KAMALA, MA CHE TE RIDI? – ALDO CAZZULLO: “MA COSA AVRÀ KAMALA HARRIS DA RIDERE TANTO? OGNI SUO COMIZIO È UNA RISATA ININTERROTTA. È UN MODO DI VINCERE LA TIMIDEZZA? O È LA SUA GRANDE SPERANZA CHE RESISTE SINO ALLA FINE, LA SPERANZA DI ESSERE LA PRIMA DONNA PRESIDENTE?” – “ARRIVA SEMPRE VESTITA ALLO STESSO MODO, IN TAILLEUR SCURO. PER PRIMA COSA, RIDE. E CONTINUA PER MEZZ’ORA” – “LEADER FORTE E KAMALA HARRIS NON SONO SINONIMI…” - VIDEO
-
Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”
Ma cosa avrà Kamala Harris da ridere tanto? Ogni suo comizio è una risata ininterrotta.
È un modo di vincere la ti midezza? O è la sua grande speranza che resiste sino alla fine, la speranza di essere la prima donna presidente?
Mettiamola così: nel 2016 un po’ tutti dicevano che avrebbe vinto Hillary Clinton, e vinse Trump; oggi un po’ tutti dicono che vincerà Trump, e Kamala spera. In ogni comizio ripete: «Abbiamo raggiunto il momentum», l’attimo fuggente, l’acme, il culmine, quella fase magica che magari i sondaggisti non colgono e può portare alla vittoria.
Ma davvero c’è uno spostamento verso la Harris? I precedenti insegnano che nei sondaggi Trump è sottostimato. Eppure, nei calcoli di Kamala, proprio le previsioni favorevoli al suo avversario potrebbero indurre i democratici a mobilitarsi. Ieri la Harris ha battuto palmo a palmo un solo Stato, lo Stato decisivo: questo, la Pennsylvania. […]
I suoi comizi funzionano così. Arriva sempre vestita allo stesso modo, in tailleur scuro.
Per prima cosa, ride. E continua per mezz’ora, interrompendo la risata per scandire gli slogan, sempre gli stessi. «Sono ottimista», «sono euforica», «mi batterò per le classi medie», «è tempo di una nuova generazione».
Questa cosa della nuova generazione può sembrare strana, detta da una donna che ha appena compiuto sessant’anni; ma sono pur sempre diciotto meno di Trump. Inoltre, Kamala dimostra decisamente meno della sua età.
Trump ha un viso disteso, anche grazie al chirurgo estetico; i suoi capelli hanno sempre questo colore giallastro introvabile in natura; ma ieri è apparso, se non stanco, appesantito, greve, malfermo. Non è solo perché la Harris è una californiana salutista, e Trump mangia solo hamburger.
Il suo tono è torvo, ripetitivo. Il suo messaggio è rivolto a generare odio e paura. Kamala comunica, o si sforza di comunicare, fiducia. La sua risata può apparire un tic, ma può suscitare empatia; Trump, quando non spaventa, o intimidisce o annoia. […]
Leader forte e Kamala Harris non sono sinonimi. Però la vicepresidente ha retto con dignità un compito durissimo. Non è facile salire sul ring con Trump. Lei l’ha fatto senza attacchi diretti, invocando la solidarietà femminile, che è poi la vocazione della sua vita.
[…] Da procuratrice di San Francisco, Kamala aveva annunciato che non avrebbe mai chiesto la pena di morte. Non fece eccezione neppure per il drogato che uccise a fucilate un poliziotto, Isaac Espinoza.
Al funerale, Dianne arrivò, si sedette accanto a lei, la baciò sulle guance; poi prese la parola, e disse che l’assassinio meritava la pena di morte. La chiesa era piena di poliziotti, che applaudirono. La Harris si sentì tradita. Per mesi, quando la incrociavano in tribunale, gli agenti le voltavano le spalle. Fu dura. Eppure non ha perso lo spirito di sorellanza: i suoi biografi le riconoscono il talento di saper parlare con le vittime di violenze sessuali, con molte è rimasta in contatto per tutta la vita.
Nei comizi ricorda di aver avuto da procuratrice pugno duro con gli stupratori, ma anche con i proprietari di scuole che vendevano corsi di aggiornamento a prezzi truffaldini, con i banchieri che pignoravano le case alla prima rata di mutuo non pagata, con i criminali che tenevano in casa armi senza averne diritto. Ovviamente, quasi tutti maschi.
Oggi sarà anche maschi — in maggioranza per Trump — contro femmine, ma ovviamente Kamala deve rivolgersi anche ai repubblicani: «Io mi fido di tutti gli americani, ognuno di loro per me è un compatriota, di più, è un vicino». Poi ripete come un’eco le proprie parole, anche quattro volte. E giù risate. Ogni tanto dà le spalle alle telecamere per girarsi verso il pubblico e caricarlo; poi si volta, e riprende a ridere.
Si fa seria, o comunque riduce il raggio del sorriso, solo quando torna su uno dei suoi temi forti: «Dev’essere la donna a decidere del proprio corpo, non il governo a dirle quello che deve fare». Non nomina l’aborto; ma la platea capisce benissimo, ed è questo il momento di massimo consenso del suo discorso, proprio come quello di Trump è la minaccia della pena di morte per il clandestino che uccide un americano.
Kamala non parla di sogno, ma di «promessa americana». La sua postura, le sue parole, financo la sua risata vogliono dire essenzialmente una cosa: «Siamo una comunità», quindi nessuno di noi è solo; «quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide», «sarò la presidente di tutti gli americani». Ovvietà da ultimo comizio, certo. Ma contro l’aggressività e la tracotanza di Trump suonano, se non rivoluzionarie, rassicuranti.