1. "MELONI DICE CHE STA FACENDO LA STORIA, GENNY INVECE SI È LIMITATO A UNA STORIELLA"
2. PELO E CONTROPOLE DI ALBERTO MATTIOLI: "OGNUNO È LIBERO DI DECIDERE SE LA PARABOLA DI GENNY SIA UNA TRAGEDIA GRECA, LA TRAGEDIA DI UN UOMO RIDICOLO O UNA SCENEGGIATA. FORSE LA SUA CARRIERA FINISCE QUI, E DI CERTO NON SARÀ PIÙ LA STESSA"
3. DA ALMIRANTE A SALVINI FINO ALLA MELONI, LA RESISTIBILE ASCESA DI SANGIULIANO DETTO "TARZAN", PER LA CAPACITA' DI VOLARE DA UN PARTITO ALL'ALTRO (E DA UNA DONNA ALL'ALTRA) 4. "POICHÉ, COME DICEVA FLAIANO, A FURIA DI LECCARE QUALCOSA SULLA LINGUA RIMANE SEMPRE, SI COMPIE IL PASSAGGIO DAL GIORNALISMO ALLA POLITICA: MINISTRO DELLA CULTURA" 5. "VEDERE IL BORIOSO MINISTRO CHE STRAPPAVA DI MANO I MICROFONI AI GIORNALISTI CHE, BALBETTANDO, FA PUBBLICA AMMENDA, UN CERTO EFFETTO LO FA. SIC TRANSIT GLORIA..."
STORIE
Jena per “La Stampa”
Meloni dice che sta facendo la storia, Sangiuliano invece si è limitato a una storiella.
IL MELODRAMMA DI GENNY
Alberto Mattioli per “La Stampa”
Come ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano fu fatto da altri e si disfece da sé.
Un'ascesa e una caduta vertiginose, dramma e commedia insieme, finite (per ora) con il ministro che piange al Tg1 chiedendo scusa alla moglie, a Giorgia Meloni e ai suoi collaboratori per il paradossale pasticcio in cui si è messo e li ha messi.
Una scena, oggettivamente, impressionante, molto poco italiana, da altri Paesi, altre morali (e altri telegiornali).
Poi ognuno è libero di decidere se la parabola di Genny sia una tragedia greca, il potente travolto dalla sua stessa ubris, o semplicemente la tragedia di un uomo ridicolo, un'autoflagellazione pubblica o una sceneggiata mediatica. Forse la carriera di Genny finisce qui, e di certo non sarà più la stessa.
Quando diventa ministro della Cultura, Sangiuliano, napoletano, giornalista, 62 anni, laurea in Giurisprudenza, è già soprannominato "Tarzan" per la sua capacità di saltare da un partito all'altro con la stessa disinvoltura di quell'altro con le liane (e provvisto anche di una Jane, come si è visto poi).
Politicamente, Genny nasce missino: c'è una foto di lui giovane e con i capelli che conciona davanti a un Almirante perplesso. Poi però è vicino a Francesco De Lorenzo, ministro liberale all'epoca del pentapartito terminale, oggi ricordato soprattutto per aver tentato di bruciare delle carte compromettenti nella pentola degli spaghetti. Bruciato anche De Lorenzo, Genny diventa un ammiratore di Gianfranco Fini, e sempre alla sua maniera enfatica, da cinegiornale Luce, il 4 maggio 2009 proclama: «Ecco la persona che incarna a cavallo di due secoli la storia della destra italiana». Pochi mesi dopo è vicedirettore del Tg1 in quota An.
Qui si accorge che nel braccio di ferro fra Fini e Berlusconi il più forte è ancora il secondo e così, in un memorabile editoriale sul Giornale a proposito della famigerata casa di Montecarlo, la persona che incarna eccetera diventa «Gianfranco che calpesta i valori della destra». Già sale l'astro di Matteo Salvini, Genny imbraccia un'altra liana e diventa il direttore del Tg2 leghista.
Tramonta Matteo e sorge Giorgia? Nessun problema: Genny diventa più meloniano di Meloni e, a conferma dell'imparzialità del suo telegiornale, nel ‘22 arringa i fratelli d'Italia dal palco della loro convention: perfino la Rai, ed è tutto dire, è costretta a un richiamo formale. Poiché, come diceva Flaiano, a furia di leccare qualcosa sulla lingua rimane sempre, il 22 ottobre dello stesso anno il passaggio dal giornalismo alla politica è compiuto: ministro della Cultura.
E qui il debutto è trionfale. «La Rai deve produrre fiction sulla Fallaci e su Montanelli», è la prima dichiarazione di Genny. Gli viene fatto notare che la fiction sulla Fallaci la Rai l'ha già fatta e di Montanelli è piena RaiPlay. «Allora bisogna fare un film su Pirandello!», proclama: e in quel momento il film più visto nei cinema è «La stranezza», guarda caso, proprio su Pirandello.
Nasce un nuovo genere d'intrattenimento, la gaffe di Sangiuliano, fra la commedia dell'arte, i B movie degli anni Settanta e le vecchie barzellette: la sai l'ultima su Genny?
L'effetto comico è potenziato dal fatto che il signor ministro ha un'ottima opinione di sé, infarcisce i suoi discorsi di citazioni (sempre quelle, però) e autocitazioni, è sussiegoso, talvolta arrogante.
Ma non ne azzecca una: straparla di Dante «di destra», vota i libri dello Strega e ammette pubblicamente di non averli letti, biasima l'abuso dell'inglese definendolo «molto radical chic», colloca Times Square a Londra, dice che Colombo ha scoperto l'America seguendo le teorie di Galileo che non era ancora nato, scrive sui social che 2.500 anni sono due secoli e mezzo e poi annuncia di aver relegato negli archivi il suo social media manager attribuendogli la colpa dell'errore, invece di assumersela come fanno i capi veri. Come parla, sbaglia. Per la satira è una manna, i social ringraziano: Genny-la-gaffe, il ministro fatto meme.
Fra uno sproposito e l'altro, Sangiuliano piazza amici e camerati su ogni poltrona disponibile. Così fan tutti, certo: ma al rinnovamento del personale non corrisponde affatto quello della politica. In due anni, Genny non ha partorito una sola idea nuova, una visione, un progetto vero. Una politica culturale non c'è, anzi l'impressione è che non sappia nemmeno come farla, se non con mezzi obsoleti, novecenteschi, come le mostre sugli autori cari alla capa, le fiction edificanti e le mani sulla Rai, «la prima azienda culturale del Paese», in effetti mai così allo sbando.
Poi l'incontro fatale con la dottoressa Boccia, l'amore che sboccia, lui che la boccia (nominare consigliera l'amante «poteva configurare un potenziale conflitto d'interessi», ha sospirato ieri sera, ma dai, chi l'avrebbe detto), insomma la pochade su cui ride tutta Italia. Però vedere il borioso ministro che strappava di mano i microfoni ai giornalisti per fare loro la lezioncina che, balbettando, fa pubblica ammenda, impacciato, la mano un po' tremante, perfino, si direbbe, dimagrito, un certo effetto lo fa. Sic transit...