KIM MI FERMERA’ - DOPO IL MISSILE INTERCONTINENTALE SPARATO DALLA NORD COREA, LA CASA BIANCA VALUTA L’INVIO DI TRUPPE E AVVIA UN'ESERCITAZIONE MILITARE CONGIUNTA CON SEUL - IL SEGRETARIO DI STATO REX TILLERSON INVOCA "UN'AZIONE GLOBALE" E MINACCIA: "NESSUNO DIA AIUTI ECONOMICI O MILITARI A KIM"
-Federico Rampini per repubblica.it
"Hanno usato un missile intercontinentale": ora l'ammissione arriva dallo stesso Pentagono. A conferma del massimo allarme, ma anche dell'impotenza degli Stati Uniti, di fronte all'ennesima "provocazione" militare della Corea del Nord. Per molte ore i vertici delle forze armate Usa erano stati i più prudenti, perfino reticenti, nel definire l'esatta natura del lancio-test effettuato da Pyongyang.
Solo nella tarda serata di Washington, mentre si concludeva la festa nazionale dell'Independence Day, è arrivata la parola chiave. "Intercontinentale", o in sigla Icbm (Inter-continental ballistic missile): significa che l'ultima generazione di missili lanciata dal regime nordcoreano potrebbe raggiungere in teoria la costa Ovest degli Stati Uniti, per lo meno l'Alaska.
Gli esperti gli attribuiscono infatti un raggio d'azione fino a 6.700 chilometri (anche se il test si è concluso molto più vicino, a poco più di 900 chilometri dalla base di lancio, finendo nel mare tra la penisola coreana e il Giappone.
È una svolta, sono costretti a riconoscere i militari americani. In passato la Corea del Nord aveva effettuato test nucleari - illegali - però non aveva i vettori per trasportare così lontano le ogive atomiche. Gli altri missili usati nei test precedenti avevano gittata breve o intermedia: quindi potevano creare devastazioni terrificanti in due paesi alleati dell'America, la Corea del Sud e il Giappone.
Solo adesso il pericolo balza ad una dimensione superiore, visto che lo stesso territorio nazionale Usa (o almeno la sua estremità nordoccidentale) è diventato raggiungibile se il dittatore Kim Jong-un volesse provarci. Ma che fare? L'unica reazione concreta è stata una sorta di esercitazione congiunta improvvisata dalle forze armate Usa insieme con quelle della Corea del Sud: lanci di missili anche da parte loro, al largo della penisola. Con un commento minaccioso affidato a un comunicato del Pentagono: "La precisione dei colpi consente alla nostra alleanza di raggiungere un ampio raggio di bersagli". Come a dire: se Kim prova ad attaccarci la reazione sarà terribile e fulminante. Un gesto simbolico e nulla più.
Sul piano politico interviene il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, con un appello ad una "azione globale" contro il regime di Pyongyang. "Ogni Paese - dichiara Tillerson - deve dimostrare che la Corea del Nord subirà delle conseguenze". Il richiamo ad un intervento concertato della comunità internazionale si arricchisce di dettagli precisi: "Chiunque dia aiuti economici o militari, oppure ospiti lavoratori della Corea del Nord, o eviti di applicare le sanzioni Onu, sta aiutando un regime pericoloso".
L'allusione, e quindi la pressione, è chiaramente rivolta alla Cina: il paese che ha maggiori relazioni economiche con Pyongyang, e senza il cui supporto la "monarchia rossa" sarebbe allo stremo. C'è però anche un segnale obliquo alla Corea del Sud visto che alcune multinazionali di quel paese hanno promosso programmi di cooperazioni in "zone speciali" con l'utilizzo di forza lavoro dalla Corea del Nord, una fonte di valuta pregiata per il regime comunista.
L'ambasciatrice Usa all'Onu, Nikki Haley, ha richiesto e ottenuto per oggi pomeriggio la convocazione del Consiglio di sicurezza al Palazzo Vetro. E intanto il segretario generale delle Nazioni unite Antònio Guterres ha definito il test "una pesante violazione della risoluzione". Un film già visto tante volte in passato, senza effetti risolutivi.
Nonostante la festività di Independence Day si è tenuto a Washington martedì pomeriggio un vertice di emergenza sulla crisi nordcoreana. Vi hanno partecipato i massimi dirigenti del Pentagono. Ma Donald Trump ne era vistosamente assente, impegnato solo a giocare a golf. Una conferma che il presidente sta ormai delegando tutta la politica strategica ai suoi generali di fiducia. Ma anche un segnale d'imbarazzo perché lo stesso presidente su Twitter aveva definito "impossibile" che Kim si dotasse di un missile intercontinentale; infine una conferma dell'impossibilità a prendere misure immediate ed efficaci.
uando Trump nella sua ultima telefonata a Xi Jinping ha agitato la minaccia che l'America "faccia da sola", i più vi hanno letto un riferimento a ulteriori sanzioni contro le aziende cinesi che fanno affari con la Corea del Nord. Una strada già parzialmente esplorata, fin qui senza risultati. Intanto però il livello del pericolo si è innalzato fino a soglie prima sconosciute.
