“FAI COME FECE BOSSI NEL 1994” – GIORGETTI NON HA GRADITO LO STRAPPO DI SALVINI E GLI DÀ UN CONSIGLIO: RINUNCIA AL VIMINALE PRIMA DELLE COMUNICAZIONI DI CONTE - DAL M5S HANNO DETTO CHE “SI PUÒ DISCUTERE CON LA LEGA SE LUI SI FA DA PARTE” E COSÌ SAREBBERO SPIAZZATI – MA I RAPPORTI TRA SALVINI E IL POTENTE SOTTOSEGRETARIO SONO ORMAI GELIDI, ANCHE SE GIORGETTI NEGA TUTTO: "SIAMO COMPATTISSIMI"
-1 – GOVERNO: GIORGETTI, SIAMO COMPATTISSIMI
(ANSA) - "Siamo compattissimi". Lo assicura Giancarlo Giorgetti, smentendo i rumors che lo vorrebbero in freddo con Matteo Salvini, entrando alla riunione dei senatori leghisti al Senato prima delle comunicazioni del premier Giuseppe Conte. "La Lega e' stracompatta non ci sono stati capricci o volontà di rottura. Se c'è stata una frattura è solo per la consapevolezza che bisogna fare le cose per bene A noi interessa arrivare prima possibile a una soluzione senza perdere tempo. La Lega e' stracompatta", ribadisce entrando anche il ministro Giulia Bongiorno.
2 – FAI COME FECE BOSSI NEL 1994
Francesca Schianchi per “la Stampa”
«Matteo, chiamati fuori da tutto. Fai come Bossi quando era potente: resta fuori dal governo. E ai Cinque stelle potrai dire: se il problema sono io, ecco risolto».
L' ultimo consiglio di Giancarlo Giorgetti al suo segretario è un azzardo. Ma forse non più di altre mosse e contromosse andate in scena in questi tredici giorni di crisi di governo. Alzarsi in Aula e fare il bis della settimana scorsa, quando, inaspettatamente, ha detto sì alla richiesta del Movimento di anticipare il voto sul taglio dei parlamentari, lasciando di stucco l' intero emiciclo: «Sfida accettata».
Ora dal M5s filtra un' altra provocazione, «si può discutere con la Lega solo se Salvini si fa da parte»: ebbene, perché non spiazzarli un' altra volta, sfilando loro anche questa arma? Certo, rischia di essere letta all' esterno come un' umiliazione del leader del Carroccio. Ma è anche vero, si ragiona tra i leghisti, che lo stesso fondatore Umberto Bossi, alla nascita del primo governo Berlusconi, decise di non fare il ministro.
Vicepresidente del Consiglio era Roberto Maroni, mentre lui, il Senatùr, comandava da fuori. E da fuori decise quando staccare la spina. Così facendo, poi, Salvini avrebbe la possibilità di contrastare la retorica delle «poltrone»: ecco, potrebbe dire, tanto poco tengo alle poltrone che rinuncio alla mia. Ieri si è diffusa anche la voce di sue possibili dimissioni prima ancora delle comunicazioni di Conte.
Sono ore convulse di trattative e scenari incrociati. Di tattiche che si sovrappongono, dichiarazioni pubbliche e conciliaboli privati. Oggi a mezzogiorno, tre ore prima delle comunicazioni in Aula al Senato del premier Giuseppe Conte, Salvini riunirà i suoi senatori.
«La linea da tenere non è ancora decisa», la versione ufficiale di ieri sera dei vertici del partito. Il ministro dell' Interno non ha ancora preparato un discorso, molto dipenderà - dicono - da quello che sentirà dire a Conte. Dagli attacchi che gli arriveranno, dalle politiche che verranno elogiate e da quelle da cui il presidente del Consiglio cercherà di prendere le distanze. Ancora non si sa se la Lega chiederà un voto. «Faremo di tutto per impedire un governo Renzi-Boschi-Lotti», è l' unica cosa che ripetono compatti, l' ipotesi che Luigi Di Maio sdegnosamente respinge definendola «frutto solo delle bufale della Lega».
Difficilmente Salvini spariglierà seguendo i suggerimenti del sottosegretario alla presidenza, un' idea che pure qualche sherpa avrebbe già fatto arrivare al M5S. I rapporti tra il leader e il suo dirigente più autorevole sono gelidi: Giorgetti aveva in mente un percorso ordinato per la crisi, da farsi prima, quando la tempistica era più favorevole, o da rinviare di qualche mese.
Si sarebbe potuto trovare un accordo coi Cinque stelle su due o tre sole cose da fare, affrontare la manovra, e poi annunciare al presidente della Repubblica la crisi insieme agli auguri di Natale, in modo da andare a votare in primavera. Un cronoprogramma saltato con l' apertura della crisi a ridosso di Ferragosto. «Sulla crisi ha deciso Salvini da solo», ha fatto cadere il solitamente schivo sottosegretario, come a sottolineare una distanza dalle scelte del suo leader.
«Salvini farà la fine di Renzi», sussurrano sconsolati quelli che la pensano come lui: la parabola dell' ex premier dem, il suo exploit alle Europee seguite da una altrettanto vertiginosa caduta, è uno spettro dentro al Carroccio. Come ricordò lo stesso Giorgetti alla nascita del governo, quando consigliò scherzosamente a tutti i ministri leghisti di tenere una foto dell' ex segretario Pd sulla scrivania, un monito per ricordarsi che passare dal 40 per cento al 18 è un attimo.
Ora, ironia della sorte, è stata proprio un' iniziativa di Renzi a inceppare il meccanismo che, secondo Salvini, doveva portare al voto di corsa. Tentare fino all' ultimo di ricucire o bombardare da fuori un governo Pd-M5s: oggi è il giorno della verità.