio età dell'oro, in un anno solo quasi uno su tre se ne è andato via, facendoci sentire più soli. Ci sentivamo spacciati, e a dicembre scorso abbiamo temuto il peggio. Poi... all'improvviso è tornato Lui. Sì, Lui, Silvio. Quasi quasi stava per tornare da solo al governo e anche noi ci siamo sentiti meglio: grazie a Lui qualcuno è già tornato da noi. Abbiamo evitato il peggio e forse si tornerà come prima...
Non è il sunto di un incontro fra nostalgici azzurri, di quelli che vogliono rifare Forza Italia e cantano a squarciagola «Meno male che Silvio c'è». No: quella sopra è la sostanza della relazione di accompagnamento al bilancio 2012 della Editoriale Il Fatto spa di Marco Travaglio e Antonio Padellaro. Non esageriamo, anche se naturalmente il linguaggio è quello adatto al tipo di occasione.
«Il dato più importante», viene scritto, «per la valutazione dell'andamento aziendale nel 2012 è costituito dalle vendite medie in edicola che sono state di 51.206 copie/giorno. Circa il 28% in meno rispetto alla media del 2011. La flessione sulle vendite in edicola era già iniziata a novembre del 2011, riconducibile allora alla caduta del governo Berlusconi, che senz'altro aveva allentato la tensione e la curiosità di lettura in prospettiva del governo tecnico di Mario Monti...». La caduta è stata così inesorabile fino al mese di dicembre 2012 quando la media «ammontava a 47 mila copie/giorno».
Colpa appunto secondo Il Fatto «al cambiamento dello scenario politico, diventato soporifero». Poi è riapparso Silvio, puntando diritto a un ritorno a palazzo Chigi. E «nei primi tre mesi del 2013 la vostra società ha registrato un miglioramento sull'andamento delle vendite, senz'altro riconducibile al cambiamento dello scenario politico. Nei primi tre mesi le vendite in edicola sono state in media pari a 50.718 copie al giorno e a marzo 54.959 copie/giorno».
Un toccasana per le copie del Fatto e le tasche dei suoi azionisti, il ritorno di Berlusconi. Altro che Monti: il professore in un anno di governo ha fatto precipitare l'utile dell'Editoriale Il Fatto da 4,5 milioni a 753 mila euro, cifra così magra da avere deciso questa volta di non distribuire alcun dividendo agli azionisti (fra cui proprio Travaglio e Padellaro).
Per questo il leader di Scelta civica non sembra apprezzatissimo da quelle parti, tanto che Il Fatto lo spazzola per bene perfino nella relazione al documento contabile depositata alla Camera di commercio. «Con il peggioramento dell'accesso al credito», vi è scritto, «l'introduzione dell'Imu e l'assenza di aiuti all'impresa, l'Italia non è cresciuta, gli italiani sono diventati più poveri, sempre più imprese sono fallite, e i conti pubblici sono tuttora disastrosi. La manovra "Salva Italia" si può intitolare manovra "Affossa Italia"».
Ora il peggio sembra passato, e il ritorno di Silvio sta dando i suoi frutti anche su altre attività. Come si ricorderà la vera svolta di Berlusconi è partita con l'ospitata a Servizio Pubblico di Michele Santoro, e ha dato slancio anche a quella trasmissione. Santoro è prodotto dalla Zerostudio's , in cui l'Editrice il Fatto detiene il 23% delle azioni. La società «nell'esercizio 2012 ha coperto sostanzialmente la perdita dell'esercizio precedente, e prevede di chiudere la stagione a giugno 2013 con un utile considerevole».
Dunque anche da lì torneranno i dividendi nelle tasche degli azionisti de Il Fatto. Con le vacche grasse riportate in dono da Berlusconi, gli azionisti del Fatto ritroveranno anche quella concordia che sempre viene meno nei periodi di crisi.
Nell'ultima assemblea di maggio il gruppo si è infatti diviso su più questioni. Hanno messo in minoranza Bruno Tinti che voleva allargare il consiglio di amministrazione a tutti i soci. Ma sono restati isolati e in minoranza anche Travaglio e Marco Lillo, che si opponevano a una nuova governance e a un possibile cambio di statuto deliberati invece da tutti gli altri soci.