Interviene anche un ex segretario alla Difesa democratico, William Perry che servì nell'Amministrazione Clinton, a dire che il test del missile intercontinentale "cambia ogni calcolo". Ovverosia: rende impraticabile l'idea di un attacco preventivo da parte degli Stati Uniti, vista la capacità di una rappresaglia che li colpirebbe in casa propria.
2. LA NORD COREA MINACCIA GLI USA
Paolo Mastrolilli per la Stampa
La festa del 4 luglio si è trasformata in un incubo per Donald Trump, costretto a convocare un vertice di emergenza alla Casa Bianca, per valutare le risposte al lancio del primo missile intercontinentale della Corea del Nord. Sul tavolo della «Situation room» c' erano i nuovi piani presentati dal Pentagono per colpire Pyongyang, che potrebbero diventare l' unica strada percorribile, se durante il G20 di Amburgo in programma venerdì e sabato il presidente non riuscirà a convincere Cina e Russia che è venuto il momento di fermare Kim.
Il missile Hwasong 14 lanciato ieri dalla Corea del Nord ha volato per 931 chilometri, ma prima di cadere nel mare davanti al Giappone ha raggiunto la quota di 2800 chilometri. Questo, secondo i calcoli dell' intelligence americana, consente a Pyongyang di definirlo un Icbm, perché se fosse andato in linea retta avrebbe superato il raggio di 5500 chilometri che qualifica i vettori intercontinentali. Così Kim Jong-un ha cambiato completamente la situazione, perché ha dimostrato di poter colpire l' Alaska. Forse non è in grado di montare le venti testate nucleari che possiede sopra i Hwasong 14, e magari la loro gittata non garantisce ancora di raggiungere il territorio americano, ma di questo passo è solo una questione di tempo prima che ci riesca.
Trump quindi deve reagire, ma le sue opzioni sono molto limitate. Ieri ha risposto via Twitter: «La Corea del Nord ha appena lanciato un altro missile. Ma questo tipo, Kim, non ha niente di meglio da fare nella vita? Difficile credere che la Corea del Sud e il Giappone accetteranno questa roba ancora a lungo. Forse la Cina userà la mano pesante con Pyongyang e metterà fine a tanta follia una volta per tutte!».
Il primo problema è che Kim, in effetti, non ha molto di meglio da fare. Ha visto la morte di Gheddafi, dopo la sua rinuncia alle armi di distruzione di massa, e considera il programma nucleare come la sua assicurazione per la sopravvivenza. Perciò ha già condotto 83 test missilistici, 11 durante l' amministrazione Trump, contro i 16 di suo padre e i 15 del nonno. Se avesse voluto negoziare la fine della corsa atomica, Pyongyang avrebbe potuto farlo già con Clinton e Bush, ma quegli accordi sono falliti perché secondo il regime non garantivano il suo futuro.
Quanto alla Cina, dopo il vertice di Mar a Lago il capo della Casa Bianca si era convinto di aver trovato l' intesa con Xi, che potrebbe mettere in ginocchio Kim chiudendo i rubinetti delle forniture petrolifere. Pechino però non ha dato seguito alle sue promesse, perché in fondo la Corea del Nord le fa comodo così: non abbastanza forte da attaccare per prima, ma abbastanza minacciosa da compromettere i piani di Washington per la sicurezza regionale.
Nei giorni scorsi Trump ha aumentato la pressione su Xi, inviando navi da guerra nel Mar cinese meridionale, fornendo armi per 1,4 miliardi di dollari a Taiwan, imponendo sanzioni alle banche della Repubblica popolare che aiutano ancora Pyongyang, e minacciando una guerra commerciale sull' acciaio. Ad Amburgo il capo della Casa Bianca farà ancora un tentativo di convincere il collega di Pechino ad agire, aggiungendo un avvertimento. Dopo il test di un missile capace di raggiungere l' Alaska, gli Usa non possono restare fermi: o ci aiutate a fermare Kim, oppure agiremo da soli.
La proposta circolata da cinesi e russi prevede la fine delle esercitazioni Usa con la Corea del Sud e il blocco del sistema di difesa missilistica Thaad, in cambio del congelamento del programma nucleare di Pyongyang, ma Washington non è disposta a fare questa concessione e non è neppure sicura che basti.
Anche le opzioni militari, però, sono limitate. Il riarmo nordcoreano ormai è troppo avanzato, per pensare di fermarlo con un' operazione chirurgica come in Siria, e Kim potrebbe reagire bombardando Seul o marciando verso Sud. Sarebbe la seconda guerra totale nella penisola, con conseguenze imprevedibili.
Al momento la Casa Bianca sta considerando una «risposta misurata», che potrebbe comprendere l' invio di altre truppe, aerei, e navi nella regione. Il Pentagono poi ha attivato tutte le sue difese missilistiche, anche per dare garanzie agli alleati, a cui ha offerto di installare il sistema Thaad. Sul piano diplomatico, poi, gli Usa sono pronti a nuove sanzioni, bilaterali e in sede Onu. Tutto ora dipenderà dalla risposta di Xi a Trum p.