ITALIA CHE NON TORNA – L’ISTAT SEGNA UN CALO INASPETTATO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE E BRUXELLES VUOLE UN ALTRO TAGLIO DEL DEFICIT DA 3,3 MILIARDI, CON LA MINACCIA DI PROCEDURA D’INFRAZIONE – INTANTO MOODY’S CI TAGLIA LE STIME PER IL 2015: NIENTE RIPRESA
Fracesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
L’economia italiana sempre impantanata, le agenzie di rating gufano e la Commissione europea si prepara a chiedere al governo di Matteo Renzi un ulteriore intervento sulle finanze statali. Sullo sfondo le imminenti dimissioni del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che certo non aiutano a restituire, specie sul fronte internazionale, un’immagine di un Paese stabile.
C’è chi giura che la «fuga» anticipata del presidente della Repubblica sia da ricondurre anche al bollettino economico oltre che alle questioni squisitamente politiche. Sta di fatto che pure Bruxelles, nel perenne braccio di ferro con Roma, potrebbe speculare sul cambio della guardia al Quirinale. Ma è il quadro macroeconomico, sempre da allarme rosso, a creare le maggiori preoccupazioni a palazzo Chigi.
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, giura che a ottobre la situazione è migliorata. Per ora, l’Istat ha certificato che a settembre la produzione industriale è calata del 2,9 per cento su base annua (peggior risultato da settembre 2013) e dello 0,9 per cento su agosto. Se Squinzi avrà ragione e nel mese di ottobre si registrerà un’immediata inversione di tendenza, il primo a stappare una bottiglia di Champagne sarà Renzi. Del resto, se il settore industriale sale, il pil aumenta e i parametri europei relativi ai conti pubblici ne traggono benefici immediati: sia il rapporto tra deficit e pil sia quello tra debito e pil migliorano con la crescita economica.
Al contrario, il rischio di una nuova correzione dei conti pubblici sarebbe inevitabile. Previsioni negative le ha squadernate Moody’s. L’agenzia americana, tra le più severe col nostro Paese, avverte che l’Italia potrebbe avere crescita zero anche nel 2015: nel suo Global macro outlook stima una crescita per il nostro Paese tra meno 0,5 per cento e più 0,5 per cento per l’anno prossimo. Moody’s sostiene che le riforme di Renzi avranno impatti positivi, ma modesti e che nel breve periodo aumenterà la disoccupazione con inevitabili contraccolpi sui consumi e quindi sulle prospettive di ripresa.
Dagli Stati Uniti arriva dunque un quadro a tinte fosche e un’ulteriore conferma l’ha fornita la Banca d’Italia: la morsa sui prestiti a famiglie e imprese prosegue seppur a un ritmo più basso; e salgono le sofferenze, vale a dire le rate non rimborsate, arrivate a 176 miliardi a settembre. Nessuna sorpresa, perciò, se l’Unione europea mantiene l’Italia tra gli osservati speciali.
Ora la palla è passata al nuovo esecutivo comunitario di Jean Calude Juncker. Che il 24 novembre voterà le manovre di tutti i paesi dell’eurozona, tra cui la legge di stabilità fatta da Renzi. Per l’Italia si parla di imporre una correzione di altri 3,3 miliardi, in modo da portare nel 2015 l’abbattimento del deficit dallo 0,3 per cento allo 0,5 per cento. Richiesta che sarebbe motivata da un nuovo calcolo fatto dai tecnici di Bruxelles alla luce delle previsioni economiche Ue della scorsa settimana. La correzione messa fin qui in cantiere del deficit non impatterebbe sufficientemente sul debito, che salirebbe ancora violando il Fiscal compact. Al quale anche Renzi si sta impiccando.