“ASSANGE NON È NAVALNY” – STEFANO FELTRI E LA DIFFERENZA TRA L'ATTIVISTA CHE RISCHIA 175 ANNI DI CARCERE SE ESTRADATO NEGLI USA E IL DISSIDENTE RUSSO: “NAVALNY È UN POLITICO, ASSANGE NO. E WIKILEAKS È UN PROGETTO NON PARTECIPATO, E’ UN’ILLUSIONE DI TRASPARENZA, CHE È PRESTO DIVENTATO UNO STRUMENTO DI POTERE. GUARDA CASO, DEL POTERE DI PUTIN. CHE ASSANGE ABBIA FATTO QUELLO CHE GLI VIENE CONTESTATO NON C’È DUBBIO. E QUALUNQUE STATO DEL MONDO CLASSIFICHEREBBE QUELL’ATTIVITÀ COME SPIONAGGIO…”
-Estratto dell’articolo di Stefano Feltri – dalla newsletter “Appunti”
[…] L’argomento a sostegno dell’equivalenza tra Navalny e Assange è più o meno questo: certo, la Russia di Putin ha i suoi limiti, come dimostra la morte di Navalny in carcere, ma anche noi in Occidente abbiamo i nostri Navalny, cioè Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che dal 2010 è inseguito dalla giustizia americana. Entrambi hanno denunciato le menzogne e la corruzione del potere, ed entrambi hanno pagato sulla propria pelle.
Secondo questa linea argomentativa, Putin è un po’ meglio degli Stati Uniti perché almeno non finge di essere una cosa diversa da quella che è, cioè il capo di un regime oppressivo e liberticida. Corollario inevitabile: dobbiamo smettere di mandare armi all’Ucraina perché sono armi americane che permettono agli ucraini di resistere in nome di una superiorità dei valori occidentali nei quali siamo i primi a non credere, come dimostra la vicenda Assange.
Con intellettuali, giornalisti, opinionisti che propalano queste tesi, Putin non ha certo bisogno di infiltrare i nostri media o la politica - cosa pure che prova sempre a fare - visto che nessun propagandista a libro paga saprebbe fare di meglio. Ma veniamo al merito: Navalny e Assange sono la stessa cosa?
[...] Navalny era un politico, che poi è diventato una specie di leader di opposizione […] in un paese senza una opposizione legittima. Navalny è stato prima un politico e, solo come parte della sua attività politica, è diventato un blogger e qualcosa di simile a un giornalista d'inchiesta che ha denunciato la corruzione del regime putiniano e l’avidità di Putin in persona. Ma sempre a scopo di battaglia politica, non di fare informazione.
Navalny ha incarnato per qualche anno l’idea di una Russia alternativa a quella del presidente che provava ad avvelenarlo e che lo ha rinchiuso in carcere per farlo morire. Alla fine quella morte tanto a lungo evitata è arrivata, proprio quando serviva: un chiaro spot pre-elettorale per Putin in vista delle elezioni di marzo […].
[…] Poi, certo, Navalny non era un politico da Ztl di Milano, era pur sempre un russo, che condivideva alcuni aspetti della nostalgia imperiale di Putin, un nazionalista, ecc. ecc.. Ma era prima di tutto un politico russo che si è opposto al potere autocratico del presidente nell’unico modo possibile - cioè non convenzionale, da attivista - in un paese non democratico. L’unica cosa che ha in comune con Assange, insomma, è di essere stato abile a usare la comunicazione.
[…] Assange non è un politico, Wikileaks non è un partito, e neppure un giornale: è un progetto che abusa del prefisso Wiki, ma non è partecipato, aperto, e non è neppure una buca delle lettere che offre divulgazione e protezione a chi ha segreti da divulgare. E’ […] un’illusione di trasparenza, che è presto diventato uno strumento di potere. Guarda caso, del potere di Putin. E così si chiude il cerchio: gli amici di Putin difendono un sedicente attivista che ha colpito gli Stati Uniti e ha fatto gli interessi di Putin. Tutto si tiene.
Gran parte della discussione su Assange prescinde da quello che ha fatto. Io stesso […] pensavo che […] avesse ricevuto grandi quantità di documenti segreti e li avessi divulgati in nome di un ideale di trasparenza. Non è andata proprio così.
Se si legge il capo di imputazione del dipartimento di Giustizia, si vede che gli Stati Uniti non contestano ad Assange soltanto di aver divulgato materiale classificato […] ma di aver partecipato insieme a un’analista dell’intelligence, Chelsea Manning (all’epoca si chiamava Bradley Manning, prima di una transizione di genere), a aver violare i sistemi di sicurezza americani per rubare informazioni riservate. Capite che c’è una bella differenza.
Tra gennaio e maggio 2010, Assange assiste Manning nel commettere quelli che in qualunque paese sarebbero classificati come reati gravissimi: aggirare i sistemi di sicurezza dell’esercito americano, usare l’identità di superiori per recuperare password a cui Manning non aveva accesso, per poi scaricare e passare a Wikileaks blocchi di informazioni riservate sulle attività dell’esercito in Afghanistan, Iraq, sulla gestione dei detenuti a Guantanamo e altri segreti militari.
Quando Manning dice di aver scaricato tutto quello che ha, Assange chiede di insistere: “Gli occhi curiosi non restano mai delusi”, si legge nel capo d’accusa. Che Manning e Assange abbiano fatto quello che viene loro contestato non c’è dubbio. E credo che qualunque stato del mondo classificherebbe l’attività di Assange come spionaggio […]. Lo fanno anche i giornalisti? No