“CONTE? È UN PROGRESSISTA DELLA DOMENICA. FINO A QUALCHE MESE NON SAPEVA SCEGLIERE TRA LE PEN E MACRON” – PER RECUPERARE VOTI NEL MEZZOGIORNO LETTA FIRMA IL "MANIFESTO PER IL SUD" CON EMILIANO E DE LUCA E ATTACCA ALZO ZERO IL GRILLINO "GIUSEPPI" COLPEVOLE DI “VESTIRE OGGI I PANNI DI ANTIMILITARISTA, DOPO ESSERE STATO IL PREMIER CHE HA AUMENTATO DI PIÙ LE SPESE MILITARI IN AMBITO NATO" - "IN POLITICA ESTERA E' AFFETTO DA SDOPPIAMENTO DELLA PERSONALITA' PERCHÉ..."
-Carlo Bertini per la Stampa
«La verità è che i Cinque stelle restano il partito di Grillo, per cui destra e sinistra pari sono. E che Conte è un progressista della domenica, uno che fino a qualche mese fa non sapeva scegliere tra Le Pen e Macron». Ecco come Enrico Letta parla in privato dei Cinque stelle e del suo ex alleato. Colpevole di «vestire oggi i panni di antimilitarista, dopo essere stato il premier che ha aumentato di più le spese militari in ambito Nato e stanziato oltre 12 miliardi».
Affetto anche da «uno sdoppiamento della personalità in politica estera, perché dopo aver ricevuto l'endorsement dell'amico Trump, se ne è uscito con un "non mi si venga a dire che Putin non vuole la pace" solo qualche giorno fa».
Ma il problema è che la concorrenza spietata di Conte, specie al sud, sta dando i suoi frutti. Ora, lasciando da parte le critiche velenose di alcuni big dem, che sottotraccia lamentano «lo sbandamento» del vertice del partito dopo la caduta del governo Draghi, «perché dovevamo far passare una decina di giorni e poi provare a ricucire per non andare da soli», per ora il bersaglio di tutti, big e capicorrente, è il leader M5s.
Quando Letta ripete che «chi vince governa, non ci saranno inciuci», vuole mettersi al riparo dalle accuse di Conte sulle «ammucchiate» che si starebbero preparando per il dopo-voto, cui i Cinque stelle hanno dimostrato di volersi affrancare uscendo dal governo Draghi.
E se big e ministri ammettono che il capo M5s fa breccia al sud con il suo mix di «plebeismo e ribellismo», Letta lo bolla come uno che «oggi sta a destra, domani a sinistra, a seconda della convenienza, senza nessuna idealità e cultura politica». Come quello a cui «oggi fa comodo stare a sinistra, ma nel 2018 inneggiava al populismo e sovranismo, dicendo che erano iscritti nientemeno che in Costituzione». Insomma, una totale presa di distanza, scandita nelle chat con i capi del partito, da colui che «ha sempre voluto rompere con il governo e guadagnare una rendita di posizione dall'opposizione».
Con i suoi interlocutori, Letta snocciola i motivi che hanno indotto Conte a far cadere il governo: «Cercava un pretesto, dietro la scelta di luglio c'è la surreale impuntatura personale contro Draghi, quasi potessero essere in competizione».
E così facendo «ha provato a recuperare una verginità politica dopo essere stato tre anni a Palazzo Chigi e quattro anni e mezzo al governo. E poi c'era la necessità di sopravvivenza del suo cerchio magico». Era fatale che col passare delle settimane Giuseppe Conte sarebbe diventato il nemico numero due di Letta dopo Giorgia Meloni: per la legge brutale del «chi non è con me, è contro di me» il leader M5s si è trasformato nel più feroce antagonista, una sorta di bracconiere nello stesso bacino di caccia del Pd. Il segretario dem si sente ora accerchiato da Meloni, Calenda e in primis da Conte. «Abbiamo contro la destra e abbiamo quelli che vorrebbero sostituirci, ma non glielo permetteremo».
Le proiezioni regione per regione delle sfide nei collegi uninominali del mezzogiorno mostrano che in molti casi si fronteggiano i candidati dem e dei Cinque stelle, testa a testa. Per questo Letta ha pensato a una contromossa, che verrà annunciata oggi da Taranto.
Insieme a Michele Emiliano e Vincenzo De Luca (un piccolo evento visto lo stato dei rapporti tra i due governatori) il leader Pd lancerà un «Manifesto per il sud». Una mossa per provare a sminare l'effetto calamita che l'avvocato del popolo riveste per gli elettori meridionali grazie al reddito di cittadinanza. «Illudendoli - malignano al Nazareno - che se votano Cinque stelle non glielo toglieranno, invece solo votando Pd possono mantenerlo, perché il voto ai grillini fa vincere la Meloni, che il reddito di cittadinanza vuole toglierlo». La «carta di Taranto», che Letta firmerà oggi fissa questi paletti: «Basta mettere la testa sotto la sabbia - si legge nel frontespizio - o riparte il sud o si ferma l'Italia».
L'evento si fa a Taranto, «emblema dei fallimenti del passato ma anche della rinascita sotto il segno della sostenibilità, città dove ha vinto a giugno il centrosinistra». E il «manifesto» per il sud promette sette linee di intervento con i fondi del Pnrr: su pubblica amministrazione (300 mila assunzioni), sanità scuola e servizi, transizione ecologica, lavoro e imprese, zone economiche speciali, sicurezza e legalità, insularità. Lo slogan è: «Investire nel sud significa investire nel futuro del Paese». Una prima sfida sul terreno dei Cinque stelle.